Scritto da Mattia Zulianello
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In Capire il populismo (UTET Università 2024) Mattia Zulianello – Professore associato di Scienza Politica all’Università degli Studi di Trieste – e Petra Guasti – Professoressa associata di Teoria Democratica all’Univerzita Karlova di Praga – approfondiscono il populismo attraverso 85 minicapitoli, curati da più di 100 studiose e studiosi provenienti da tutto il mondo. Pubblichiamo di seguito, per gentile concessione degli autori e dell’editore, un estratto del libro.
Questo libro non vuole essere un manuale tradizionale e nemmeno l’introduzione vuole essere il classico scritto accademico che procede in modo unidirezionale, “paracadutato” da chi scrive verso il lettore. Per rendere tutto il più semplice e chiaro possibile, ho deciso di scrivere un’introduzione atipica, allontanandomi dal formato accademico tradizionale. Nello specifico, ho scelto di strutturarla come un ipotetico dialogo tra uno studente e il sottoscritto. Ritengo che iniziare con una sorta di botta e risposta tra uno studente, che avanza delle osservazioni e delle domande, e la mia introduzione, che risponde, possa essere utile per consentire agli studenti e ai lettori curiosi di compiere i primi passi in un argomento complesso quanto controverso come il populismo.
«Tutti parlano di populismo, ma a me sembra che significhi tutto e niente…»
È vero, ne parlano tutti. Il sostantivo “populismo” e l’aggettivo “populista” sono diventati elementi imprescindibili del dibattito contemporaneo. Anche se le dispute definitorie e concettuali non sono esaurite (e probabilmente non si esauriranno mai, come per qualsiasi fenomeno politico e sociale di una certa rilevanza), un approccio specifico che considera il populismo come un insieme di idee ha progressivamente acquisito un ruolo predominante nella letteratura, soprattutto quella europea e americana.
«Quali sono queste idee?»
Il tratto essenziale delle idee populiste risiede nella contrapposizione tra il “popolo puro” e l’ “élite corrotta”: l’idea di fondo è che lo scopo essenziale della politica sia quello di rispettare la volontà generale del popolo a ogni costo[1]. Nello specifico, i populisti considerano il conflitto tra popolo ed élite come l’essenza, il senso stesso del confronto politico. Pertanto, il populismo è un insieme di idee caratterizzato dalla simultanea presenza di tre elementi essenziali: il popolo puro, l’élite corrotta e la volontà generale del popolo.
«Cos’è il popolo puro? E la sua volontà generale?»
Il punto cruciale è che la distinzione tra popolo ed élite non è qualcosa di oggettivo o immediatamente osservabile, ma è una costruzione politica fatta dagli attori politici sulla base di criteri essenzialmente morali e manichei, contrapponendo un “bene” a un “male”. Per i populisti, il popolo è un’entità pura, buona, omogenea e priva di divisioni interne. Esso incarna i valori del “bene”, un senso di autenticità e genuinità. Per queste ragioni, il popolo è visto come la vera autorità in una democrazia, la sola bussola per l’azione politica e il processo decisionale. È vero, tutti gli attori politici si rivolgono al popolo, ma il popolo evocato dai populisti ha tratti ben precisi, riconducibili a una caratteristica chiamata “popolo-centrismo”. Secondo quest’ultima, il popolo manifesta una purezza morale e non ha divisioni interne: tutti i suoi membri condividono determinati valori. Usando una metafora, se potessimo raffigurare il popolo puro dei populisti come una sfera e suddividerla in un milione di pezzettini, ciascuno di essi sarebbe identico agli altri, possedendo le stesse caratteristiche in termini di purezza morale, autenticità e genuinità. Chi non possiede tali valori morali non è solo escluso dal gruppo del popolo puro, ma è anche visto come una minaccia, poiché l’interpretazione populista del mondo si basa su una lotta tra bene e male. Il popolo dei populisti è considerato omogeneo, moralmente superiore, un idealizzato custode di valori profondi e genuini. Inoltre, l’attribuzione della superiorità morale al popolo è accompagnata dall’idea che esista una volontà generale, che non solo deve essere ascoltata e rispettata, ma anche glorificata. La volontà generale è vista come un bene assoluto, autoevidente e non negoziabile proprio per la sua superiorità morale.
«Quindi, le élite sono il nemico giurato del popolo…»
Esattamente, secondo i populisti questo è il conflitto essenziale. Infatti, da un lato, il bene è incarnato nel popolo e nella sua volontà, mentre, dall’altro, il male è rappresentato dalle élite. Quest’ultime sono considerate l’antitesi del popolo: un’entità malvagia, potente e disinteressata ai suoi bisogni. Questa convinzione è nota come antielitismo. In particolare, i populisti accusano le élite di tradire il popolo e di agire sistematicamente e deliberatamente per privarlo della propria sovranità. Anche le élite sono viste come un’entità omogenea e priva di divisioni interne, che lavora di concerto per mantenere il proprio status e il proprio potere, animata da interessi autoreferenziali o subordinata a forze oscure e/o straniere. L’omogeneità, in questo caso, è data dalla condivisione di caratteristiche morali, ma di segno opposto rispetto a quelle del popolo. In altre parole, l’élite diventa un collettore di negatività, di tutto ciò che non funziona, da un punto di vista politico, sociale e/o economico.
«A me sembra che il populismo sia molto vicino alle idee della destra…»
Spesso si crede che i populisti siano solo “di destra” oppure che abbiano, quantomeno, una tendenza naturale verso tale porzione dello spazio politico. Infatti, esistono anche altre varietà[2] di populismo che non sono riconducibili alla destra: il populismo di sinistra, il populismo agrario, il populismo di valenza. Come abbiamo visto prima, il populismo è, in quanto tale, solo un modo moralistico di interpretare il mondo e vederlo come caratterizzato dal conflitto tra il popolo puro e l’élite corrotta. In particolare, il populismo da solo non implica un’agenda o un programma politico specifici: quest’ultimi dipendono da quali sono le altre idee con cui esso interagisce, perché il significato attribuito ai termini “popolo” ed “élite” viene plasmato dall’interazione con altri elementi ideologici e/o programmatici. Questo è ciò che lo rende un fenomeno “altamente camaleontico”[3]. I populisti mettono sempre in evidenza la contrapposizione morale e manichea tra il popolo e l’élite e celebrano la sovranità popolare; ma, proprio per la sua natura di ideologia sottile, il populismo tendenzialmente si associa ad altri elementi. Ne consegue che, quindi, gli attori populisti possano essere identificati in diversi punti dello spettro politico. Certo, la maggioranza dei populisti contemporanei sono di destra (radicale), ma ciò è puramente una constatazione empirica: ci dice certamente che questa è una formula competitiva di successo, ma non deve essere intesa come una predisposizione naturale del populismo, in quanto tale, a combinarsi a delle idee di destra.
«Cos’è la destra populista?»
L’espressione “destra populista” si riferisce a quegli attori politici che sostengono una visione del popolo puro che esclude qualcuno in base a criteri etnici, privilegiando, ad esempio, i valori, l’identità e la cultura della popolazione autoctona, oppure lo fa in base a un’idea socioculturale di merito, distinguendo tra chi “produce” e chi “riceve” risorse in una data società. In altre parole, i populisti di destra si caratterizzano per una concezione “escludente” del concetto di popolo[4]. All’interno della destra populista si trovano tre principali sottotipi: il populismo neoliberale, il populismo nazional-conservatore e, soprattutto, la destra radicale populista. I populisti neoliberali combinano il populismo con un’enfasi posta sullo Stato minimo e il libero mercato, identificando il popolo nel “contribuente” sommerso dalle tasse e vedendo i dipendenti pubblici e la burocrazia come parassiti. I populisti nazional-conservatori, invece, abbracciano una visione della società gerarchica e incentrata sui valori tradizionali, come nazione, comunità, patriottismo e paternalismo di Stato. Mentre i populisti neoliberali e nazional-conservatori sono piuttosto rari nel mondo di oggi, la varietà di populismo di destra di gran lunga più diffusa in Europa, e non solo, è la destra radicale populista. Infatti, quest’ultima evoca tutti gli attori a cui solitamente siamo portati a pensare quando sentiamo la parola populismo nei media: Fratelli d’Italia (FdI) e Lega in Italia, AfD in Germania, FIDESZ in Ungheria, PiS in Polonia, il Rassemblement National (Raduno Nazionale, RN) in Francia, il Partito della Libertà (Partij voor de Vrijheid, PVV) nei Paesi Bassi, VOX in Spagna, il Partito del Popolo Indiano (Bharatiya Janata Party, BJP) di Narendra Modi in India e il Partito Repubblicano sotto la leadership di Donald Trump, solo per citarne alcuni.
«Quali sono le caratteristiche della destra radicale populista?»
La destra radicale populista è una famiglia di partiti caratterizzata da tre elementi ideologici essenziali: il nativismo, l’autoritarismo e il populismo[5]. Tra questi, il più importante è sicuramente il nativismo, che si esplicita in una preferenza per la popolazione nativa di un dato Paese (es. “Prima gli italiani”), il quale costituisce il popolo puro di riferimento. Il nativismo è un’ideologia che può manifestarsi in forme culturali (es. esaltare il patrimonio immateriale e simbolico di un dato contesto o nazione), economiche (es. la priorità per i nativi sul mercato del lavoro) e legate allo stato sociale (es. il cosiddetto sciovinismo del welfare, secondo il quale i nativi dovrebbero avere la priorità nei servizi pubblici).
Dopo il nativismo, la seconda caratteristica ideologica più importante della destra radicale populista è l’autoritarismo, che si riferisce alla credenza in una società rigorosamente ordinata, in cui le violazioni dell’autorità devono essere punite severamente: questo punto si manifesta in un’enfasi posta su misure e proposte riconducibili alla categoria “legge e ordine”. Ciò si concretizza nella richiesta di pesanti sanzioni e un’attenzione particolare alla punizione dei criminali rispetto alla loro riabilitazione. Inoltre, l’autoritarismo della destra radicale populista spesso include anche il sostegno a una visione tradizionale della famiglia, del genere e della sessualità. È importante notare che qui con “autoritarismo” non si intende la volontà di instaurare un regime non democratico (anche se questo è un possibile esito dell’azione dei populisti in generale, non solo di destra): al contrario, va inteso come un’interpretazione severa della società e delle sue dinamiche.
Infine, ecco il populismo: il popolo puro della destra radicale populista è costituito dai nativi, mentre le élite corrotte sono un vasto numero di attori che agiscono in nome di un disegno multiculturale. In particolare, l’antielitismo della destra radicale populista si sostanzia soprattutto (ma non esclusivamente) in senso socioculturale, condannando la “dittatura” del politicamente corretto. Quest’ultima è associata principalmente all’idea che un’élite di partiti e politici tradizionali, media e intellettuali abbia tradito la popolazione nativa abbracciando idee multiculturali e internazionaliste, svendendo il proprio Paese per servire interessi più o meno oscuri. Tuttavia, il populismo è l’elemento ideologico di minor importanza per la destra radicale populista. Questo può sembrare sorprendente perché ascoltando i media e i giornalisti sembra essere il tratto più importante: ma non è così. Tuttavia, benché sia opportuno non esagerarne l’importanza, dobbiamo anche stare attenti a non sminuirlo del tutto. Da un lato, proprio per la sua natura di ideologia sottile, il significato specifico dato al popolo e alle élite è frutto dell’interazione del populismo con il nativismo e l’autoritarismo. Dall’altro, sebbene sia l’elemento ideologico meno importante tra i tre, è comunque un elemento decisivo e caratterizzante del profilo della destra radicale populista. In particolare, la “carica morale” data dal populismo amplifica il potenziale competitivo del nativismo e dell’autoritarismo. Per usare una metafora culinaria, per tali partiti la portata principale del menù è costituita da un mix di nativismo e autoritarismo, mentre il populismo può essere inteso come il condimento. Chiaramente, il condimento da solo non sazia, ma un piatto senza condimento è sicuramente poco invitante. Lo stesso vale per quasi tutti gli altri tipi di populismo.
«Qual è la differenza tra la destra radicale e l’estrema destra?»
La destra radicale e l’estrema destra condividono due caratteristiche ideologiche fondamentali, il nativismo e l’autoritarismo, ma differiscono in modo decisivo per quanto riguarda il loro orientamento nei confronti della democrazia: l’estrema destra ne rifiuta l’essenza stessa, il suo ideale di fondo; la destra radicale, invece, non è contraria alla democrazia in quanto tale, ma si oppone a una sua forma specifica: quella liberale. L’estrema destra ha una natura intrinsecamente rivoluzionaria e un carattere chiaramente elitista e ciò non è compatibile con il populismo. L’estrema destra, inoltre, non è compatibile con il populismo anche perché si propone di creare un “uomo nuovo”, totalmente diverso: si pensi all’uomo nuovo mussoliniano. Ciò è incompatibile con la logica populista che, invece, esalta la persona comune in quanto tale come portatrice di valori autentici, genuini e moralmente superiori.
Invece, la destra radicale non si oppone alla democrazia come ideale: infatti, è meglio intesa come una forma di illiberalismo democratico[6]. In particolare, la sua compatibilità con il populismo è evidenziata dal fatto che nel mondo contemporaneo la destra radicale è quasi sempre anche populista. Tuttavia, la concezione della democrazia della destra radicale populista è ipermaggioritaria, in tensione con i diritti delle minoranze e il ruolo dei corpi intermedi e dei “pesi e contrappesi” istituzionali. Questo perché in generale il populismo è, almeno in teoria, essenzialmente democratico ma in tensione con la democrazia liberale e rappresentativa. Spesso, soprattutto nel linguaggio giornalistico anglosassone, si parla di ultradestra (far right) per riferirsi sia all’estrema destra (extreme right) sia alla destra radicale (radical right). Tuttavia, sebbene ci siano alcune formazioni che sfuggano a una netta categorizzazione nei termini di estrema destra o destra radicale, a mio avviso è bene distinguere i due gruppi, soprattutto nel linguaggio specialistico. Infatti, il diverso orientamento nei confronti dell’ideale democratico da parte dell’estrema destra e della destra radicale non è esattamente un elemento irrilevante, né da un punto di vista ideologico, né competitivo.
«A questo punto, immagino che anche le posizioni dei populisti in fatto di Unione Europea siano più variegate di quello che può sembrare…»
Esattamente. Un tema frequentemente associato al populismo, soprattutto in ambito giornalistico, è l’euroscetticismo. Tuttavia, i due concetti sono distinti: nella definizione di populismo data in precedenza, infatti, non troviamo l’euroscetticismo. Da un punto di vista empirico, però, è vero che la maggior parte degli attori populisti presenta venature euroscettiche più o meno marcate, soprattutto quelli di destra, ma esistono anche populisti variamente eurofili. Inoltre, anche tra i populisti euroscettici non esiste un’intensità univoca nel modo in cui è articolata la critica nei confronti dell’Unione Europea, che può riguardare aspetti socioeconomici, culturali, di legittimità o politici[7].
Inoltre, i populisti, come qualsiasi altro attore politico, possono avanzare un’opposizione “soft” oppure “hard” all’Unione Europea (UE)[8]. L’euroscetticismo soft si concentra sulla critica di alcuni ambiti di policy e/o sull’enfatizzare gli interessi nazionali rispetto a quelli dell’UE. Tuttavia, riguarda alcuni aspetti specifici del progetto di integrazione sovranazionale, non il suo rifiuto in toto. L’euroscetticismo hard, invece, evoca il rifiuto di principio del progetto dell’UE e si sostanzia soprattutto nell’auspicare la fuoriuscita del proprio Paese dall’Unione oppure nell’opporsi all’adesione. Oggi, la stragrande maggioranza dei populisti europei (inclusi quelli di destra) adotta posizioni euroscettiche soft; tuttavia, anche queste variano per natura e intensità, non solo tra i diversi partiti, ma anche per lo stesso partito nel corso del tempo. A questo proposito, un ruolo chiave è giocato da considerazioni strategiche, più che ideologiche: i partiti, inclusi i populisti, tendono a essere più euroscettici quando si trovano all’opposizione rispetto a quando si trovano al governo.
[1] Cas Mudde, The populist zeitgeist, «Government and Opposition», 39, 4, (2004) pp. 541-563; Cas Mudde e Cristóbal Rovira Kaltwasser, Populism: A very short introduction, Oxford University Press, New York 2017.
[2] Mattia Zulianello, Varieties of populist parties and party systems in Europe: From state-of-the-art to the application of a novel classification scheme to 66 parties in 33 countries, «Government and Opposition», (55)2, (2020), pp. 327-347; Mattia Zulianello e Erik Gahner Larsen, Populist parties in European parliament elections: A new dataset on left, right and valence populism from 1979 to 2019, «Electoral Studies», 71, (2021) pp. 1-8.
[3] Paul Taggart Populism and representative politics in contemporary Europe, «Journal of Political Ideologies», 9(3), (2004), p. 275.
[4] Cas Mudde, e Cristóbal Rovira Kaltwasser, Exclusionary vs. inclusionary populism: Comparing contemporary Europe and Latin America, «Government and Opposition», 48(2), (2013), pp. 147-174.
[5] Cas Mudde, Populist radical right parties in Europe, Cambridge University Press, Cambridge 2007.
[6] Cas Mudde, Three decades of populist radical right parties in Western Europe: So what?. «European Journal of Political Research», 52(1), (2013), pp.1-19.
[7] Andrea L.P. Pirro, Paul Taggart e Stijn van Kessel, The populist politics of Euroscepticism in times of crisis: Comparative conclusions, «Politics», 38(3), (2018), pp. 378-390.
[8] Paul Taggart e Aleks Szczerbiak, The party politics of euroscepticism in EU member and candidate states, «SEI Working Paper No 51, Opposing Europe Research Network Working Paper No 6» (2002), pp. 1-33.