Recensione a: Marco Aime, Comunità, il Mulino, Bologna 2019, pp. 128, 12 euro (scheda libro).
Scritto da Luca Picotti
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Nel delicato passaggio storico che stiamo vivendo, uno dei sentimenti più diffusi – conseguenza quasi ineluttabile delle profonde trasformazioni socio-economiche in atto e della repentina accelerazione delle nostre vite seguita alla globalizzazione – è quello che il sociologo Zygmunt Bauman, nel suo ultimo libro-testamento, battezzò come “retrotopia”: un approccio al reale che porta a guardare al futuro con timore e al passato con nostalgia, attraverso una continua idealizzazione dei vecchi miti. Il passato, con i suoi simboli, le sue certezze, i suoi valori, diventa così un porto sicuro per fuggire allo spaesamento del presente.
Questo approccio, che spesso porta a pericolose derive reazionarie con la ripresa di simboli aggressivi come quello del nazionalismo o persino del razzismo, in alcuni casi è però utile per ritrovare parole e concetti positivi, andati perduti a causa della progressiva individualizzazione delle esistenze tipica della modernità. In questo modo, la nostalgia per il passato porta ad interrogarsi sul presente in modo critico, come fa l’antropologo Marco Aime nel suo ultimo libro titolato “Comunità”, edito da il Mulino nella collana “Parole Controtempo”. Il volume, agile nelle sue poco più di cento pagine, è un insieme di spunti e riflessioni attorno al concetto di “comunità”, analizzato nelle sue diverse sfumature semantiche e con l’ausilio di pensatori come Robert Redfield, Max Weber e John Dewey. Il punto di partenza del volume è la consapevolezza, o perlomeno la percezione, di essere di fronte ad un declino costante della struttura relazionale che fonda il concetto di comunità, caratterizzata dall’omogeneità, dalle dimensioni ridotte del gruppo, dalla prossimità e dalla reciprocità. Aime descrive in modo sintetico ma efficace le tappe di questo fenomeno, partendo dall’industrializzazione per arrivare a Internet e ai giorni nostri:
«Il primo colpo alla comunità tradizionale lo infligge la società urbano-industriale. Con il trascorrere del tempo la città assume dimensioni sempre maggiori, la sua vastità, le sue distanze fisiche e sociali la rendono sempre meno percepibile e comprensibile. Raggiunge un’estensione tale da non essere più compresa come orizzonte unico, rassicurante, crea vertigine, spaesamento. Con l’avvento della fabbrica, inoltre, il lavoratore viene strappato dal contesto familiare e domestico, il modello di vita urbano comporta una frammentazione del tempo e dello spazio. Il calendario e gli orari non sono più dettati da ritmi naturali condivisi, ma dalle esigenze della produzione. L’accelerazione porta a mutamenti rapidi del paesaggio, spesso i punti di riferimento cambiano prima che noi riusciamo a metabolizzarli. La velocità riduce anche la possibilità di dare vita a legami profondi. […] Da qualche decennio, infine, l’avvento della Rete e soprattutto la diffusione di dispositivi portatili come smartphone e tablet ha portato a una perenne connessione, da cui deriva un’alienazione rispetto a luoghi e persone. Si è ovunque e in nessun posto, e le persone in carne e ossa sono spesso sostituite dalla loro immagine sullo schermo. Le conversazioni si sono spostate più sulle chat che nel faccia a faccia, il numero di contatti aumenta, e il rischio di perdersi in una moltitudine solitaria è forte» (pp.14-15).
In questo contesto assistiamo ad un sempre più diffuso sguardo nostalgico verso il concetto di comunità, caratterizzato sì dall’idealizzazione, ma in ogni caso emblematico per comprendere lo spaesamento che la contemporaneità ha portato con sé.
L’analisi di Aime ruota attorno a parole fondamentali – come confini, geografia culturale, rituali, narrazioni – attraverso cui l’antropologo ripercorre tappe storiche e filosofiche degli ultimi secoli, per fotografare i processi che hanno portato alla società digitale attuale. Il nucleo del libro risiede nella denuncia della solitudine del ventunesimo secolo, dove il Web rappresenta l’ambiente delle non-relazioni, del non-tempo e non-luogo. Dove parole come comunicare e condividere perdono il loro significato più profondo.
Le riflessioni dell’antropologo toccano anche la politica, descritta come imprigionata nell’immediatezza e nell’iperpresentismo, il capitalismo, criticato nella sua forma più selvaggia, pervasiva e massificante, e infine i concetti più squisitamente culturali come quello dell’identità, secondo l’Autore utilizzato spregiudicatamente da movimenti politici che vogliono massimizzare il consenso in questo periodo di smarrimento.
La brevità del volume non dà spazio ad un approccio analitico; in queste pagine si susseguono spunti di riflessione volti a tratteggiare lo Zeitgeist della società digitale, senza pretese di esaustività. In particolare, quello che emerge, nell’excursus storico, filosofico e antropologico dell’Autore, è l’esito finale, ovvero il presente atomistico del Web, fondato su narcisismo, desideri e consumi, incompatibile con il concetto di comunità. Si sente l’eco di una vasta letteratura critica nei confronti della modernità e della società dei consumi che, a partire dalla Scuola di Francoforte, ha descritto puntualmente la trasformazione del cittadino in homo oeconomicus dedito ai consumi.
Il processo, scrive Aime, è stato graduale. Se l’urbanizzazione dilata gli spazi e i tempi della vita e il modello industriale otto-novecentesco aliena gli individui dallo spazio famigliare, questo avviene comunque con il formarsi di luoghi d’incontro che danno vita a delle collettività precise con idee e interessi condivisi: pensiamo alla fabbrica, ai sindacati o alle società di mutuo soccorso. Poi, con il benessere portato dal boom economico, l’autosufficienza inizia ad alimentare l’individualismo e la privatizzazione delle esistenze – grazie anche alla televisione – facendo venire meno la necessità del mutuo aiuto e della collettività. Infine, anche il lavoro, asse portante della società nel ventesimo secolo, si imbatte in profondi cambiamenti, verso una direzione più flessibile ed effimera. Il durevole, sottolinea l’Autore, è scomparso e la nuova precarietà rende tutto più labile ed effimero: «Oggi tutto viene consumato in fretta, anche lo spazio: i negozi cambiano di continuo, gli oggetti sostituiti, i libri hanno una durata brevissima, poi vengono subito tolti dagli scaffali, ecc. L’obsolescenza programmata sembra avere pervaso ogni campo […] La rincorsa alla novità porta a bruciare tutto rapidamente, è come se il presente avesse sferrato un attacco alle altre forme di tempo. L’accelerazione produce un effetto di alienazione. Vengono meno quei punti di riferimento che indicavano un ambiente sociale più stabile, più sicuro e più affidabile che andava oltre la durata di una singola vita. I legami diventano sempre meno indispensabili, anche quelli nazionali, regionali, comunitari, di vicinato, familiari si indeboliscono» (pp.28-29).
Come già accennato, quelle di Aime sono più riflessioni e suggestioni che vere e proprie analisi strutturate. In ogni caso, l’immagine che l’Autore ci offre può apparire, se non vera, quantomeno verosimile. A questo punto, considerati i caratteri peculiari della contemporaneità e l’impossibilità di un ritorno al passato, Aime si chiede: come costruire comunità che reggano tempi e ritmi della contemporaneità?
Il punto di partenza, leggiamo, è la costruzione di una “filosofia del co”, fondata appunto sulla condivisione: «riscoprire il valore della condivisione significa superare l’impoverimento umano e culturale a cui ci porta la solitudine della competizione a ogni costo, del possesso come marchio di successo» (p.114). Aime auspica nuove forme di azione “co-mune” e “co-llettiva” finalizzate non solo alla razionalizzazione delle risorse ma anche alla creazione di nuove socialità e reti amicali basate sulla fiducia. L’Autore si concentra poi sul concetto di dono, che fugge da ogni logica economica, e su quello di bene comune, sempre più trascurato. In altre parole, Aime cerca parole e concetti che possano tracciare un modello di società alternativo a quello individualista e capitalistico odierno, imperniato su una logica del profitto ineluttabilmente conflittuale con la comunità e i suoi assiomi – reciprocità, condivisione, mutuo aiuto.
Il volume di Aime rappresenta una lettura agile e piacevole e le sue poche pagine riescono comunque ad offrire spunti preziosi. Le riflessioni sul rapporto conflittuale tra comunità e contemporaneità aiutano a comprendere il presente atomistico del Web e ne rappresentano una acuta denuncia. Davanti allo smarrimento di questa delicata fase storica, maturare un pensiero critico e riprendere alcune parole dimenticate è sempre più fondamentale. Questo libro, “piccolo” ma non per questo contenutisticamente debole, è un passo in avanti verso questa direzione.