“Cosmo-politica”: l’Italia nello Spazio westfaliano. Intervista a Marcello Spagnulo
- 30 Novembre 2020

“Cosmo-politica”: l’Italia nello Spazio westfaliano. Intervista a Marcello Spagnulo

Scritto da Giacomo Centanaro, Alessandro Strozzi

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Marcello Spagnulo è ingegnere aeronautico, scrittore e divulgatore, Presidente del Marscenter di Napoli. Ha diviso per più di trent’anni la sua carriera professionale nel settore aerospaziale tra Italia, Francia e Paesi Bassi, in aziende private e in agenzie governative, tra cui l’Agenzia Spaziale Italiana e la European Space Agency ESA. Ha all’attivo più di trenta pubblicazioni scientifiche e quattro libri sullo spazio.

Il tema aerospaziale si fonda ovviamente su una grande complessità tecnica, ma se la dimensione scientifica richiede competenze specifiche, la comprensione della sua importanza politica è invece più intuibile. Lo Spazio è stato a partire dagli anni Cinquanta il campo di prova delle abilità e delle capacità più avanzate e raffinate del sapere scientifico degli Stati: nell’ottobre 1957, dopo il lancio dello Sputnik 1, il primo satellite artificiale mandato in orbita e fino a quando l’Apollo 11 non sbarcò sulla Luna nel 1969, a Washington si percepiva l’inquietudine del fatto che la scienza sovietica – letteralmente – incombesse minacciosa sull’America. Con questo contributo, Pandora Rivista si propone di dare inizio sulle sue pagine a una discussione volta ad affrontare un tema dal grande valore strategico per la futura (e passata) competizione tra Stati ma anche per le applicazioni in ambito economico che potrebbero essere garantite dallo spillover del progresso della ricerca scientifica. Ci si riferisce a quest’ultimo ambito con l’espressione Space economy, così definita dal Ministero dello sviluppo economico italiano: «la catena del valore che, partendo dalla ricerca, sviluppo e realizzazione delle infrastrutture spaziali abilitanti arriva fino alla generazione di prodotti e servizi innovativi “abilitati” (servizi di telecomunicazioni, di navigazione e posizionamento, di monitoraggio ambientale previsione meteo, etc)»[1]. Alla “Space economy 1.0” (basata sui servizi dei satelliti nel settore delle telecomunicazioni, sulla georeferenziazione) si sta rapidamente configurando la 2.0 che si concentra sullo sfruttamento delle risorse extra-terrestri per sostenere l’economia del pianeta[2]. In tutto questo l’Italia può essere un attore dal ruolo sostanziale, grazie alla qualità di un settore aerospaziale integrato verticalmente e completo, dalla progettistica alla manifattura, dall’analisi dei dati alle operazioni di lancio.


Iniziamo con i fondamentali. Perché un attento osservatore della politica internazionale dovrebbe prestare particolare attenzione alle attività degli Stati oltre l’atmosfera?

Marcello Spagnulo: Questo aspetto ha le sue basi nella natura intrinseca delle attività spaziali, che si sono sviluppate nel secolo scorso con la missilistica come uno strumento purtroppo essenzialmente bellico e che poi nel secondo dopoguerra si sono evolute anche con l’astronautica e con i sistemi satellitari, facendo compenetrare sia le esigenze politico-militari che quelle scientifiche. Per questa sua caratteristica particolare, quindi, necessita ovviamente di una tecnologia all’avanguardia, quella chiamata Rocket science. Se uno Stato sviluppa una tecnologia per fare attività nello Spazio lo fa per motivi che sono insieme scientifici, politici e militari. Quindi diventa importante prestare particolare attenzione al livello di sviluppo, cioè alla capacità di uno Stato di sviluppare la tecnologia autonomamente oppure di doverla acquistare da un Paese terzo… le due cose fanno una grande differenza. Per esempio, negli ultimi anni le attenzioni politiche verso Stati come Corea del Nord o Iran erano mirate alle loro attività nell’ambito nucleare e nell’ambito spaziale, perché ovviamente è la compenetrazione di questi due campi che faceva di quelle nazioni degli attori geopolitici espansivi, assertivi. Fa molto più “rumore politico” se la Corea del Nord lancia un missile affermando di voler raggiungere lo Spazio piuttosto che se costruisce un’infrastruttura che può risultare altrettanto strategica per la nazione.

 

Quali vantaggi commerciali derivano per uno Stato da un settore aerospaziale avanzato? Dovremmo aspettarci un uso più agevole di pratiche di spionaggio industriale da parte di un “egemone tecnologico”?

Marcello Spagnulo: Vi sono indubbiamente vantaggi economici che derivano da una supremazia tecnologica e ci sono ovviamente delle applicazioni commerciali che derivano dai sistemi spaziali quindi la maitrise, il dominio della tecnologia spaziale, aiuta gli Stati a proporre innovazioni che poi diventano anche commerciali. Un esempio del secolo scorso di questa dinamica è il GPS: un sistema spaziale e terrestre tecnologicamente avanzato che ha consentito uno sviluppo commerciale impensabile, che dura tuttora e che durerà in futuro. Tengo a precisare, però, che sono sviluppi difficili da ipotizzare: non era difficile prevedere che il GPS avrebbe generato una ricaduta commerciale, lo era però intuire in che forme e modalità. Passando all’aspetto dello spionaggio industriale, lo spionaggio industriale esiste, ma è una realtà che è sempre stata presente. Un monopolista commerciale tende ovviamente a fare la sua intelligence per capire come i suoi potenziali competitor commerciali operano. Nel settore spaziale si unisce anche la valenza politica e qui l’aspetto importante riguarda quello che sta avvenendo in questo secolo, e cioè la presenza di operatori commerciali – penso ad Amazon – che già oggi hanno una certa supremazia logistica e commerciale, che si stanno lanciando nei sistemi spaziali e quindi lo fanno sicuramente per incrementare il loro vantaggio commerciale che si unisce poi anche a un vantaggio in termini di monitoraggio e di controllo. Quindi i sistemi spaziali sono entrati in una nuova fase in cui commercio e geopolitica assumono forme tecnologiche radicalmente nuove. Facendo qualche esempio, i satelliti sono hackerati non solo per prenderne il controllo ma anche per captare la telemetria, i dati delle comunicazioni. Un’operazione di spionaggio avviene ovviamente con satelliti che fotografano, è un’attività di intelligence estremamente diffusa. Il sistema dell’alleanza Echelon utilizzava anche i satelliti poiché questi rilevavano le emissioni elettromagnetiche, che poi decodificate davano luogo all’intercettazione della comunicazione di dati e voce ed è quindi ancora oggi una pratica importante. Penso inoltre a forme di spionaggio che avvengono direttamente nello Spazio, cioè satelliti che affiancano altri satelliti e ne rilevano le comunicazioni e poi le rimbalzano ai loro centri di controllo che le ricodificano e comprendono che cosa e dove sta trasmettendo. L’impatto di queste pratiche è subito evidente se pensiamo a satelliti in orbita che trasmettono alle truppe in operazioni in teatri di guerra.

 

Pensa che in un prossimo futuro vi potrà essere una modifica allo statuto istitutivo dell’European Space Agency? Infatti, a partire dalla sua fondazione nel 1975, all’ESA è preclusa ogni attività di carattere militare. Inoltre, vedrebbe come possibile uno stretto coordinamento con l’European Defense Agency EDA?

Marcello Spagnulo: Come ho avuto modo di dire nel mio libro, nel momento in cui ESA ha proposto e partecipato alla realizzazione di sistemi a carattere duale come Galileo si è dovuta affiancare alla Commissione UE, ha dovuto fare dei grossi distinguo per dimostrare che quello che veniva sviluppato sarebbe stato un sistema civile; in Europa sono coscienti di questo problema. Un cambio di statuto dell’ESA a breve termine penso sia difficile poiché questo è stato siglato dai ministeri degli affari esteri di ventidue Stati, ci vorrebbe l’unanimità e un membro che proponesse le modifiche, e guardando alla situazione attuale, non mi sembra di vedere nessuno che stia agendo per questo cambio di statuto. Mi sembra che l’approccio politico, a livello europeo, sia quello di spostare il baricentro politico-decisionale non tanto verso l’European Defence Agency (che opera e ha una sua dotazione finanziaria), quanto piuttosto verso la Commissione europea, alla direzione generale che si occupa di industria della difesa e spazio ed è diretta dal commissario Thierry Breton. Vedo una tendenza ad accentrare quelle che sono le politiche industriali che afferiscono alla difesa e mi sembra di vedere che l’agenzia europea per i programmi spaziali diventerà quella che oggi è la Galileo Supervisor Authority e che secondo i documenti ufficiali della Commissione dovrebbe diventare una European Space Program Agency. Sarà interessante vedere come questo si intersecherà con l’agenzia spaziale europea, perché ovviamente una nuova agenzia di programma della Commissione non potrà non cooperare con l’agenzia tecnica che è l’ESA e quindi ci sarà probabilmente un equilibrio.

 

Guardiamo ora all’Italia. Nel recente rapporto pubblicato dal MISE dedicato alla Space economy italiana, si denota un’ottima posizione per il nostro Paese: l’industria aerospaziale italiana è al 3° posto in Europa dopo Francia e Germania e al 7° posto su scala mondiale, con una comunità di circa 200 aziende di varie dimensioni articolate in 12 distretti regionali. In un Paese con difficoltà strutturali che pesano sul suo sviluppo tecnologico e la sua innovazione e che ha perso posizioni in settori chiave come quello delle telecomunicazioni, il settore aerospaziale sembra quindi essere un’eccezione. Come è stato possibile? Quali sono le caratteristiche del comparto aerospaziale italiano?

Marcello Spagnulo: L’Italia è una nazione che nonostante fosse uscita sconfitta dalla Seconda guerra mondiale è riuscita a ricostruirsi e anche a ricostruire un suo tessuto industriale, non solo agricolo, che nel dopoguerra ha guardato anche a nuovi settori: energia, telecomunicazioni e quindi anche aerospazio. Non dimentichiamo che l’Italia ha sempre avuto una forte tradizione aeronautica. L’origine quindi dell’ “eccezione” è in realtà una normalità che risale agli anni Cinquanta e Sessanta. Negli anni Sessanta, accademici italiani, come il mio professore all’università Luigi Broglio, costruivano satelliti a Roma e li lanciavano nello Spazio dalla base di Malindi, in Kenya; non è quindi un’eccezionalità, quanto un filone di ricerca che negli anni è diventato industria con tutte le difficoltà che ne sono seguite. L’aver contribuito alle attività dell’Agenzia spaziale europea, fondata nel 1975, è stato un volano di integrazione molto importante perché ha messo le nostre università e le nostre industrie a contatto con un panorama europeo avanzato e in evoluzione e quindi ha contribuito alla formazione di queste capacità industriali. Considero l’esperienza italiana nel settore aerospaziale come un percorso in un settore tecnologico innovativo per il ventesimo secolo, in cui l’Italia ha saputo dare il suo contributo fin dall’inizio, e le cui attività si sono evolute negli anni conseguentemente a questo percorso incentrandosi in larga parte su un grande attore, cioè sulla grande industria (sostanzialmente di Stato) che ruotava intorno al conglomerato di Finmeccanica. Poi negli anni sono sorte anche altre realtà – grandi, medie e piccole – che ovviamente si sviluppano quando esite un humus favorevole, cioè quando c’è un governo che finanzia un settore, un’industria che lo alimenta e anche una organizzazione sovranazionale, come è stata l’ESA, che ne richiede prodotti, servizi e sviluppi.

 

In un Paese in forte crisi occupazionale giovanile che sperimenta quotidianamente un saldo negativo di capitale umano verso l’estero, l’aerospazio può rappresentare una promessa di valorizzazione delle competenze? Potrebbe essere un importante mezzo per diffondere quella cultura scientifica di cui spesso il Paese sembra essere deficitario?

Marcello Spagnulo: La “fuga dei cervelli” c’è sempre stata; più di 30 anni fa forse lo sono stato anche io quando sono andato a lavorare all’estero per più di 10 anni, poi però sono rientrato in Italia. La “fuga” in questo senso è un cliché, perché andare a lavorare all’estero aiuta a formarsi, a interagire, a conoscere altre realtà. È anche vero che in Europa, nell’ambito delle attività dell’Agenzia spaziale europea, anche se non si andava a lavorare fisicamente all’estero nell’industria e nelle università si avevano (e si hanno tuttora) rapporti quotidiani con realtà internazionali. La “vera” fuga dei cervelli riguarda il fatto che le persone vanno all’estero perché non trovano lavoro in Italia o ci vanno perché vengono loro offerti posti importanti (quindi in questo caso è utile coglierne le opportunità). Il punto è che sicuramente l’aerospazio è un settore tecnologico estremamente avanzato, ma ce ne sono tanti altri: come le telecomunicazioni terrestri, la robotica, la bioingegneria, il biomedicale solo per dirne alcuni. L’aerospazio ha dalla sua l’appeal scientifico; il fatto di poter costruire satelliti che fanno scienza, che usano tecniche per rilevare raggi gamma, che ascoltano la radiazione di fondo, che fotografano angoli sconosciuti dell’Universo e pianeti del sistema solare. Sono tutte cose con un grande appeal, giustamente, e alimentano la grande sete di conoscenza scientifica. Insieme allo sviluppo tecnologico ciò rende di una nazione l’essere un Paese industrializzato e scolarizzato, avanzato come si dice in gergo, che detiene comparti accademici e industriali che si occupano di questi settori. Ovvio che non si possa “fare tutto” però è già molto riuscire a farlo in più settori possibile e l’aerospazio è assolutamente uno di questi. In caso contrario non avremmo motivo di avere università che formano ingegneri, fisici, matematici, informatici etc., è come un loop virtuoso che si alimenta: formiamo giovani perché dobbiamo dar loro la possibilità di lavorare in industrie, col sostegno pubblico ma anche privato, dove poi esprimono il loro talento e aiutano la crescita del Paese.

 

Come la storia contemporanea ha insegnato, in molti settori i concetti di autonomia tecnologica e indipendenza nazionale si confondono, sovrapponendosi. L’Italia si è dotata della normativa del cosiddetto golden power per tutelare la propria sicurezza nazionale in settori economici ritenuti strategici, tra cui quello aerospaziale. Quali sono i punti più critici per l’interesse nazionale italiano in questo comparto?

Marcello Spagnulo: Il golden power non rappresenta in sé una novità, le prime norme legislative che parlavano di golden rule, poi diventata golden power, cominciano a essere elaborate nel 2010-2011 e una delle motivazioni per cui si iniziò a pensare a questa normativa fu proprio la tutela di asset spaziali, e in particolar modo quelli del lanciatore Vega che in quegli anni l’Italia stava sviluppando e che sarebbe stato lanciato qualche anno dopo. C’è molto Spazio nella genesi del golden power, non è una novità degli ultimi mesi, anzi, è uno dei motivi per cui fu pensata una norma di questo tipo. Poi negli ultimi mesi si è visto che il golden power poteva essere applicabile anche a settori come quello bancario, finanziario, assicurativo e agroalimentare. I punti critici per l’interesse nazionale nel comparto aerospaziale sono quelli in cui il governo ha investito molto, come la missilistica, la progettazione e la fabbricazione di antenne, di apparati radio elettronici, di sistemi di telecomunicazione satellitare. Sono questi i principali punti critici da monitorare.

 

Nel suo libro, La geopolitica dell’esplorazione spaziale, dedica molte pagine alla Francia e al suo tentativo di consolidare e mantenere l’autonomia strategica propria di una grande potenza in campo aerospaziale – dalla force de frappe al ruolo nella nascita dell’ESA. L’Italia intrattiene con la Francia intensi rapporti industriali a volte animati da grande competizione (si veda il recente caso sui cantieri di Saint-Nazaire), anche nel settore aerospaziale. Guardando a un’intesa strategica come quella tra Thales e Leonardo, quali prospettive potremmo delineare per la collaborazione italo-francese nel settore?

Marcello Spagnulo: Nel mio libro ho dedicato molte pagine alla Francia perché ho lavorato lì per molti anni imparando tantissimo tra l’Europa, la base di Kourou nella Guyana e gli Stati Uniti, e perché bisogna riconoscere l’oggettiva spinta propulsiva, politica e tecnologica di quella nazione verso il settore spaziale e aerospaziale. È un dato di fatto che non si può prescindere. Nei secoli scorsi si poteva girare il mondo, commerciare, fare la guerra a bordo di velieri che venivano costruiti presso numerosi centri di potere (dalle repubbliche marinare italiane ai nascenti Stati nazione come Portogallo, Spagna, Francia, Paesi Bassi) che avevano una proiezione politica militare e commerciale. A partire della seconda metà del ventesimo secolo per spostarsi nel mondo si sale su aerei che sono di fabbricazione americana o francese, Boeing o Airbus. Questo dà già una dimensione dell’importanza di un Paese come la Francia, che non può essere trascurata e che quindi va considerata con rispetto ma con la giusta volontà di un Paese come l’Italia che può dire la sua senza essere secondo a nessuno, con la giusta consapevolezza degli obiettivi e dei limiti che le si pongono davanti. La collaborazione strategica e industriale tra Italia e Francia nel campo satellitare è già delineata: la più grande azienda italiana fa parte di un gruppo franco-italiano e le sue prospettive ed evoluzioni dipendono essenzialmente da quella che è la strategia di politica industriale dell’Italia. Quindi non tanto dalle (giuste) necessità commerciali dell’industria di sviluppare i propri prodotti, di vendere i propri prodotti a mercati istituzionali governativi così come a mercati commerciali, quanto da quella che è la strategia di politica industriale che fa il governo. In Francia questa strategia di politica industriale governativa ha le giuste prospettive di lungo periodo, perché le conseguenze di quello che si sceglie di fare nello Spazio si vedono dopo 10 anni non dopo un anno, non al bilancio di esercizio successivo di un’impresa. È questo l’aspetto aspetto molto importante ed è per questo che l’attore chiave per le prospettive italiane in questo settore non è tanto il partner francese, quanto il governo italiano.

 

Le orbite intorno alla Terra si stanno popolando di un numero sempre maggiore di satelliti, alcuni con finalità commerciali, ma per la maggior parte con funzionalità militari e di intelligence. Gli Stati moderni hanno sempre regolato i propri rapporti in base a confini rigidamente tracciati, e quando questo non era possibile, all’attività diplomatica seguiva spesso quella militare. Come tracciare il “limes” nello Spazio?

Marcello Spagnulo: La questione è molto complicata, perché ci si confronta proprio con una condizione di “non delimitabilità”. Sulla Terra è possibile delimitare, sia sul dominio terreste che su quello marittimo. Nello spazio evidentemente questo non è possibile, e infatti il problema principale è dato dall’assenza di sovranità di sorvolo, ecco perché nel Secondo dopoguerra USA e URSS sviluppavano missili in continuazione, se si lanciava lo Sputnik e si sorvolava il territorio statunitense non c’era un “limes”, ma non c’era nemmeno un trattato internazionale che limitasse quel limes perché appunto non si poteva delimitare. E quindi non è stato delimitato, e tuttora non lo è. Oggi è possibile mettere in orbita un satellite a 100, 200, 400, 1.000 km e sorvolare tutto il mondo. Però c’è una particolarità: ci sono alcune zone, quindi alcuni tratti del limes spaziale intorno alla terra che invece sono regolamentati. Penso alle orbite geostazionarie a 36.000 km, lì è possibile posizionare satelliti solo se lo slot geografico è sopra il proprio Paese; in caso contrario è necessario accordarsi con lo Stato interessato. Quindi attualmente le attività spaziali vivono in un ibrido normativo che concerne alcune orbite e altre no, per non parlare del caso ci si spinga oltre la sfera geostazionaria, quindi verso lo spazio lontano o cislunare: lì non c’è nessuna tipologia di normativa. Lo spazio vicino (quello delle orbite che chiamiamo “basse”) si sta popolando drammaticamente. Elon Musk vuole mettere in orbita decine di migliaia di satelliti e Jeff Bezos altrettanto, così entrambi assicurerebbero una capillarità di connessione e a quel punto non sarà più neanche una questione di limes. Se vogliamo fare un paragone sarà come se fino a due secoli fa ci si fosse trovati con migliaia di vascelli davanti alle proprie coste, e senza poter impedire l’arrivo di nuovi. Questo implicherebbe la necessità di riunirsi a livello Nazioni Unite oppure tra gli Stati che hanno la capacità di “occupare” il limes spaziale. Siamo abbastanza lontani da quel punto e il mio timore è che vi sarà il momento in cui avremo problemi di ecosostenibilità, perché i satelliti in orbita si scontrano già adesso – quando non vengono fatti scontrare appositamente – e inquinano a diversi livelli. Mi viene da pensare che la possibilità di regolamentazione potrà avere luogo solo a seguito di effetti drammatici sul piano della ecosostenibilità. Quando si parla di “astropolitica” si tende spesso a trasporre il diritto marittimo alla dimensione spaziale, lo Spazio, però, è diverso: il limes spaziale a differenza di quello marittimo o terrestre, non è delimitabile. Si tenta allora di dare una categorizzazione attraverso il tracciamento di “rotte”, che nello Spazio corrispondono alle orbite, a binari predefiniti. Il vero sforzo intellettuale di questo secolo è ripensare la dimensione spaziale senza rifarsi ai canoni terrestri o marittimi. È una grande sfida, che porta a tracciare una diversa filosofia della normativa.

 

Gli investimenti nella Space economy come cambieranno la quotidianità dei cittadini? Quantum computing, monitoraggio dei cambiamenti climatici e asteroid mining che rapporto intrattengono con la ricerca scientifica aerospaziale? Quanto di queste innovazioni è concretizzabile con gli attuali flussi di investimento pubblici e privati e quanto invece rimane ancora nella categoria delle ipotesi?

Marcello Spagnulo: Innanzitutto, l’asteroid mining è un’attività possibile solo nello Spazio, mentre il quantum computing essenzialmente si fa sulla Terra, dove si cerca di trovare una tecnica computazionale quantistica per sviluppare l’intelligenza artificiale; sono quindi piani diversi con diversi livelli di applicabilità. L’asteroid mining è una prospettiva interessante però sarà un’opzione realistica forse tra qualche decennio, mentre il quantum computing può essere alla portata di questo decennio, e poi la sua applicabilità potrà essere più rapida nello Spazio, penso per esempio a un sistema di osservazione della Terra dedicato a meteorologia e climatologia che consenta di fare una previsione veloce e migliore dell’evoluzione del clima. La sua rapida concretizzazione dipende ovviamente da quanto viene investito e se l’attività di ricerca ha alle spalle una prospettiva di lungo termine. Qui entra in gioco una nuova variabile perché fino a poco tempo fa erano i governi che investivano in queste attività spaziali, adesso ci sono anche attori privati che hanno meno scrupoli e magari meno limiti per accedere a risorse finanziarie (borse e fondi di investimento) e quindi hanno una capacità temporale di sviluppo applicativo che è diversa rispetto alla fase. I nuovi attori privati potrebbero impiegare un tempo sensibilmente inferiore per giungere a importanti innovazioni e questo deve essere tenuto in conto dalla programmazione di un governo.

 

Gran parte della letteratura fantascientifica degli anni Cinquanta e Sessanta è calata in un’atmosfera malinconica e rassegnata nei confronti dei limiti ricorrenti ed eterni della natura umana, spesso miope e infantile – si pensi al capolavoro Cronache marziane di Ray Bradbury. Concludendo – a costo di porre una domanda retorica – quale lato umano pensa che potrebbe prevalere, anche in minima parte, negli affari spaziali e nella gestione delle scoperte scientifiche? Quello cooperativo-scientifico o quello conflittuale-statuale? Come ricorda nel suo libro La geopolitica dell’esplorazione spaziale, infatti, la rincorsa tecnologica spaziale può divenire non solo causa di competizione ma anche utile ed efficace strumento di politica estera.

Marcello Spagnulo: Bisogna avere realismo: l’aspetto conflittuale statuale è il volano primario, mentre quello cooperativo scientifico è un importante e utile corollario. Un corollario utile perché può aiutare a placare la conflittualità westfaliana, cioè può ricoprire il ruolo di mitigatore di una conflittualità politica. Negli anni della Guerra fredda gli scienziati russi, americani, europei e indiani che si incontravano nelle conferenze internazionali ovviamente dialogavano tra loro ed erano anche latori di messaggi politici dei rispettivi governi, l’humus scientifico diventava anche in quel luogo, una zona franca dedicata alla scienza che però poi portava anche delle istanze e dei messaggi politici. Bisogna uscire dai cliché; è vero, ci sono molte “anime belle” che vedono il ruolo ricoperto dalla scienza come l’obiettivo unico e primario che deve essere “sopra” la politica, ma c’è anche chi invece sa bene che l’attività scientifica è importante perché da un lato aumenta la conoscenza e dall’altro può essere quell’elemento che conduce a mediare politicamente e quindi a far convergere le cose verso un equilibrio umano sostenibile. Nella prima parte della vostra domanda viene richiamato Ray Bradbury con le sue atmosfere melancoliche, e non c’è solo lui. Arthur Clarke aveva realisticamente immaginato le missioni su Marte e poi ha scritto racconti filosofici e onirici richiamando l’origine della vita umana a qualcosa di extraterrestre, poi Asimov ha puntato molto sulla robotica. Noto quindi che è possibile fare un paragone. Elon Musk ha usato il robot quadrupede della Boston Dynamics per compiere ispezioni a un suo sito di lancio dove non potevano essere inviati esseri umani… e se tra qualche anno quelle stesse mansioni venissero ricoperte da robot umanoidi? Quello che era fantascienza sta diventando oggettivamente realtà, ed ecco che torniamo all’aspetto scientifico come elemento mitigatore. Uno scienziato, così come deve fare un politico, può capire a fondo l’importanza e l’impatto dell’inviare nello spazio un robot umanoide o un essere umano magari geneticamente modificato in aspetti della struttura esoscheletrica o dermatologica. Cyber security, quantum computing, intelligenza artificiale, robotica e aerospazio sono tutti temi che possono essere percepiti come separati ma che visti dall’ottica di chi fa politica, strategia, industria devono essere considerati come un insieme, unico e complesso.


[1] https://www.mise.gov.it/space-economy

[2] Marcello Spagnulo, Geopolitica dell’esplorazione spaziale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2019, pp. 138-140.

Scritto da
Giacomo Centanaro

Dottorando in Storia economica nell’ambito del Dottorato d’interesse nazionale in Studi Europei. Ha lavorato presso il Ministero dell’Università e della Ricerca. Ha studiato presso la Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, l’Università LUISS di Roma e l’Université Paris 1 Pantheon-Sorbonne. È alumno della Scuola di Politiche.

Scritto da
Alessandro Strozzi

Junior Fellow presso l’Aspen Institute e il Centro Studi Americani, partecipa al Programma ISPI Future Leaders. Laureato in Giurisprudenza all’Università LUISS Guido Carli, ha conseguito un Master in Affari Strategici e un Master of Arts in International Public Affairs alla LUISS School of Government. È assistente alla didattica del Master in Relazioni Istituzionali, Lobbying e Comunicazione d’impresa presso la LUISS Business School. Ha partecipato alla seconda edizione della Scuola di Politiche e alla prima edizione della Scuola Politica “Vivere nella Comunità”. Collabora con istituzioni e imprese per gli ambiti delle relazioni istituzionali e della sicurezza nazionale.

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