Dal racing allo spazio: il caso di Dallara. Intervista a Andrea Pontremoli
- 22 Luglio 2024

Dal racing allo spazio: il caso di Dallara. Intervista a Andrea Pontremoli

Scritto da Giacomo Bottos

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Andrea Pontremoli è Amministratore delegato di Dallara Automobili e Presidente di MUNER – Motorvehicle University of Emilia-Romagna.


Perché e in che modo un’azienda come Dallara, con la sua storia e la sua vocazione, si è avvicinata al settore dello spazio?

Andrea Pontremoli: Le nostre attività su larga scala nel settore spaziale si sono avviate attraverso un progetto negli Stati Uniti, in collaborazione con SpaceX, che abbiamo svolto circa otto anni fa. Si tratta di un’attività specifica, che si evolve però a partire dal nostro settore e dalle nostre capacità consolidate, che riguardano l’innovazione nell’aerodinamica, nelle leghe e nei compositi in fibra di carbonio. Per operare nello spazio la leggerezza, e quindi i materiali che possono garantirla, rappresenta una questione fondamentale, considerando i costi energetici che comporta l’uscita dei vettori dall’atmosfera. Con SpaceX abbiamo realizzato un lavoro importante e la collaborazione prosegue a tutt’oggi. Dopo questo primo avvicinamento allo spazio, il nostro coinvolgimento ulteriore è avvenuto con la collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, che è iniziata in seguito alla conoscenza con il colonnello dell’Aereonautica Militare Walter Villadei.

 

Prima di trattare nel dettaglio la collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, le chiederei di approfondire le ragioni per cui SpaceX vi avvicinò.

Andrea Pontremoli: Negli Stati Uniti disponiamo di una certificazione di altissimo livello legata all’ambito spaziale, che ci permette di operare anche in attività con vincoli di riservatezza e che è stata fondamentale per l’avvio della nostra collaborazione con SpaceX. Questa certificazione, che abbiamo ottenuto anni fa lavorando su componenti legate allo spazio, e i risultati nei settori per noi più tradizionali hanno testimoniato come fossimo capaci di operare in campo spaziale, in un momento in cui SpaceX cercava qualcuno con queste caratteristiche. Così siamo stati in grado di presentare un’offerta molto vicina a quella del loro mondo. Per il nostro lavoro abbiamo ricevuto il best supplier award di SpaceX, un riconoscimento che ci è arrivato anche grazie alla nostra esperienza nel motorsport, un settore in cui le date sono fisse – la gara si svolge in quel momento e in quell’ora – e che ci ha abituati a rispettare sempre le deadline. Ad esempio, SpaceX ha apprezzato la nostra capacità, in caso di invio di un progetto sbagliato di restituirlo corretto e di fornire il prodotto in tempo, invece di utilizzare – come nel caso di molti altri fornitori – l’errore di progetto come scusa per ritardare la consegna del prodotto. Noi siamo abituati ad arrivare in tempo e se un cliente ci manda cose sbagliate, siamo anche abituati a correggerle velocemente.

 

La vostra presenza nel settore aerospaziale era precedente rispetto al focus sullo spazio in senso stretto. Che ruolo riveste il settore aerospaziale nel quadro delle vostre attività?

Andrea Pontremoli: Abbiamo tre modelli di business: il racing, che ha cicli annuali; l’automotive, che utilizza quanto impariamo nel racing come “consulenza”, il cui ciclo è di 3-5 anni per poi trasferire queste conoscenze a chi fa supercar. In questo modo il tempo di ammortamento cresce a 3-5 anni. Questa conoscenza l’abbiamo portata anche sull’aerospazio dove i cicli sono di 10-20 anni e in questo modo riduciamo il rischio.

 

La cultura che c’è nei settori racing e automotive è differente rispetto a quelle dello spazio e dell’aerospazio?

Andrea Pontremoli: Quello che si cerca da noi è l’innovazione provata nel racing in un tempo certo. Quello che noi invece apprendiamo nell’aerospazio è la certificazione di quello che facciamo. Mentre quando avviene un incidente che coinvolge un’auto è possibile controllare successivamente quale sia l’elemento che non ha funzionato, se un aereo o una navicella precipitano e si distruggono non c’è più nulla. L’analisi di quanto è accaduto deve avvenire solo “sulla carta”. Occorre dunque avere le certificazioni di tutti i passaggi di processo e di progettazione per capire dove sia l’errore. Legata a questa vi è una grande precisione nel tenere traccia delle azioni svolte e delle certificazioni dei diversi soggetti coinvolti. Questo ha rappresentato una grande scuola per noi, perché ci ha insegnato a modificare i nostri processi rispetto al motorsport, che ha tempi diversi e meccanismi meno robusti. C’è una burocrazia apparentemente molto pesante che rallenta, mentre noi eravamo un’azienda che operava con una velocità completamente diversa. Diciamo che siamo riusciti a unire e a ibridare questi due elementi e a innescare un processo di complementarietà virtuosa.

 

Tornando alla collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, come è stata avviata?

Andrea Pontremoli: Quando abbiamo cominciato a investire nell’aerospazio abbiamo assunto un generale dell’Aeronautica Militare, Alessio Grasso, che era il capitano del colonnello Walter Villadei quando questi era assegnato al primo ente operativo dopo l’Accademia Aeronautica, la 46^ Brigata Aerea di Pisa. Ci ha dunque messo in contatto con quest’ultimo che, anche attraverso la sua esperienza di cosmonauta, ci ha aperto il mondo della space economy, che abbiamo iniziato ad approfondire i suoi diversi aspetti. Inizialmente pensavo che la space economy fosse tutto ciò che riguarda la tecnologia dello spazio, ma in seguito sono arrivato a un concetto diverso e molto più ampio. Si può, in linea di massima, dividere questo ambito in contenitore e contenuto. Se il contenitore è il missile, la navicella, la stazione spaziale, il contenuto è tutto quello che si può fare con questi strumenti e dentro di essi. Fatto cento il business del contenitore, il business del contenuto è cento volte tanto. Stiamo quindi parlando di mercati che valgono trilioni di dollari. La cosa interessante è che nella parte della space economy che attiene al contenuto entra il “mondo normale”: aziende che operano in settori più tradizionali – agricoltura, alimentare, cosmetica, materiali ecc. – utilizzano i problemi e le costrizioni che gli pone lo spazio per trovare soluzioni che servono anche per la loro attività sulla Terra.

 

Ragionando su questa distinzione, Dallara lavora sia sul fronte del contenitore che su quello del contenuto?

Andrea Pontremoli: Abbiamo cominciato con SpaceX lavorando sul contenitore, ma adesso, ed è questo che ci ha portato a contatto con la Regione Emilia-Romagna, ci stiamo concentrando sul contenuto – insieme ad aziende come Barilla e Prada – per trovare soluzioni che se funzionano nello spazio si potranno implementare più facilmente sulla Terra. Ad esempio, dato che nello spazio non c’è acqua occorre riutilizzare sempre quella a disposizione che si continua a depurare. Nelle nostre case invece usiamo l’acqua e la smaltiamo, ma se invece si riciclasse continuando a depurarla potremmo dare un contributo importante al contrasto dei problemi legati alla siccità e alla carenza idrica. Pochi sanno che lo sforzo tecnologico che ha portato gli Stati Uniti a raggiungere la Luna produsse circa 150.000 brevetti, tra diretti e indiretti. Molti di questi brevetti li usiamo ancora oggi: il GPS nei telefoni, gli occhiali per i raggi ultravioletti, il velcro sono tutte innovazioni legate a impieghi terrestri che però derivano da quanto abbiamo appreso nella corsa allo spazio. Un altro esempio sono i medicinali, così come i cosmetici, perché sarà interessante provare questi prodotti in un contesto in cui l’invecchiamento è precoce. Nel nostro territorio – con la Motor Valley, la Food Valley e la Fitness Valley – esistono molte aziende che, pur non operando nel settore dell’aerospazio, hanno molto interesse a fare ricerche nello spazio e a utilizzare lo spazio come campo di prova per le loro tecnologie e i loro prodotti, per questo ci siamo rivolti alla Regione Emilia-Romagna. Nel caso di Dallara lo spazio è particolarmente interessante per quanto riguarda la ricerca sui materiali leggeri per creare delle leghe che sulla Terra non si possono realizzare per via dei pesi specifici molto diversi dei materiali.

 

Quindi utilizzare l’ambiente spaziale per sviluppare strumenti tecnologici d’avanguardia e poi invece utilizzare nello spazio tutte le tecnologie che possediamo e sviluppiamo sulla Terra. Com’è proseguita la collaborazione e com’è maturata l’idea della partecipazione alla missione della Regione Emilia-Romagna? 

Andrea Pontremoli: È stato determinante poter contare su un astronauta dell’Aeronautica Militare Italiana e sulla disponibilità della Regione Emilia-Romagna a finanziare il suo addestramento a Houston. Su questo era stato interpellato Lorenzo Guerini, l’allora Ministro della Difesa, che a sua volta ha parlato con l’allora Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, il generale Alberto Rosso. In seguito, è stato coinvolto anche l’attuale Capo di Stato Maggiore il generale Luca Goretti. La Regione ha quindi stretto un accordo con l’Aeronautica, finanziando una parte dei costi dell’addestramento di Villadei, a condizione che l’astronauta facesse esperimenti in orbita per le aziende dell’Emilia-Romagna. Uno schema replicabile, che potrebbe estendersi a livello nazionale. Il colonnello Villadei è arrivato al polo spaziale di Houston come personale distaccato dell’Aeronautica per perfezionare il suo addestramento e in seguito si sono presentate le occasioni per farlo volare in una missione che è stata finanziata in parte dallo Stato italiano, in parte dal pool di aziende interessate alle ricerche che sarebbe stato possibile svolgere. Questo rappresenta un modello positivo, in cui lo Stato mette a disposizione le risorse per l’investimento iniziale, per l’infrastruttura e le aziende pagano un “biglietto”, i costi per usufruire dell’opportunità che è stata così messa a disposizione. Il ruolo del settore pubblico è infatti fondamentale in questa sfida dato che le aziende italiane non possono permettersi di realizzare in autonomia la totalità degli investimenti necessari. Lo Stato, quindi, costruisce le infrastrutture – si potrebbe fare il paragone con la costruzione della rete autostradale – mentre le aziende le utilizzano per costruire nuove forme di business da portare sulla Terra… o nello spazio.

 

Quali sono gli esperimenti condotti da Dallara nell’ambito di questa missione?

Andrea Pontremoli: Nelle fasi preliminari avevamo preparato diversi esperimenti per poi concentrarci, per ragioni di fattibilità legate a tempi e costi, su uno specifico progetto. Ogni esperimento deve passare sotto le “forche caudine” della NASA e ogni componente e passaggio deve essere certificato. Non si possono, solo per fare alcuni esempi, portare batterie né nulla che comporti dispersione di polveri. Nel nostro primo esperimento – realizzato in collaborazione con il CNR e con Spacewear, un’azienda italiana che opera nel campo della ricerca e sviluppo di materiali tessili e abbigliamento per il settore aerospaziale – abbiamo testato un materiale progettato per schermare le radiazioni da raggi gamma. Altri esperimenti che abbiamo in programma riguardano la riparazione di componenti in fibra di carbonio nello spazio, in modo da essere in grado, in caso di rotture, di effettuare le riparazioni necessarie direttamente nello spazio in assenza di gravità. Un’esperienza da cui contiamo di apprendere molto e di riuscire poi a trasferire procedimenti e tecnologie anche sulla Terra. Delle tre aree di attività che abbiamo – materiali, simulazione e aerodinamica – gli esperimenti si concentrano soprattutto nell’area dei materiali e in parte sulla simulazione perché la caratterizzazione dei materiali fa parte della simulazione, si tratta di capire come cambiano le caratteristiche di un materiale a diverse condizioni in presenza di stimoli che è possibile creare velocemente nello spazio. Ad esempio, per i materiali in fibra di carbonio più innovativi che usiamo non conosciamo i tempi del processo di invecchiamento, non abbiamo ancora i dati sufficienti per comprenderlo appieno. Nello spazio però è possibile esporre questi materiali a raggi solari diretti e avere così un invecchiamento super-precoce rispetto a quello sulla Terra e in questo modo capire meglio come e cosa invecchia. 

 

Qual è il bilancio di questa prima esperienza e quali immaginate possano essere le applicazioni a livello aziendale?

Andrea Pontremoli: Al momento è ancora troppo presto per poter rispondere in modo esaustivo a questa domanda. Siamo in una learning phase e stiamo ancora imparando a gestire le attività nello spazio e tutta la mole di certificazioni richieste; i risultati concreti e le singole applicazioni aziendali arriveranno in un secondo momento. D’altra parte, questo tipo di sperimentazione ha un costo economico elevatissimo, varie volte superiore a quello sulla Terra, anche per piccoli progetti. E inoltre l’astronauta in orbita può dedicarsi alle attività sperimentali solo per brevi periodi.

 

Guardare a questo sviluppo dall’Emilia-Romagna è molto interessante perché è la nascita di un settore nuovo e inesplorato.

Andrea Pontremoli: È così, in questo contesto noi abbiamo in qualche modo fatto da apripista, ma procedendo insieme ad altre aziende: Barilla, GVM Care & Research e Spacewear. Oggi ci sono decine di aziende interessate alle ricadute della space economy e alla partecipazione ai progetti della Regione. Esistono, però, anche aspetti problematici. Ci si concentra ancora soltanto sul contenitore e non sul contenuto della space economy e inoltre, per quanto riguarda la ricerca, molto resta affidato soltanto alle istituzioni e non sempre il dialogo tra le aziende del settore e le attività di ricerca nei vari campi, ad esempio dell’Agenzia Spaziale Europea, avviene in maniera efficace e produttiva.

 

Quindi rispetto a questa prima esperienza quali sono le valutazioni che a questo punto, non tanto solo a livello di impresa ma di ecosistema, dovrebbero essere fatte per crescere?

Andrea Pontremoli: Innanzitutto è fondamentale l’impegno pubblico. Nessun’azienda italiana da sola può pensare di fare un investimento per andare nello spazio. Un l’impegno pubblico che significa innanzitutto indirizzare al meglio le risorse che già spendiamo nello spazio, cioè circa 2-3 miliardi. Un punto fondamentale è quello delle fortissime barriere finanziare nell’accesso a questo settore. Ad esempio, per l’ecosistema italiano dello spazio sarebbe preziosa la creazione di in’infrastruttura di ricerca finanziata dallo Stato e messa a disposizione delle aziende che, a loro volta, sosterrebbero i costi degli esperimenti che vi si svolgono.

 

Una forte collaborazione tra pubblico e privato peraltro si osserva anche nelle tendenze globali del settore, ad esempio nel caso degli Stati Uniti.

Andrea Pontremoli: Esatto. La NASA, ad esempio, ha capito che – dopo lo stop di Barack Obama nel 2011 al programma space shuttle, dovuto alle perdite di vite umane che si erano registrate e agli alti costi economici delle missioni – pur continuando a finanziare la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) non possedeva più gli strumenti per raggiungerla. Così la NASA si è in prima battuta rivolta all’Agenzia spaziale russa per raggiungere la ISS e dal 2011 al 2021 tutti gli astronauti americani, al costo di circa 100 milioni di dollari a missione, sono andati in orbita con le Soyuz russe. Nel frattempo, però, la NASA ha promosso un grande cambiamento, passando da ente produttore a ente certificatore. Ha aperto il mercato ai privati, rendendo però obbligatoria la certificazione. Quindi alcune cose continua a finanziarle direttamente il governo statunitense, mentre altre sono reperibili sul mercato privato secondo un modello di partnership. Nessun’azienda italiana riuscirà a ripetere lo stesso tipo di esperienza, tuttavia in altre forme è possibile pensare a interazioni positive tra pubblico e privato anche nel nostro Paese.

 

Che rilievo può avere il settore spaziale rispetto al tema della sostenibilità?

Andrea Pontremoli: Quello della sostenibilità è un tema su cui stiamo lavorando a livello di comparto. Barilla, ad esempio, sta lavorando sulla sostenibilità dell’alimentazione per gli astronauti. Ma come si gestisce questo aspetto? Gli alimenti saranno portati direttamente dalla Terra o si troveranno soluzioni per produrli assenza di atmosfera o di acqua, ma con un Sole che dà molta più energia perché non è filtrato dall’atmosfera? Sono domande affascinanti che richiedono il coraggio di esplorare sempre nuove strade, perché non ci sono certezze e più si va avanti più si va verso l’ignoto. Così come Cristoforo Colombo coi suoi viaggi, anche noi non sappiamo a cose porterà questa costante esplorazione: sono frontiere che daranno risposte in futuro.

 

Un altro fronte è quello dell’intelligenza artificiale e del supercalcolo e anche lì ci sono tantissime aree confinanti.

Andrea Pontremoli: Quello del supercalcolo è un settore di grande importanza, che già ci ha messo a disposizione numerosi strumenti che consentono di realizzare simulazioni sempre più accurate e di ridurre la possibilità di errore facendo prove preventive. Grazie a queste tecnologie abbiamo già un modello digitale prima di andare a lavorare sulle componenti fisiche dei nostri prodotti. È lo stesso modello che usiamo per le auto da corsa: il pilota prima di mettersi alla guida dell’auto testa il suo digital twin e solo quando viene scoperto un modello funzionante si prova a livello reale. E i nuovi dati ricavati dall’esperienza reale sono poi reintrodotti nel livello digitale, per renderlo sempre più simile al vero. Un modo di operare che potrà essere ancora più determinante in un settore delicato come quello spaziale. 

 

Per concludere in un orizzonte di dieci anni come si immagina questo settore?

Andrea Pontremoli: Vedo lo spazio come un ambiente dove è possibile affrontare problemi che non si riescono a risolvere sulla Terra. Non è tanto una questione di andare nello spazio come umanità, non potrà essere questo l’orizzonte per miliardi di persone, ma credo che dovremo utilizzare lo spazio per vivere meglio sulla Terra, trovando soluzioni nuove ai problemi a cui le condizioni sulla Terra ci costringeranno a rispondere.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

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