Scritto da Gianluca Piovani
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Questo articolo si propone di introdurre il lettore al concetto di diversificazione nell’ambito degli investimenti finanziari. La diversificazione è uno dei concetti più rilevanti delle teorie sugli investimenti di portafoglio e, oltre ai risvolti teorici, può avere anche conseguenze pratiche sulle scelte di investimento dei propri risparmi. A seguito di una prima parte di impostazione teorica saranno discussi alcuni temi più pratici con esempi riferiti e tipologie di prodotti finanziari come i fondi comuni di investimento e gli ETF. Conoscere i prodotti finanziari su cui si investe o si potrebbe investire e alcune logiche di valutazione su cui basarsi può essere, oltre che interessante, utile nella costruzione del proprio portafoglio di investimenti.
La diversificazione in ambito finanziario risponde al criterio di buon senso di frazionare i rischi. L’esempio tipico è quello di dover trasportare delle uova e di dover scegliere se mettere tutte le uova in un paniere oppure in più panieri diversi affidati a più corrieri: nel primo caso se cade il paniere tutte le uova si rompono e si è rovinati mentre nel secondo caso se cade uno dei panieri si perde solo una frazione della propria ricchezza. Si può argomentare che in realtà distribuendo le uova in più panieri aumenta la probabilità che cada qualche paniere: è vero. Supponiamo che la probabilità che cada un paniere sia di uno su dieci e che quando un paniere cade tutte le uova al suo interno si rompono certamente. La probabilità di perdere tutte le uova nel caso di caricarle in un solo paniere è del 10%. La media aritmetica delle perdite sarà pari al 10% del valore delle uova ma in realtà il rischio è molto concentrato e nel 10% dei casi – valore niente affatto trascurabile – si perderà il 100% delle preziosissime uova. Come alternativa supponiamo di mettere le uova in 10 panieri diversi: in media uno cadrà e perderò il 10% del valore delle uova, d’altra parte la probabilità che cadano tutti e dieci è pari a 10^-10 ovvero 0.00000001%. Frazionare il rischio rende gli scenari attesi più “concentrati” vicino al valor medio diminuendo l’incertezza sull’esito dell’operazione. La diversificazione non incrementa la perdita (o il guadagno) medio atteso, che è sempre del 10%, ma la distribuisce in modo più equo smussando gli eventi estremi. Questo corrisponde all’idea generale di evento meno rischioso.
Si sostituisca ora alle uova di cui sopra un titolo obbligazionario, ad esempio il debito di una grande impresa o di uno Stato, e si ipotizzi che la probabilità che la grande impresa/Stato fallisca sia del 10%. Il rendimento in caso di non default sarebbe invece pari al 20%. Immaginiamo esistano 10 titoli con queste caratteristiche e si possa scegliere se investire 100 euro in uno solo di questi oppure proporzionalmente in tutti e dieci. Nel caso si investa in un solo titolo, nel 90% dei casi si avrebbe un guadagno notevole e pari al 20%, ma nel restante 10% dei casi si perderebbe tutto. In media si avrebbe un rendimento dell’8% (120*90%+0*10%). Al contrario frazionando i 100 euro in modo uguale nei 10 titoli, si avrà che probabilmente uno fallirà ma gli altri più che compenseranno la perdita: si guadagnerà quindi 2 euro su ciascuno dei 9 titoli non in default perdendone 10 su quello in default. Il guadagno totale sarebbe di 8, che infatti è pari all’8%. La differenza tra i due casi sta solamente nel rischio cui si va incontro, non nel guadagno medio. La diversificazione serve a stabilizzare l’esito di un investimento, non ad aumentare il rendimento medio.
Diversificazione in pratica: i fondi comuni
Diversificare nei mercati finanziari non è così facile come potrebbe sembrare a prima vista. In primo luogo comporterebbe aumentare notevolmente la propria operatività sui mercati finanziari: nell’esempio sopra sarebbe necessario acquistare 10 titoli invece di 1. Se ogni operazione svolta implica un costo in termini di commissioni, diversificare potrebbe non essere più conveniente. Inoltre non tutti i titoli hanno lo stesso rischio e al trascorrere del tempo il rischio di un medesimo titolo può variare sensibilmente: per mantenere un portafoglio dal profilo di rischio-rendimento equilibrato divengono così necessari studi approfonditi e un’operatività frequente, entrambe attività non alla portata del risparmiatore medio. La soluzione escogitata da un punto di vista di ingegneria finanziaria è stata la creazione dei cosiddetti fondi comuni di investimento.
Un fondo comune di investimento è basato sull’idea di mettere insieme tanti investitori piccoli per crearne uno grande per cui i costi sopra accennati siano quasi irrilevanti. Ipotizziamo che pagare le commissioni per le transazioni finanziarie e stipendiare degli specialisti per monitorare i propri investimenti costi 100.000 euro. Tale costo è proibitivo per un investitore normale, ma per un miliardario tale costo ammonterebbe solamente allo 0,01% del suo patrimonio e sarebbe quindi facilmente sostenibile. Un fondo comune di investimento è un contenitore in cui più risparmiatori versano i propri risparmi al fine di raggiungere una massa critica tale da rendere possibile sostenere i costi della diversificazione. Tutti i risparmi versati in uno stesso fondo sono gestiti in maniera uguale e non vi è possibilità di richiedere un trattamento diverso da quello riservato agli altri aderenti al fondo. Al fondo è associato un prospetto informativo che ne descrive i costi per il risparmiatore e le logiche di investimento: ad esempio il fondo Alpha potrebbe richiedere commissioni pari al 1% ed investire nel debito pubblico italiano con scadenza 5-10 anni mentre il fondo Beta potrebbe richiedere commissioni pari al 2% ed investire in titoli azionari americani. Una differenza rilevante tra un fondo posseduto unicamente da un miliardario e uno diviso in migliaia di quote tra piccoli investitori è che in caso di performance non brillanti il miliardario può licenziare il gestore mentre voi, pur pagando le commissioni, non avete un accesso così diretto al gestore e dovete sperare che lo faccia chi il fondo ve lo ha venduto. Più in generale esistono alcuni problemi di allineamento degli interessi tra il gestore-distributore del fondo ed il risparmiatore che sorgono a causa del fatto che il frazionamento delle quote rende maggiormente difficile un controllo diretto dell’operato dei gestori: tale tematica è generalmente denominata in letteratura modello principale-agente e ne daremo alcuni esempi nel seguito dell’articolo.
Si noti che per avere diversificazione è necessario investire in beni decorrelati. Mi spiego meglio: ipotizziamo che i corrieri che portino le uova siano dei ciclisti che procedono in gruppo: in questo caso diventa molto probabile che la caduta di uno causi a catena la caduta di tutti gli altri e aver diversificato non sarebbe servito a niente. Similmente nei mercati finanziari: spesso quando il mercato azionario americano perde, perdono anche quello europeo e giapponese. La teoria economica suggerisce quindi di investire in più settori possibilmente non correlati tra loro: tradizionalmente questi settori sono l’obbligazionario e l’azionario. Generalmente quando l’economia va bene le imprese registrano ottimi utili e le azioni salgono; al contrario le obbligazioni ristagnano. Al contrario, nei periodi di crisi, in cui l’economia fatica, le azioni perdono e i flussi di investimento si riversano sulle obbligazioni, generalmente ritenute più sicure delle azioni, che quindi guadagnano. La tattica di investimento privilegiata dai gestori è quindi quella di investire una parte del patrimonio dei clienti in azioni ed una parte in obbligazioni per sfruttare i vantaggi della diversificazione. La quantità di azioni ed obbligazioni da inserire nel portafoglio è decisa in base al profilo di rischio-rendimento dell’investitore: un investitore prudente avrà molte obbligazioni e meno azioni, al contrario un investitore dal profilo rischio-rendimento più elevato.
Fondi comuni: conflitti principale-agente
Nel momento in cui decideste di investire i vostri risparmi tramite una banca, la banca sarebbe obbligata a sottoporvi un questionario in ottemperanza alla cosiddetta normativa MIFID. La normativa MIFID regola i rapporti tra banca e clienti soprattutto in termini di trasparenza. Nel questionario vengono richieste varie informazioni principalmente per inquadrare il livello di rischio-rendimento migliore per il cliente, in base al quale la banca poi gestirà i suoi risparmi o gli fornirà consulenza. Dal punto di vista della banca, cioè della vendita di prodotti di investimento (fondi comuni compresi), sono convenienti clienti dal profilo di rischio-rendimento elevato a causa del meccanismo con cui vengono determinate le commissioni. Come anticipato sopra, questo può generare alcuni problemi di conflitto principale-agente. Le commissioni infatti vengono generalmente pagate a chi gestisce il fondo, che raramente è la banca; d’altra parte la banca presta la sua rete di vendita e quindi richiede che una parte delle commissioni del gestore siano destinate a lei per ripagare il servizio di vendita. La parte di commissioni retrocesse alla banca vengono anche dette rebates. La banca quindi ha interesse che le commissioni pagate al fondo siano quanto maggiori possibile perché una parte le viene retrocessa. Questo la spinge ad aumentare il livello di rischio per due distinti motivi:
Alcuni studi suggeriscono che i questionari MIFID dei risparmiatori presentano profili di rischio-rendimento troppo alti e la causa di ciò potrebbe essere che il cliente non ha voglia di occuparsene e si fida della banca (“mi compili lei tutte queste scartoffie, passo domani per firmare tutto”) oppure che le domande possono essere percepite come irrilevanti e solo come un inutile limite burocratico. Effettivamente i questionari MIFID possono imporre limiti fastidiosi. In caso di profilo di rischio basso è vietato alla banca investire i denari del risparmiatore in taluni prodotti e questo può essere molto scomodo: andare in banca per dare un ordine di investimento e sentirvi rispondere che non potete è estremamente frustrante. Nel caso siate sufficientemente esperti di investimenti una soluzione comoda può essere effettivamente monitorare direttamente il rischio dei vostri investimenti, al contrario nel caso non siate investitori esperti potrebbe esservi utile considerare con attenzione il questionario MIFID che potrebbe poi tutelare la rischiosità dei vostri investimenti da possibili mosse azzardate.
Fondi attivi e fondi passivi, ETF
I fondi comuni di investimento sono classificabili in due famiglie, quelli a gestione attiva oppure passiva. Una gestione si dice passiva quando copia passivamente l’andamento di un indice detto benchmark: è a gestione passiva un fondo che si propone di copiare il rendimento dell’indice americano S&P500 oppure dell’italiano FTSE MIB. Per ottenere il rendimento del benchmark di riferimento è sufficiente copiare la composizione dell’indice ed il lavoro di gestione si traduce banalmente nella compravendita di titoli per ricalcare le variazioni nella composizione del benchmark. Tale forma di gestione è relativamente semplice e comporta costi ridotti. Il guadagno finale dell’investitore sarà pari a quello dell’indice meno le commissioni. Un fondo attivo è invece un fondo che lavora non per copiare il benchmark ma per batterlo: un fondo attivo che lavora sull’S&P500 si propone di guadagnare più dell’S&P500 grazie alla conoscenza e all’intuito dei gestori. I gestori non lavorano gratis e di conseguenza solitamente i fondi attivi richiedono il pagamento di commissioni più elevate.
Meglio un fondo attivo oppure uno passivo? La teoria economica prevalente ipotizza l’esistenza di cosiddetti mercati perfetti: l’enorme mole di flussi informativi e la grande quantità di studiosi di mercato e professionisti dell’investimento fanno raggiungere ai prezzi un livello “equo” tale per cui qualunque rendimento è esattamente proporzionato al rischio che implica l’investimento. In altre parole nessun gestore attivo può davvero sperare di battere il benchmark perché il benchmark, in quanto espressione del mercato, è perfetto. Secondo la teoria dei mercati perfetti un gestore attivo può solo fare delle scommesse e sperare che poi gli vadano bene. Sebbene la teoria dei mercati perfetti rappresenti un’astrazione matematica, un caso limite che raramente prende corpo nella realtà empirica e quindi per certi versi un po’ irrealistica, studi empirici dimostrano che mediamente i fondi a gestione attiva hanno la stessa performance dei relativi benchmark, risultando infine peggiori al netto delle commissioni. Sebbene la tecnica per vendere fondi attivi sia chiaramente prospettare alti guadagni, Il valore di un fondo attivo sta forse maggiormente nell’aspetto di consulenza: in teoria investire in modo diversificato è molto facile, si investe un po’ in azioni e un po’ in obbligazioni e si replica l’andamento del benchmark. Da un punto di vista pratico però quale benchmark scegliere? Il mercato USA? Europeo? Giapponese? Quali obbligazioni? Titoli di stato tedeschi a rendimento negativo, obbligazioni spazzatura di emittenti a rating basso, obbligazioni in valuta, magari di paesi emergenti? Difficile orientarsi nel mare dei prodotti finanziari. Un fondo a gestione attiva implica il pagamento di commissioni ma permette di evitare il rischio di commettere errori magari anche banali, che invece poi nella pratica sono molto meno banali che nella teoria.
Una tipologia di fondi passivi particolarmente interessante è quella dei cosiddetti ETF (exchange traded fund). Un ETF è in sostanza un fondo comune quotato in borsa. La quotazione ne aumenta la trasparenza diminuendone quindi spesso le commissioni. Gli sviluppi di mercato hanno portato gli ETF ad essere solitamente fondi passivi il cui scopo è fare concorrenza a ribasso sulle commissioni pagate ai fondi attivi che sono invece spesso spinti dai venditori perché sfruttano al meglio l’esperienza dei gestori (e per le maggiori commissioni che pagano). Nel tempo ETF è divenuto sinonimo di fondo a gestione passiva mentre solitamente dicendo semplicemente “fondo comune” si intendono quelli a gestione attiva non quotati.
La diversificazione è un concetto chiave della teoria degli investimenti finanziari moderna. Per rispondere alla domanda di diversificazione da parte degli investitori i mercati hanno sviluppato prodotti denominati fondi comuni che permettono ai risparmiatori di usufruire dei benefici di diversificazione e della conoscenza di professionisti dei mercati prima riservati solamente a grandi investitori. Lo sviluppo del settore dei fondi comuni e del risparmio gestito è attualmente in forte crescita e sta diventando sempre più percepito come sicuro e affidabile. Per godere dei vantaggi di questo settore è necessario tuttavia investire nel modo più consapevole possibile per evitare offerte poco convenienti o in conflitto di interessi, vuoi per le commissioni troppo elevate percepite dal venditore, vuoi per un profilo di rischio non appropriato.