“L’economia italiana nell’età della globalizzazione” di Vera Zamagni
- 17 Aprile 2018

“L’economia italiana nell’età della globalizzazione” di Vera Zamagni

Recensione a: Vera Zamagni, L’economia italiana nell’età della globalizzazione, il Mulino, Bologna 2018, pp. 208, 14 euro (scheda libro)

Scritto da Luca Picotti

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L’economia italiana negli ultimi anni è stata spesso sotto i riflettori degli investitori internazionali e delle cancellerie di Bruxelles per la sua intrinseca fragilità. All’interno delle economie più avanzate del mondo, quella italiana si è distinta – in negativo – a partire dalla fine del secolo scorso, con l’avvento della globalizzazione e, in seguito, con la Grande Crisi del 2008. La competizione internazionale ha favorito l’egemonia del modello anglo-americano della grande corporation[1], penalizzando la piccola impresa e le specificità territoriali, spina dorsale del modello di sviluppo economico italiano. Quali sono i limiti e le prospettive dell’Italia nel contesto globale?

Vera Negri Zamagni, docente di Storia economica all’Università di Bologna e al SAIS Europe della Johns Hopkins University, nel suo ultimo libro L’economia italiana nell’età della globalizzazione, ripercorre gli ultimi settant’anni di storia economica italiana, analizzando l’evoluzione dei principali dati macroeconomici, le forme del sistema produttivo e i fattori strategici per lo sviluppo, come il capitale sociale e civile. In un agile volume di neanche duecento pagine, Zamagni delinea i tratti essenziali dell’economia italiana, pescando nella storia e nelle radici di questo paese i fattori che più ne hanno determinato la peculiarità, i punti di forza e di debolezza.

Zamagni, dopo aver sinteticamente evidenziato alcuni aspetti fondamentali della storia italiana – le radici romane, il rinascimento e l’auto organizzazione delle città-stato, il ruolo del papato, il patrimonio culturale, il risorgimento e la breve ma dolorosa parentesi del fascismo – traccia un excursus storico-economico che va dalla nascita della repubblica fino ai giorni nostri[2].

 

Vera Zamagni: 1946-2016, un’analisi quantitativa

Il periodo della ricostruzione (1946-1951) vide come protagonisti Alcide De Gasperi e il suo ministro Luigi Einaudi, autore nel ’47 della stretta creditizia che mise sotto controllo l’inflazione e stabilizzò il cambio. Grazie ai fondi americani garantiti dal Piano Marshall e all’attivismo dell’Iri, l’Italia si avviò per la strada della modernizzazione, aderendo alla CECA e varando importanti riforme nel campo sociale: eliminazione del latifondo, programma di edilizia popolare, Cassa del Mezzogiorno. Il miracolo economico (1952-1973) fu trainato dalle regioni industriali del Nord, dai distretti industriali e dalle PMI specializzate. Zamagni ricorda inoltre l’importanza dell’ENI di Mattei, la nazionalizzazione dell’ENEL nel 1962 e il ruolo dell’Italia nell’elettronica e nell’invenzione della plastica. L’Autrice tratta poi del ritorno all’instabilità (1973-1992), con il proliferare degli atti di terrorismo e, per quanto riguarda l’economia, con il problema dell’inflazione – sono gli anni turbolenti della fine del gold standard, della crisi petrolifera, dell’entrata nello SME e del divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Il periodo 1993-2007 viene definito l’età delle riforme incomplete: per citarne due, le privatizzazioni finalizzate alla riduzione del debito pubblico (condizione per entrare nell’area euro) e le riforme del mercato del lavoro volte ad assecondare le esigenze della globalizzazione.

Infine, l’Autrice si concentra sull’Italia nella grande crisi internazionale (2008-2016), sottolineando come il nostro paese sia stato colpito più duramente degli altri[3] ed evidenziando l’instabilità politica che ha accompagnato i difficili anni della crisi.

Dopo l’excursus storico-economico, Zamagni si cimenta in un’analisi quantitativa del periodo 1946-2016, suddivisa nelle sei seguenti sezioni: popolazione e forza lavoro; Pil, produttività e prezzi; bilancia commerciale; settore pubblico; welfare; indicatori istituzionali. Per quanto riguarda la popolazione, fra le notazioni più significative vi è l’andamento del tasso di fertilità: sopra i due figli a donna fino agli anni Settanta, poi crollato a poco più di un figlio per donna ai giorni nostri. Un altro elemento importante è l’immigrazione: l’Italia aveva nel 1951 un saldo migratorio negativo del -2.8%, mentre nel 2011 un saldo positivo del 4.1% (da terra di emigrazione l’Italia è diventata terra di immigrazione). Sul fronte del lavoro, è da segnalare la strutturale bassa occupazione femminile, la crescita del settore terziario e il drastico declino degli scioperi.

Per quanto concerne il Pil, niente di nuovo sul fronte occidentale: i dati della professoressa ne evidenziano la forte crescita nei gloriosi trent’anni, il rallentamento con l’avvento della globalizzazione e il calo con la crisi. La bilancia dei pagamenti invece, scrive Zamagni, non ha mai visto grandi deficit, essendo l’Italia un paese con forte predisposizione alle esportazioni.

L’Autrice, analizzando la spesa pubblica italiana, critica le politiche di deficit – nonostante la stretta creditizia- degli anni Ottanta, responsabili dell’impennata del debito pubblico (nel 1981 era al 61,5 del Pil, nel 1991 al 98); per debellare l’eccessivo indebitamento, sottolinea la Zamagni, la leva fiscale dal 1975 a oggi è cresciuta di 18 punti percentuali, mentre a livello dei paesi OCSE solo di 4. Sul fronte del welfare, è da segnalare l’incidenza delle pensioni sul Pil, passata, a causa dell’invecchiamento della popolazione, dal 8.4% del 1974 al 17.2% del 2015 – nonostante le numerose e discusse riforme. Zamagni si focalizza inoltre sulla questione della povertà, sottolineando come il welfare italiano tuteli più le classi medie rispetto a quelle davvero povere e più gli anziani rispetto ai giovani: negli anni Novanta «l’incidenza della povertà relativa era maggiore fra la popolazione di oltre 65 anni rispetto a quella con meno di 17 anni (16% a fronte del 12%). Nel 2014 la povertà relativa di chi ha più di 65 anni si è ristretta al 10%, mentre quella dei minori di 17 anni ha raggiunto tra il 2011 e il 2014 il 19%» (p.88). Infine, per quanto riguarda la qualità delle istituzioni, la Zamagni si limita a evidenziare il problema, tipicamente italiano, dell’instabilità politica.

 

Particolarità del sistema economico italiano e conclusioni

Quali sono le particolarità dell’economia italiana? «Diciamo subito che si tratta di un capitalismo di mercato con una forte specializzazione in centinaia di “nicchie” in cui le medie imprese italiane sono leader a livello internazionale» (p.97). La grande impresa invece è minoritaria, costituita oggi in larga misura dalle ex imprese pubbliche privatizzate in parte o totalmente: nel 1991 le imprese con più di 1000 addetti erano 241 – con un numero medio di addetti di 3228 – mentre nel 2011 erano solo 176 – con in media 2438 addetti.

Per comprendere il successo delle PMI italiane bisogna, sottolinea Zamagni, cogliere l’importanza strategica dei «distretti industriali», formati da una concentrazione di PMI specializzate nella produzione di un tipo base di prodotto in tutte le sue possibili versioni. «La prossimità delle imprese permette lo sviluppo di una forza lavoro altamente specializzata […], l’organizzazione di servizi comuni […] e la predisposizione di una cornice istituzionale favorevole» (p.100). Il modello distrettuale dagli anni Novanta ha subito vari mutamenti, soprattutto a causa dell’imperativo della globalizzazione e dell’internazionalizzazione. Alcune imprese si sono internazionalizzate – dando vita al fenomeno noto come «quarto capitalismo» – aprendosi all’estero e togliendo così alle reti di PMI il tratto esclusivamente territoriale. Lo svilupparsi di medie imprese – fino ai 500 addetti, fatturato tra i 16 e i 355 milioni, proprietà italiana – è un fenomeno degno di nota, dal momento che, sottolinea Zamagni, «esse hanno rilevato una migliore performance per tutto il periodo dal 1996 in poi» (p.104), diventando la parte più dinamica dei distretti industriali (soprattutto grazie alle esportazioni del settore manifatturiero).  Ad indebolire invece il sistema economico italiano è l’assenza della grande impresa. Zamagni, dopo aver passato in rassegna la stagione delle privatizzazioni e le storie infelici di Telecom e Alitalia, si chiede come mai vi sia in Italia così tanta avversione per la grande impresa: tra i possibili motivi, la tradizione artigianale italiana, lo statalismo voluto dai partiti di sinistra nella prima repubblica, l’attenzione della DC per l’azienda familiare e, a causa di tutti questi fattori, il progressivo disinteressamento degli imprenditori verso la grande azienda a favore delle PMI specializzate.

Un altro aspetto peculiare dell’economia italiana è la massiccia presenza di forme di impresa cooperativa, previste tra l’altro dall’articolo 45 della nostra Costituzione. Ad esempio, in agricoltura un terzo della produzione nazionale è ottenuto dalle cooperative, nel settore dei trasporti le cooperative impiegano circa un quarto della forza lavoro del settore e, per quanto riguarda il settore bancario, vi sono circa 300 banche di credito cooperativo.

Zamagni analizza attentamente anche il fattore umano, spesso sottovalutato ma fondamentale per comprendere le dinamiche di un’economia. Le ricerche dell’Autrice vanno dalla questione dell’invecchiamento della popolazione – con conseguente aumento di spesa per pensioni e sanità – all’età del matrimonio che tende ad essere sempre più avanzata: nella fascia di età 30-40 anni il 40% dei maschi e il 25% delle femmine vivono ancora a casa coi genitori (tema collegato alla posizione delle donne nel mondo del lavoro). Sul fronte dell’istruzione Zamagni segnala il divario tra l’Italia e gli altri paesi: usando come parametro la percentuale di popolazione fra i 30 e i 40 anni con una licenza universitaria, nel 2016 l’Italia era al 26% contro, ad esempio, il 40% della Spagna.

Sul versante del capitale sociale, Zamagni evidenzia una forte contraddittorietà: da un lato l’Italia si colloca tra i paesi più virtuosi per tasso di omicidi e suicidi, per speranza di vita, per abitudini alimentari e per partecipazione alla vita sociale e culturale; dall’altro sembra non riuscire a risolvere la piaga dell’evasione fiscale e della criminalità organizzata.

Considerati i punti di forza (PMI specializzate, made in Italy, esportazioni) e i punti di debolezza (assenza di grandi imprese, debito pubblico, difficile convivenza con la globalizzazione) dell’economia italiana, su cosa deve puntare il Belpaese per sopravvivere nel contesto globale?

Sulle «sue imprese di media dimensione, che coniugano le radici locali con l’apertura internazionale […] Sostenere queste realtà e consolidare le poche aziende grandi esistenti è certamente una priorità della politica industriale del paese. L’altra priorità è sviluppare l’economia del patrimonio artistico e naturalistico del paese» (pp.179-180). Zamagni ritiene che l’Italia possa diventare il campione del modello economico noto come «economia civile di mercato», «che non fa perdere identità ai territori, investe nelle infrastrutture comunitarie, crede nella reinterpretazione delle tradizioni locali e coltiva relazioni familiari e associative» (p.180). Anche perché, scrive la professoressa, il modello economico basato sulla brama di profitto delle multinazionali è dannoso e genera disuguaglianze; l’Italia potrebbe – e dovrebbe – farsi portatrice di un modello alternativo capace di attrarre anche i partner europei, in modo da far sì che l’economia riprenda ad avere un volto umano.

Il testo fotografa con grande lucidità lo stato di salute attuale dell’economia italiana, cogliendone i tratti caratterizzanti grazie all’ausilio dell’analisi storica e sociologica. Emergono punti di forza, punti di debolezza e peculiarità che solo il nostro paese può vantare. Per chiunque volesse conoscere l’economia italiana attraverso i numeri ma anche attraverso importanti riflessioni, il libro di Vera Negri Zamagni è caldamente consigliato.


[1]    La grande corporation si basa su produzioni standardizzate su larga scala, catene di montaggio, manager senza legami con la proprietà.

[2]    Saranno esposti in modo estremamente sintetico i cinque sottoperiodi – la cui denominazione è riportata in corsivo – indicati dall’Autrice.

[3]    «Troppe delle piccole imprese italiane non sono state capaci di reagire adeguatamente, soprattutto a una caduta senza precedenti della domanda interna, a sua volta dovuta all’impossibilità dei governi italiani di sostenere la domanda con maggiore spesa pubblica, a causa del già troppo alto livello di indebitamento del paese» (p.61).

Scritto da
Luca Picotti

Avvocato e dottorando di ricerca presso l’Università di Udine nel campo del Diritto dei trasporti e commerciale. Autore di “La legge del più forte. Il diritto come strumento di competizione tra Stati” (Luiss University Press 2023). Su «Pandora Rivista» si occupa soprattutto di temi giuridico-economici, scenari politici e internazionali.

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