Scritto da Davide Emanuele Iannace
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Uno dei temi di policy che ha acquisito sempre più centralità nell’agenda pubblica nel corso degli ultimi anni è quello delle aree interne. Le aree interne sono uno spazio geografico precisamente definito[1] a partire da quelli che sono i poli urbani. Un “polo” è il comune che possiede al suo interno tre elementi: una stazione ferroviaria di tipo silver, un centro medico fornito di unità DEA di I livello e un sistema scolastico superiore composto almeno da un liceo e un istituto tecnico. A partire da questo polo, maggiore è la distanza di percorrenza necessaria ad arrivarvi, più periferica è l’area interna. Con la definizione messa in campo dal 2022, che ha cambiato il chilometraggio necessario a definire le aree periferiche-ultraperiferiche, oggi in Italia ricadono dentro le aree interne circa 4.000 comuni, il 58.8% del territorio nazionale e una popolazione di 13 milioni di abitanti. Si tratta anche di aree che più di altre stanno subendo le conseguenze legate alla crescente globalizzazione e allo spostamento di attività economiche e sociali dalle aree interne verso i centri urbani. La Strategia nazionale per le Aree interne (SNAI): definizione, obiettivi, strumenti e governance[2] è stato un primo tentativo, all’interno degli accordi di partenariato 2014-2020[3], di approcciare in maniera sistemica la questione delle aree interne.
Non solo la SNAI, ma anche le azioni poste in essere dall’Unione Europea e dagli attori privati hanno dato il via a nuovi filoni d’azione volti a rilanciare le attività sociali, economiche e culturali nelle aree interne. Queste particolari regioni geografiche devono far fronte a una serie di deficit, quali ad esempio la mancanza di adeguati servizi medici e di trasporto, assenza o inefficienze della connessione Internet, in alcuni casi la mancanza di strutture scolastiche, un accesso limitato a servizi primari, culturali e sociali e a opportunità lavorative che altre aree possono offrire. Esperienze come quelle degli Erasmus+[4] nelle aree interne sono chiari esempi dei tentativi da parte dell’Unione Europea di creare un insieme di sinergie positive che spingano non tanto alla mobilità verso le aree interne, quanto verso la diffusione di conoscenze e metodi atti a creare nuove strategie ad hoc per ricreare, potenziare, generare effetti positivi a cascata sui borghi delle aree interne. Un’azione che anche i privati, insieme spesso agli attori pubblici, tentano, come dimostrano ad esempio Sportello Talenti a Chieri o l’iniziativa dei Patti Generativi di Comunità[5].
Un esempio di attività che l’Unione Europea ha finanziato all’interno del progetto Erasmus+ è rappresentato dal programma Give Back[6], che ha visto la sua prima espressione nel 2022 con la Summer School dei giovani delle Aree Interne tenutasi nel comune di Castelvetere sul Calore, nella Bassa Irpinia. Il progetto ha portato cinquanta giovani, accumunati dal medesimo interesse verso le aree interne – chi per vocazione politica, chi lavorativa o chi semplicemente per passione – a Castelvetere sul Calore, per cinque giorni di tavole rotonde e incontri con esponenti politici, imprenditori, scrittori, poeti. A seminari frontali in cui gli ospiti potevano presentare i più diversi punti di vista si alternavano le tavole rotonde, suddivise in quattro temi – imprenditoria giovanile, e-democracy, scuola e digitale, cittadinanza europea –, permettendo un diretto confronto tra i giovani e alcuni degli stakeholder stessi. Un esperimento che ha tentato di unire giovani propensi a ragionare in maniera innovativa sul tema delle zone rurali e su come far fronte a quei fenomeni di spopolamento e impoverimento che da anni vi imperversano. Ancora di più, ha permesso di coinvolgere direttamente quegli stakeholder che per primi hanno un interesse diretto nelle aree interne, ovvero gli attori politici e gli attori economici. Lo scopo delle tavole rotonde era quello di stendere una serie di documenti da poter tradurre in policy proposal partite dai giovani, integrando i suggerimenti e le informazioni fornite dagli attori locali.
Gli attori locali hanno messo bene in luce come le aree interne non siano soltanto sospinte dai motori delle attività agroalimentari e turistiche, settori che hanno risentito fortemente delle conseguenze generate dalla pandemia da Covid-19[7] e che sono spesso visti come le uniche reali ricchezze e attrattività per le aree rurali. Imprese come Creazioni FASS – visitata nell’ambito della scoperta del territorio che il progetto Give Back ha inserito nei suoi obiettivi –, situata nell’area di Castelvetere e specializzata nella produzione tessile per marchi di pregio, rappresentano una mentalità imprenditoriale peculiare necessaria per garantire la diversificazione economica nelle ruralità. Non è casuale che, tra le varie esigenze sorte nelle discussioni e nei tavoli tematici tra partecipanti e stakeholder, siano stati spesso gli imprenditori a portare sul tavolo necessità come la formazione specializzata di personale per i propri comparti industriali. Certo, si tratta di richieste che spesso si scontrano con le naturali vocazioni di strutture come quelle universitarie – tendenzialmente distanti dalle aree interne – che mirano ad obiettivi diversi, come ad esempio la generazione d’innovazione. La mancanza di visione dell’imprenditoria sul ruolo dell’educazione superiore, così come, al contrario, la difficoltà delle strutture anche universitarie di leggere efficacemente le realtà circostanti, risiedono in un macro-problema è che il gap comunicativo tra le realtà potenzialmente interessate di un territorio, i cittadini e gli attori politici. È la comunicazione – sia verticale tra enti di gerarchie diverse, sia orizzontale nel medesimo spazio fisico – che tende a generare l’isolamento di cui le aree interne soffrono. Progetti come Give Back, che tentano di far dialogare al medesimo tavolo tutti gli attori potenzialmente coinvolti, vogliono offrire una soluzione a questo problema comunicativo. È nella comunicazione e nel confronto con se stesse e poi con altre aree interne, con i loro successi e i loro fallimenti, in un perenne studio e apprendimento delle best e worst practice, che le aree interne possono trovare un nuovo motore.
Da un progetto come quello svolto a Castelvetere risulta chiaro come vi sia una forte spinta e necessità da parte degli abitanti delle aree interne verso il salvaguardare la propria realtà, provando ad affrontarne la complessità con spesso pochi strumenti. Da un lato, si vuole preservare delle aree interne quel ritmo e quella ricchezza socioculturale che le hanno caratterizzate e che in alcuni casi sono letti come freni a potenziali nuovi sviluppi. D’altro canto, vi è una forte spinta perché si intraprendano percorsi di nuovo sviluppo economico e sociale, capace di essere motore di crescita e attrarre famiglie e imprenditori, soprattutto giovani, che possano tornare verso quelle aree ancora ricche di potenzialità. Iniziative come Give Back mirano, in quest’ottica, a radunare giovani e stakeholder sotto lo stesso metaforico tetto, mettendo insieme non solo l’individuazione dei problemi, ma anche la ricerca delle soluzioni. I nuovi sviluppi economici e sociali che possono diventare un vero motore di crescita, sono stati riconosciuti negli ambiti più diversi. La SNAI e un quadro strategico come il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR) hanno avuto e stanno avendo il merito di porre l’attenzione sulle aree interne, disponendo di piani integrati per affrontare alcune delle criticità che queste aree presentano. Questo anche partendo da alcuni dei vantaggi competitivi che le aree interne e rurali hanno: uno su tutti il costo della vita, che viene posto come uno dei principali punti a favore delle aree non urbane, mentre le città diventano sempre più costose. Un altro elemento è rappresentato dalla possibilità, tramite pratiche come il south working, di spostare il proprio posto di lavoro all’interno delle aree rurali continuando a collaborare con i propri datori di lavoro a distanza. Anche in assenza di un tessuto economico locale stabile, diviene possibile per una fetta di lavoratori – in particolare quelli giovani, che fanno largo uso di strumenti informatici – spostarsi anche in un borgo, laddove siano presenti però i servizi necessari, digitali e non. Qui l’altro lato della medaglia, che durante Give Back è emerso in maniera predominante: se da un lato gli imprenditori mettono in luce proprio il vantaggio di innestarsi su un territorio che offre costi della vita più bassi, sono soprattutto i giovani a rivendicare quei servizi – dalle infrastrutture fisiche e digitali fino ai servizi culturali – che possono sostenere la permanenza nelle aree interne nel lungo termine e non per brevi intermezzi temporali.
Diversi sono gli indirizzi emersi da Give Back e nati dall’incrocio di chi il futuro deve viverlo – i giovani – e chi ha iniziato a metterne i tasselli – politici, imprenditori, attori sociali. Ragionare in chiave di sostenibilità è sicuramente uno di questi tasselli. Un’esigenza che va innanzitutto verso la formazione di specialisti che siano competenti in materia – da operai specializzati per fabbriche hi-tech a nuove figure professionali capaci di lavorare su diversi piani, dall’europeo al nazionale. La sostenibilità riguarda anche la diversificazione del sistema economico locale: se da un lato i settori agroalimentare e turistico sono fondamentali per le economie delle aree interne, perché sia possibile un reale rilancio è sentita la necessità di affidarsi al rafforzamento di quelle capacità anche artigianali-industriali che producono ricchezza e attirano competenze sul territorio. Give Back ha anche messo in luce le necessità di un reale rapporto delle aree interne con i livelli di governance sia nazionali che europei. La stessa Summer School è un esempio di come alcune azioni di policy europea possono essere ripiegate per creare connessioni, competenze, network attivi sul territorio delle aree interne. La scuola è un altro tassello centrale della discussione che è sorta nelle cinque giornate di Castelvetere: luogo della socializzazione, rappresentazione della vitalità delle aree interne, ma anche centrale rispetto alla crescita dei giovani all’interno del proprio patrimonio territoriale e alla possibilità di creare legami duraturi nelle aree interne. Per gli imprenditori, è ovviamente cruciale la formazione di nuovi soggetti economici, lavoratori e operatori sul territorio. Se realtà come gli ITS[8] sono lodate per la loro capacità connettiva con il territorio, meno lo sono le università, considerate quasi come un ostacolo alle possibilità di crescita del territorio, perché eccessivamente distaccate da ciò che il territorio domanda, nella percezione che manchi una concezione dell’università come luogo di innovazione, e non solo di formazione. In questo senso, anche l’università potrebbe fungere da consulente attivo verso il territorio stesso, e da partner per imprese e attori politici.
Oltre alla sostenibilità, è la sinergia ad essere particolarmente richiesta dalle aree interne. La SNAI, il PNRR, il lavoro europeo verso le aree interne hanno posto dei fondamentali tasselli verso la creazione di network locali che mettano in rete le competenze, i fondi, gli stakeholder. Manca però una valorizzazione attiva di tali energie. Di certo, il futuro delle aree interne non può risiedere esclusivamente in pochi attori privati che, come nel caso di Brunero Cucinelli e di Solomeo[9], riescono a generare progetti e risultati, se pur ampiamente positivi, che rimangono strettamente legati all’azione imprenditoriale. È l’attore politico, ancora una volta, a doversi fare carico della responsabilità gestionale delle aree interne, non da solo sicuramente, ma in un’ottica cooperativa. Give Back ha generato, dal basso, un esempio di sperimentazione che le autorità pubbliche potrebbero riproporre nelle diverse aree interne. Quanto è vero per l’Irpinia può non valere per un’altra area interna, con diverse specificità e peculiarità. La sinergia degli attori locali e internazionali sarà sicuramente la chiave di volta per assicurarsi una rigenerazione che non sia solo ed esclusivamente un’impresa for profit, ma un’azione sostenibile a lungo termine, capace di rendere nuovamente attrattive le aree rurali e farle tornare a vivere.
[1] OpenPolis, Che cosa sono le aree interne, 14 giugno 2022.
[2] Ministero dell’Innovazione, dell’Università e della Ricerca, Strategia nazionale per le Aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance, Documento tecnico collegato alla bozza di Accordo di Partenariato trasmessa alla CE il 9 dicembre 2013.
[3] Rete Rurale Nazionale, ACCORDO DI PARTENARIATO 2014-2020.
[4] Erasmus+ è il programma dell’Unione Europea destinato all’istruzione, ai giovani e allo sport che mira a permettere ai giovani impegnati in temi di inclusione sociale, sostenibilità ambientale o transizione digitale (tra gli altri) di muoversi tra paesi diversi, o anche nella stessa nazione, per interagire con i propri pari e con stakeholder e apprendere nuovi metodi e nuove abilità da impiegare nel proprio campo.
[5] On! Impresa Sociale, Territori Generativi – Processi partecipativi, progetti di innovazione sociale e alleanze del valore condiviso per le lo sviluppo locale delle aree interne e delle periferie.
[6] Giovani Aree Interne, GIVE BACK La Summer School dei giovani delle Aree Interne, Borgo di Castelvetere sul Calore (AV), 26 luglio – 1 agosto 2022.
[7] Federturismo, dati impatto del PIL italiano dal turismo: WTTC: IN ITALIA L’INCIDENZA DEL TURISMO SUL PIL SCENDE AL 7%, 19 aprile 2021.
[8] Istituti Tecnici Superiori: https://www.miur.gov.it/tematica-its
[9] Solomeo, borgo del cashmere: https://solomeo.it/it