Recensione a: Mark Lilla, Ignorance and Bliss. On Wanting Not to Know, C. Hurst and Company, Londra 2024, pp. 256, 27 USD (scheda libro)
Scritto da Edoardo Vaccari
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Lo storico David Bidussa, nel suo recente saggio Pensare stanca, identifica nel sentimento di inquietudine – scaturito dalla «diffidenza verso il sapere facile» – il tratto distintivo dell’intellettuale moderno[1]. Questa tensione, che si manifesta inizialmente come una reazione emotiva per poi evolversi in una dimensione culturale e politica, trova una chiara incarnazione in Mark Lilla. Lilla rappresenta un esempio di intellettuale pubblico, capace di coniugare riflessione teorica e impegno civico. Professore di discipline umanistiche alla Columbia University, è soprattutto noto per i suoi contributi sulle più recenti tendenze politiche e intellettuali, pubblicati su riviste internazionali come The New York Review of Books e, più di recente, UnHerd.
Avendo avviato la propria carriera accademica con uno studio su Giambattista Vico, Lilla ha sviluppato un’affinità particolare con l’Italia[2]. I suoi interventi sono infatti comparsi frequentemente su giornali e riviste del nostro Paese[3]. La sua patria europea d’elezione sembra però essere la Francia, alla cui situazione politica ha dedicato numerosi interventi negli ultimi anni[4]. Qualunque siano le sue preferenze, tuttavia, la costante attenzione all’Europa rivela una sensibilità culturale capace di muoversi con naturalezza su entrambe le sponde dell’Atlantico.
Nel 2017, Lilla ha pubblicato il controverso L’identità non è di sinistra. Il libro criticava l’ossessione dei progressisti americani per le questioni identitarie, che, secondo Lilla, avevano frammentato l’agenda politica democratica, indebolendone l’efficacia elettorale[5]. Sebbene concepito come una critica costruttiva da parte di un liberale nei confronti della propria parte politica, l’opera fu accolta con dure critiche dalla sinistra e bollata come un «fallimento morale e strategico»[6]. La mentalità chiusa e autoreferenziale di certi segmenti della sinistra era proprio quella contro cui Lilla si scagliava, inascoltato profeta in patria. Oggi l’America ne paga un conto salatissimo, e noi insieme a lei.
Più di recente, in un saggio pubblicato sulla nuova rivista Liberties, Lilla ha attaccato il diffuso zelo morale nella cultura americana, che tende a confondere l’attivismo politico con la trasformazione personale. In risposta, lo studioso di Detroit ha promosso il concetto di “indifferenza” come strumento per resistere all’invadenza del moralismo dogmatico e per salvaguardare la libertà intellettuale, richiamandosi a Montaigne come sua guida spirituale[7].
Anche Ignorance and Bliss è un’impresa “montaigniana”. Lo stile è tanto semplice e preciso quanto l’argomento significativo. Lilla ci invita a confrontarci con un paradosso centrale dell’esperienza umana: perché cerchiamo l’ignoranza con la stessa intensità con cui aspiriamo alla conoscenza? Perché, sia a livello individuale che collettivo, sembriamo possedere un’inarrestabile tendenza a nascondere verità scomode dietro narrazioni costruite?
Lilla sceglie la forma del saggio per tentare di dipanare questa matassa – l’essai elevato al massimo livello da Montaigne. Un “tentativo”, nel senso originale del termine francese, di riflettere su un problema senza proporre una tesi preconfezionata. Ogni capitolo esplora uno stato psicologico o un costrutto morale specifico – evasione, tabù, vacuità, innocenza, nostalgia – esaminandoli alla luce della tensione tra la tendenza umana verso la conoscenza e, al tempo stesso, verso l’ignoranza.
Come in Montaigne, i riferimenti principali del libro sono testi e autori classici, provenienti soprattutto dal canone della filosofia dell’antica Grecia e dai padri del pensiero cristiano. Il libro si apre con una reinterpretazione del mito fondativo della cultura occidentale: la caverna di Platone. Nella versione di Lilla, gli abitanti della caverna liberati sono due: un giovane e un uomo maturo. Mentre l’uomo sceglie di vivere nel mondo e di tornare nella caverna solo per liberare altri prigionieri, il giovane, sopraffatto dalla algida luce della realtà, decide di tornare alle illusioni rassicuranti della caverna[8].
Il messaggio sembra chiaro: l’anima umana non è intrinsecamente orientata verso il sapere e la verità. Sebbene ci piaccia identificarci con l’intrepido adulto, determinato a inseguire la luce delle idee autentiche, in realtà somigliamo molto di più al ragazzo. Oppure, forse, siamo una combinazione di entrambi: oscilliamo tra il desiderio di conoscere noi stessi e il mondo per ciò che realmente sono, e l’attrazione verso la caverna, dove i costi emotivi e psicologici della verità si dissolvono nell’illusione rassicurante di una realtà artefatta.
L’altro lato della medaglia è un anelito irrefrenabile verso la conoscenza della realtà, anche quando questa può ferirci. Nel primo capitolo, Lilla riprende un altro dei miti totemici della nostra cultura: quello di Edipo. In Sofocle, Edipo realizza inconsapevolmente una profezia, uccidendo il padre e sposando la madre. L’esito finale è la sconvolgente presa di coscienza di quanto accaduto, seguita dall’auto-accecamento e dall’esilio, come atto estremo di confronto con il proprio destino. Per Lilla, Edipo continua a cercare la verità con ostinazione, anche quando tutto lascia presagire che essa possa essere per lui devastante. Pur avendo forse intuito ciò che lo attende, il suo impulso a scoprire la verità finisce per prevalere sull’istinto di autoconservazione[9]. Così come l’Ulisse dantesco intraprende un ultimo viaggio oltre le Colonne d’Ercole, sfidando i limiti tra umano e divino, allo stesso modo Edipo ignora gli avvertimenti dell’Oracolo, finendo travolto da un destino segnato da parricidio, incesto ed esilio. Avrebbe potuto evitare un fato così oscuro se fosse stato meno determinato a scoprire la verità? Forse. Ma la morale sembra risiedere altrove: l’incessante bisogno di conoscere può facilmente trasformarsi in una hybris, capace di consumarci tra le fiamme della nostra stessa ambizione.
Questo tema si riflette anche nel secondo capitolo, dove Lilla, ispirandosi a L’immagine velata di Sais di Schiller, esplora l’impulso umano verso la conoscenza proibita e le conseguenze del superamento dei limiti. Come ci ha insegnato Roberto Calasso, gli dèi greci incarnano l’eccesso e il caos, rappresentando quei confini che non siamo destinati a oltrepassare[10]. Tuttavia, anche quando tentiamo di evitare la loro influenza, essi possono interessarsi a noi, sconvolgendo le nostre vite. Il destino opera anche quando cerchiamo di proteggerci da esso[11].
Anche la vita politica porta con sé un profondo carico emotivo, e le nostre decisioni sono guidate da un intreccio complesso di impulsi inconsci e calcoli razionali. Ispirandosi a Tocqueville, Lilla evidenzia come, nelle democrazie, le nostre opinioni politiche siano strettamente intrecciate alla percezione di noi stessi come cittadini. Il principio democratico fondamentale risiede nella convinzione che le persone siano uguali e che sappiano riconoscere ciò che è meglio per loro. Di conseguenza, tendiamo spesso a respingere le figure intellettuali – pace Julien Benda – che sembrano osservarci dall’alto del loro sapere, e invece gravitiamo verso coloro che sembrano «dire le cose come stanno»[12].
Il vero personaggio negativo di Ignorance and Bliss non è però il demagogo à la Trump, che si presenta come uomo del popolo per coltivare il proprio successo elettorale. Il vero “villain” è invece rappresentato in modo archetipico da San Paolo, il «colto disprezzatore della cultura»[13]. Questa figura emerge nei momenti di profonda incertezza sociale e culturale, quando le masse cercano una voce che sembri avere accesso a verità superiori, promettendo di restituire il controllo su una realtà caotica e ingovernabile. Tale credenza mistica si fonda su un distacco dal pensiero razionale, con San Paolo che brandisce ciò che Lilla chiama, parafrasando Nietzsche, la «volontà d’ignoranza»[14]. Paolo trasforma gli ideali morali dei Vangeli in un’ideologia anti-intellettuale in cui riecheggia l’ethos del populismo contemporaneo. In questo contesto, l’uomo di scienza o di cultura è dipinto come moralmente compromesso. Al contrario, l’uomo semplice e modesto viene esaltato come un tramite per superiori forze spirituali, apprezzato proprio per la sua vacuità.
La visione di Lilla su Paolo contrasta con quella di un altro grande interprete laico, Alain Badiou. Per Badiou, la modernità di Paolo risiede nella sua capacità di modellare un modo di pensare le verità universali senza fare affidamento su sistemi gerarchici. La sua enfasi sull’universalità dei valori cristiani vuole porre le basi per una sfida sia al relativismo culturale che ai sistemi di dominazione moderni, in primis il capitalismo. Mentre Lilla vede in Paolo un precursore del populismo anti-intellettuale, Badiou lo considera un pensatore radicale di inclusione e uguaglianza, in grado di offrire un’alternativa filosofica alle strutture oppressive del mondo contemporaneo[15]. Tuttavia, le lettere di San Paolo testimoniano che coloro che egli persuase ad abbracciare le sue leggi erano persone comuni, a cui era necessario negare libera capacità d’azione individuale. Essi costituivano l’impalcatura essenziale per una futura cattedrale che, come osservava Altiero Spinelli nei suoi diari, «li ignorerà completamente, ma senza di loro […] non sorgerebbe mai». Spinelli, ispirandosi anch’egli a Nietzsche, identificava in Paolo un «legislatore del futuro», capace di sfruttare gli uomini per la loro disponibilità a essere plasmati in funzione di uno scopo superiore, determinato di volta in volta da un primus inter pares[16].
La nostra volontà di sfuggire ai fardelli della conoscenza si trova anche all’origine, secondo Lilla, di un altro dei sentimenti politici più potenti del nostro tempo: la nostalgia. Non solo gli individui, ma anche le nazioni e i popoli possono ubriacarsi di nostalgia. Una certa destra, in particolare, costruisce miti di glorie passate, sostenendo che queste siano state sacrificate sull’altare della crescita economica e di un libertinismo sociale sfrenato. Questo passato idealizzato consente ai nostalgici di evitare di confrontarsi col presente, dimenticando che ciò che appartiene al passato è irrecuperabile, soprattutto se non è mai esistito davvero. In questo, sembra di scorgere in Lilla una critica alla temperie romantica: un atteggiamento che si rifugia in una visione sentimentale e spesso distorta della storia[17]. Come nei miti bucolici dei romantici, il passato viene idealizzato come un’età dell’oro perduta, in cui la natura e l’umanità vivevano in armonia prima che la modernità spezzasse tale equilibrio. Questo approccio, secondo Lilla, non si limita a un atto di nostalgia innocua, ma rischia di alimentare una pericolosa fuga dalla responsabilità, spingendo popoli e nazioni a inseguire illusioni anziché costruire un futuro fondato sulla realtà[18].
Nel Capitolo V, Lilla sostiene provocatoriamente che le ideologie del fascismo moderno siano eredi dell’Eneide. Enea, ponte tra passato e futuro, redime la distruzione di Troia fondando Roma. Virgilio trasforma una storia di avventura in un manifesto dell’Impero di Augusto, intrecciando mito e propaganda per celebrare la supremazia romana. Secoli dopo, Mussolini richiamerà l’antica Roma per legittimare le sue ambizioni, mentre i nazisti fabbricheranno il mito della razza ariana, attingendo dalla Germania di Tacito. La nostalgia, quindi, diventa una forza attiva, capace di plasmare politica e miti fondativi[19].
Ma la nostalgia può anche essere un sentimento spontaneo, una reazione istintiva nei confronti di un mondo in costante rivoluzione politica, economica, tecnologica, e sociale. È qui che Lilla si fa critico della modernità, adottando una posizione che intreccia analisi culturale e politica. Riecheggiando Zygmunt Bauman, Lilla osserva che «la distruzione creativa che ci porta schermi a cristalli liquidi sempre più piatti appiattisce e liquefà tutto ciò che trova sul suo cammino», alimentando un diffuso desiderio del passato[20]. Come l’angelo della storia di Benjamin, spinto in avanti dalla tempesta del progresso, la modernità annienta ogni reale possibilità di una vita stabile fondata su un ordine morale e materiale.
L’impressione che suscita la riflessione di Lilla, però, è che questo dilemma trascenda le classiche divisioni ideologiche. A destra, la politica della nostalgia promette di arginare le acque tumultuose della contemporaneità resuscitando un passato vago e sfumato e rafforzando i controlli sociali. Tuttavia, questa attitudine è indebolita dalla riluttanza della destra a limitare l’ultra-liberalismo economico, creando un approccio sbilanciato che stringe la cinghia sul piano sociale, ma cede su quello economico. A sinistra, la nostalgia si manifesta con un richiamo alle economie statalizzate della seconda metà del XX secolo, mentre si sostiene una indiscriminata libertà sociale. Anche questo approccio, però, manca di equilibrio, cercando di allentare i vincoli sociali mentre impone controlli più rigidi sull’economia. Rimane incerto se tali soluzioni asimmetriche possano davvero affrontare le forze della «modernità liquida».
Diversi pensatori “eretici” hanno analizzato i disagi della modernità con risposte non canoniche, offrendo spunti per un confronto critico con Lilla. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Simone Weil denunciò il déracinement come elemento chiave della condizione umana, oggi ancora più rilevante in un mondo destabilizzato dall’economia globale[21]. Negli anni Settanta, Pasolini accusò il capitalismo di essere più insidioso del fascismo, colpevole di aver generato un conformismo opaco e impotente, distruggendo non solo la cultura alta ma anche la possibilità stessa di una vita autentica[22]. Un decennio dopo, Alasdair MacIntyre propose di riscoprire le virtù repubblicane premoderne per rispondere alla frammentazione morale della modernità[23].
Ignorance and Bliss è quindi un libro essenziale per la nostra epoca. Nella tradizione di Isaiah Berlin, è una storia delle idee ma, come ogni grande opera in questo campo, affronta questioni universali sulla condizione umana, offrendo intuizioni più profonde di molte opere convenzionali di filosofia. Al suo cuore si trova una domanda che ha occupato i pensatori per millenni: l’estensione e i limiti della ragione. Tuttavia, Lilla non si limita a richiamare idee del passato né le riduce a giochi di parole anacronistici. Al contrario, traccia la genealogia di queste idee, esaminando perché erano rilevanti nei loro contesti storici e domandandosi se lo siano ancora oggi.
[1] David Bidussa, Pensare stanca. Passato, presente e futuro dell’intellettuale, Feltrinelli, Milano 2024, p. 16.
[2] Mark Lilla, G. B. Vico: The Making of an Anti-Modern, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1993.
[3] Si veda: Mark Lilla, Multiculturalismo e “political correctness”, «Problemi dell’informazione: Rivista quadrimestrale», 2-3 (2001), pp. 304–309; Barbara Bertoncin, Un nuovo illuminismo: intervista a Mark Lilla, «Una Città», 130 (giugno-luglio 2005); Alberto Flores D’Arcais, I repubblicani, Mark Lilla: “Trump ha cambiato la natura della destra, comandano i militanti che odiano la politica”, «La Repubblica» (11 novembre 2016); Giuliano Battiston, Prima di tutto insieme come cittadini: intervista a Mark Lilla, «Reset» (3 giugno 2019); Mark Lilla, In morte del patriottismo democratico americano? Una lezione da Tocqueville, «Reset» (20 novembre 2020); AA. VV., A più voci 6: Goldkorn, Gotor, Grasso, Grudzinska-Gross, Lilla, Magrelli, Mannelli, «Micromega» (26 settembre 2024).
[4] Si veda: Mark Lilla, France on Fire, «The New York Review of Books» (5 marzo 2015); Id., The Strangely Conservative French, «The New York Review of Books» (22 ottobre 2015); Id., Two Roads for the New French Right, «The New York Review of Books» (20 dicembre 2018); Id., A l’ère des démagogues, une passion pour l’ignorance triomphe, «Le Monde» (13 dicembre 2024).
[5] Mark Lilla, L’identità non è di sinistra, Marsilio, Venezia 2018.
[6] Si veda: Shuja Haider, One Has to Take Sides, «Jacobin» (13 agosto 2017).
[7] Mark Lilla, On Indifference, «Liberties Journal» vol. 1, no. 1 (autunno 2020).
[8] Mark Lilla, Ignorance and Bliss. On Wanting Not to Know, C. Hurst and Company, Londra 2024, pp. 10-18.
[9] Ivi, pp. 19-39.
[10] Cfr. Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, Milano 1988.
[11] Mark Lilla, Ignorance, pp. 40-63.
[12] Ivi, p. 34.
[13] Ivi, p. 74.
[14] Ivi, p. 14.
[15] Cfr. Alain Badiou, San Paolo. Fondazione dell’Universalismo, Cronopio, Napoli 2009.
[16] Altiero Spinelli, Diario europeo, il Mulino, Bologna, 1989, p. 247.
[17] Mark Lilla, Ignorance, pp. 109-128.
[18] Ivi, p. 17.
[19] Ivi, p. 123.
[20] Ivi, p. 127.
[21] Si veda: Simon Weil, La prima radice. Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso la creatura umana (1943), SE, Milano 2013.
[22] Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane, Einaudi, Torino, 1976 e Id., Scritti Corsari (1975), Garzanti, Milano 2002.
[23] Alasdair MacIntyre, After Virtue. A Study in Moral Theory, University of Notre Dame Press, Notre Dame 1981.