Recensione a: Parag Khanna, Il movimento del mondo. Le forze che ci stanno sradicando e plasmeranno il destino dell’umanità, Fazi Editore, Roma 2021, pp. 456, 20 euro (scheda libro)
Scritto da Giulia Dugar, Paola Fontanella Pisa
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Le migrazioni hanno sempre fatto parte dell’essenza umana, nel passato come oggi. Le popolazioni dell’antichità, tantopiù i popoli che abitano oggi il nostro pianeta, sono l’esito di incontri, competizioni, accomodamenti, processi d’assimilazione e fusioni biologiche e culturali di gruppi e di individui mai realmente statici e sempre in movimento. Se guardiamo alla storia in intervalli di tempo estesi, le migrazioni, più che essere una risposta emergenziale ad una situazione di (globale o locale) instabilità, sembrano essere la norma della condizione umana. Il movimento del mondo di Parag Khanna, edito da Fazi Editore, si situa in quest’ottica di perenne movimento umano, spiegandone le complesse dinamiche e i meccanismi causali interrelati alle grandi pressioni e ai cambiamenti globali. Nel mondo che ci presenta Khanna, pressioni climatiche, economiche, sociali, e sanitarie sono solo la punta dell’iceberg e non possono essere analizzate separatamente: ciascuna di queste dinamiche sta muovendo gli esseri umani. Ed è proprio di movimento che parla questo libro, ma non necessariamente solo di migrazioni, come si potrebbe pensare leggendo il titolo. Il movimento a cui si riferisce Khanna è un movimento più olistico, determinato da forti interrelazioni che l’autore categorizza come demografia (squilibri tra emisfero Nord e Sud), politica (rifugiati e profughi, guerre), economia (crisi finanziarie), tecnologia (automazione industriale che riduce posti di lavoro), clima (fattore molto importante, che causa aumento di frequenza e intensità di eventi naturali estremi).
Covid, casa e l’impatto che le grandi crisi hanno sui grandi movimenti
“Dove vivrete nel 2050?”. È con questa domanda che si apre la riflessione di Khanna, introducendo il lettore al tema centrale della perpetua mobilità umana. La tempestività della pubblicazione del volume, che lo situa ad un anno dall’avvento della crisi pandemica da Covid-19, non potrebbe rendere la domanda innanzi posta più attuale e spiazzante. Partendo da una riflessione su come l’emergenza Covid-19 ci abbia costretti tutti a casa, Khanna apre sull’ambiguità di cosa sia “casa”, e su quanto si possano effettivamente fermare questi movimenti in atto, motivati da diverse dinamiche che verranno poi analizzate nel dettaglio pagina per pagina. Khanna, in tal modo, si rivolge ad un lettore pienamente consapevole di cosa una pandemia, o più generalmente un evento di crisi su scala globale, possa comportare a livello economico, politico e sociale. Iniziando dall’origine dell’umanità come la conosciamo oggi, e quasi a riprendere le orme di Sapiens di Yuval Noah Harari, Khanna presenta le prime migrazioni a noi conosciute, quelle compiute dall’Homo Sapiens quando si è spinto fuori dall’Africa a causa di una siccità avvenuta tra 135.000 e 90.000 anni fa. In sole 456 pagine, Khanna catapulta i lettori in un viaggio intorno al mondo e attraverso epoche passate, presenti e future per dimostrare come l’adattamento dell’uomo ai cambiamenti globali sia la caratteristica chiave della nostra società.
Con tale riflessione sulla mobilità come attributo fondante dell’umanità si anticipa una delle argomentazioni che permeano l’intero volume: il divario intergenerazionale. «Avendo visto come la crisi finanziaria ha demolito il valore degli immobili dei loro genitori, [i millennials] non possono di certo essere biasimati per questa loro nuova fede nella mobilità, anziché nella proprietà» (p. 150). È il commento che l’autore muove di fronte alla crescente fetta di acquirenti tra le nuove generazioni, soprattutto statunitensi, che preferiscono investire nell’acquisto di una casa mobile o di meno onerosi prefabbricati, stampati in 3D. Questo protendersi verso un nuovo concetto di casa non solo risponde a nuove esigenze e desideri di mobilità, ma esaudisce anche le necessità che sorgono da nuovi contesti economici (inflazione, crisi economiche), climatici (zone esposte a crescenti rischi e disastri climatici, come siccità, frane, terremoti) e occupazionali (il diffondersi dello smart working, la mobilità richiesta da un lavoro di tipo imprenditoriale), che rendono il tradizionale investimento nell’immobile non solo anacronistico, ma a lungo andare rischioso.
Da movimento geografico a movimento generazionale: il declino del concetto di Stato-nazione
Ed è proprio collegandosi all’adattamento della società che Khanna introduce un tipo di movimento che va oltre il piano spaziale per toccare invece quello temporale. Il movimento generazionale è presentato con convincente ottimismo ed è infatti nelle nuove generazioni che si ripone il destino dell’umanità. Khanna spinge a ragionare sul fatto che le nuove generazioni conferiscano sempre meno importanza all’identità derivante dal concetto di Stato-nazione, nella quale invece si ritrovavano le generazioni antecedenti (come quella dei baby boomer). I millennial, le generazioni Z e le attuali giovanissime generazioni Alpha tendono così ad abbandonare l’identificazione tradizionale data dall’appartenenza nazionale per accoglierne una dalla valenza più globale. In poche ma efficaci parole, l’autore sottolinea come «attualmente i giovani delle più diverse regioni del mondo condividano fra loro molto più di quanto non abbiano in comune con le generazioni anziane dei loro stessi Paesi» (p. 107). È quindi l’appartenenza generazionale, riconducibile al piano temporale, e non il legame con un dato territorio o identità nazionale, relativo al piano spaziale, a decretare i destini, le possibilità e le motivazioni di un individuo d’oggi. Tale divario intergenerazionale è ancora più tangibile se si prende in considerazione la repentina esperienza di evoluzione tecnologica a cui hanno avuto accesso le ultime coorti generazionali. A supportare l’esistenza di tale scarto, l’autore prende spunto dal sociologo tedesco Ulrich Beck (1944-2015). Egli, offrendo un suo contributo al dibatto sulla globalizzazione nell’ambito della sociologia postmoderna, sostiene che la tecnologia abbia generato una consapevolezza individuale che trascende l’appartenenza al mero livello nazionale. Le criticità ambientali, economiche, dei diritti umani di un luogo remoto sul pianeta terra impattano sulle nuove generazioni tanto quanto ciò che accade a pochi metri di distanza.
La crescente mobilità internazionale ha concesso alle nuove generazioni, laddove una volta questa era l’eccezione, di intraprendere periodi di studio all’estero, di stringere amicizie di più lunga distanza, e di compiere esperienze lavorative oltre confine o semplicemente di avere ambienti di lavoro multinazionali. Se un tempo l’esperienza all’estero era non più di un tratto distintivo per un curriculum vitae, oggi rappresenta un tipo di movimento e scambio interculturale più significativo, che ha anche determinato la nascita dei primi Erasmus baby, bambini nati da genitori che si sono conosciuti durante la loro permanenza al di fuori del loro Paese di origine. Viviamo quindi in una realtà dove la domanda “da dove vieni?” ha risposte sempre meno definite, e viene oscurata da un quesito più attuale, cioè “dove stai andando?”.
Nord e Sud, mondiali e nazionali
Il declino del concetto di Stato-nazione si riflette più o meno direttamente anche sul modo in cui si evolvono gli squilibri tra Nord e Sud, collegandosi così al tema dell’immigrazione e al “diritto” di spostarsi e di scegliere dove vivere. Il divario che separa la diversa formazione identitaria e della consapevolezza del sé di cui si è trattato poc’anzi, farebbe pensare che non sono solamente i confini tra gli Stati a perdere importanza agli occhi delle nuove generazioni, ma che questo si rifletta in una crescente sbavatura tra le grandi differenze che sussistono tra il Nord e Sud del mondo. «Il Great Divide mondiale» suggerisce l’autore, rifacendosi all’omonimo titolo dell’opera del Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, «non è fra Est e Ovest o fra Nord e Sud, ma tra giovani e vecchi» (p. 108).
Tuttavia, Khanna evidenzia alcuni ambiti in cui il divario tra punti cardinali ha ancora consistente riverbero. In primis, vi è l’annoso ambito delle migrazioni internazionali, più specificatamente la loro direzione e traiettoria. La riluttanza di molti Paesi a ospitare migranti dal Sud globale è fallace nel riconoscere le necessità del proprio Paese, che per molti Stati europei corrisponde al contrastare l’invecchiamento della popolazione e all’avere più forza lavoro. Vi sono infatti Paesi dove c’è forza lavoro, ma dove il mercato occupazionale è ormai saturo e le opportunità economiche scarseggiano. Mentre altri Paesi presentano non solo le opportunità, ma una vera e propria necessità di forza lavoro e di giovani che abbassino l’età media. Quindi c’è bisogno di «attivamente riallineare le nostre geografie» (p. 28), ridistribuendo la popolazione in risposta alle necessità. Questa tematica è affrontata riferendosi direttamente ai vari policy maker globali e alle loro politiche restrittive verso i flussi immigranti (ad esempio Stati Uniti, Regno Unito, Italia), sottolineando come queste siano contradditorie sotto più punti di vista. Rifacendosi al dibattito sullo sbiadirsi dei confini degli Stati-nazione, è solo questione di tempo prima che una maggiore consapevolezza del bisogno dell’adozione di un «passaporto globale» (p. 350) permetta di modificare i quadri legislativi che regolamentano le immigrazioni, incentivando una capitalizzazione delle risorse in entrata.
Il divario tra Nord e Sud emerge anche all’interno del medesimo Stato, anche se esso assume una forma differente. L’emergenza causata dal Covid-19 ha apertamente manifestato una forma latente di divario: quello sanitario, basato quindi su «salute e ricchezza» (p. 365). Difatti, in tutto il mondo si sono registrati casi in cui i Paesi hanno vietato spostamenti interni, privando i loro stessi cittadini del diritto di libera circolazione nei territori nazionali. Il parallelismo è lampante: lo spostamento da quelle che Khanna definisce le “zone rosse”, con alti tassi di contagio e situazioni sanitarie più allarmanti, ovvero il Sud nazionale, alle “zone verdi”, aree con più ferrei programmi vaccinali e dunque con zone meno a rischio, ovvero il Nord nazionale, è disincentivato, se non addirittura interdetto. Tale divario interno è emerso con chiarezza, ad esempio, nel caso della politica “Zero Covid” che ha caratterizzato l’operato del presidente cinese Xi Jinping.
Un viaggio alla scoperta del mondo e dell’autore
La dimensione temporale, ovvero generazionale, e spaziale di questi movimenti identificati e analizzati da Khanna, si dispiega in un viaggio intorno al mondo che va da Occidente a Oriente, toccando uno per volta tutti i Paesi del pianeta e le loro politiche, tendenze e valori. Tale viaggio è accompagnato da un concentrato di aneddoti che rappresentano al tempo stesso un’occasione per conoscere l’autore, che per primo sente di essere protagonista dei movimenti di cui parla. Politologo di origini indiane naturalizzato statunitense, Parag Khanna più volte avvalora le sue tesi con esperienze di vita personale: nato a Kanpur, in India, nel 1977, è cresciuto tra l’India e gli Emirati Arabi, per poi trasferirsi a New York. I diversi capitoli de Il movimento del mondo offrono così piccoli ma genuini scorci sui suoi “movimenti”, suggerendo una varietà di esperienze peculiari che hanno influenzato il suo modo di percepire il mondo, a partire dagli squilibri notati nello Stato di Uttar Pradesh in India, fino al suo periodo di residenza a Singapore, alle sue mattine passate a fare jogging per le strade del centro storico di Bologna.
Il movimento del mondo di Parag Khanna si è rivelato un libro inaspettatamente ottimista. L’aggravarsi delle pressioni globali che caratterizzano il mondo contemporaneo, schiacciato da disuguaglianze esacerbate dagli impatti del cambiamento climatico, dipende in gran parte dalla direzione in cui si muoveranno le nuove generazioni. Per Khanna, il processo di adattamento è già largamente avviato e si orienta verso un mondo in cui lo Stato-nazione perde di rilevanza in favore di future società sempre più vicine ad un sistema di melting-pot, un crogiuolo di culture e inclusività. Di questo libro si potrebbe probabilmente rilevare una visione un po’ semplicistica – a tratti deterministica – che Khanna sembra mostrare nei confronti del funzionamento dei processi di adattamento. I cambiamenti demografici che stiamo vivendo rappresentano senza dubbio sia un’opportunità che una sfida, e il nostro futuro dipende in gran parte da come questi processi di adattamento vengono portati a termine. Ad ogni modo, l’ambizione di questo scritto è innegabile e molti lettori sapranno apprezzare il modo in cui l’autore si è proposto di rappresentare la complessità delle forze che hanno determinato il nostro passato e che influenzano il nostro presente, ma soprattutto il nostro futuro. Dopotutto, come dice Khanna, «la geografia è ciò che facciamo di essa», non è il destino. Il destino è migrazione, movimento.