Recensione a: Lorenzo Bernini, Il sessuale politico. Freud con Marx, Fanon, Foucault, Edizioni ETS, Pisa 2019, pp. 304, 26 euro (scheda libro)
Scritto da Giuseppe Aprile
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Se i recenti avvenimenti di Bruxelles riguardanti l’eurodeputato ungherese Joszef Sajer – sorpreso in un’orgia omosessuale malgrado le sue posizioni in difesa della “famiglia tradizionale” – risultano particolarmente interessanti da analizzare, non è veramente per l’unicità o la novità dell’evento in sé (si tratta solo dell’ultima di una serie di manifestazioni della discrasia tra valori e voleri che ci ha pigramente scandalizzato anche questa volta) ma piuttosto perché i continui iati tra il sessuale privato “vissuto” e il sessuale pubblico “dichiarato” segnalano che il sessuale, o meglio la pulsione sessuale, è un oggetto tendenzialmente impolitico, al punto da essere costantemente ricacciato con forza in luoghi chiusi e nascosti, luoghi altri – letteralmente delle “eterotopie” – rispetto alle mura domestiche, le quali rappresentano apparentemente l’unico topos, quello della “famiglia tradizionale”, in cui il sessuale può essere socializzato e civilizzato.
Sono questi i termini dell’analisi filosofica condotta da Lorenzo Bernini, docente di filosofia politica all’Università di Verona e responsabile del centro di ricerca PoliTeSse (Politica e Teorie della Sessualità) dello stesso ateneo, ne Il sessuale politico, un lavoro che parte dalla magra constatazione che, almeno fino a Freud, i filosofi che si sono scontrati con il sessuale, di sesso ne sapevano davvero poco. Da Kant “scapolo degli scapoli, probabilmente morto vergine”[1] a Bentham “scapolo con forti difficoltà relazionali”[2], a Hobbes “della cui vita intima ben poco si conosce”[3], il quadro che sembra emergere è di soggetti contrari a volte al sesso tout court (per Kant le relazioni eterosessuali sono comunque crimina, anche se secundum naturam, visto che il sesso degrada gli individui e li trasforma in oggetti di appetito assimilabili a degli “arrosti di maiale”[4]) altre volte solo alle perversioni (omo)sessuali (che per Kant sono crimina contra naturam e per Hobbes sebbene secundum naturam, sono comunque contra civilitatem), senza averne tuttavia esperienza alcuna.
Questo atteggiamento sostanzialmente sessuofobico soltanto anticipa però, secondo Bernini, l’intuizione che poi sarà esplicita in Freud, ovvero che il sessuale è una forza oscura alle cui spese si edifica la civiltà[5]. Freud distinguerà infatti “la pulsione” (Trieb) sessuale infantile dallo “istinto” (Instinkt) sessuale puberale-adulto, arrivando alla determinazione che – avulsa dalle finalità di riproduzione della specie che caratterizzano il secondo – “la pulsione sessuale” o semplicemente “il sessuale”, è una forza potenzialmente dissipativa e distruttiva, una forma di eccitazione per la disintegrazione (sviluppata dal bambino in reazione agli stimoli di cura esterni che riceve) che viene successivamente contenuta per renderla compatibile con la vita sociale.
Tale consapevolezza, raggiunta ne I tre saggi sulla sessualità, sarebbe stata in realtà talmente perturbante, talmente unheimlich come direbbe lo stesso Freud di un altro saggio[6], da costringerlo secondo Bernini – che legge qui Leo Bersani, teorico queer statunitense della tradizione ‘antisociale’[7] – a fare successivamente marcia indietro, dapprima in Al di là del principio di piacere – dove occultando il carattere perverso-mortifero del sessuale, Freud si sforza di teorizzarlo nuovamente in termini di pulsione di vita – e quindi ne Il disagio della civiltà, dove è possibile rinvenire le tracce originarie di una pulsione sessuale come “perversione polimorfa” soltanto in una nota in cui Freud ammette nuovamente che “a spianare la via alla civiltà è stata la rimozione organica dell’erotismo anale”[8].
Questa rimozione sarebbe tuttavia solo la prima di una lunga serie. Se in effetti Judith Butler – che Bernini considera invece appartenere al ramo del ‘costruttivismo radicale’ nel panorama delle teorie queer[9] – accuserà Freud di aver forcluso[10] la pulsione omosessuale dalla teoria dell’identità (descrivendo la potenziale “bisessualità originaria” in termini di coesistenza di due desideri eterosessuali[11]), sarà in effetti a sua volta accusata da Bersani e Lee Edelman[12] di aver forcluso la pulsione sessuale dalla teoria politica, di aver cioè “desessualizzato” il soggetto per renderlo “politico”. Concentrandosi in effetti sull’originaria dimensione del sessuale freudiano come pulsione negativa, perversa e “di morte”, di una jouissance “in cui il soggetto viene temporaneamente disfatto”[13], Bersani e Edelman notano che il soggetto butleriano invece – sebbene all’esito di uno sforzo costruttivista di denuncia della “matrice eterosessuale”[14] – rimane immaginato come alla ricerca di un riconoscimento politico e di un’integrazione che occultano il potenziale profondamente “antisociale” del sessuale.
Come Bernini ricostruisce, in realtà, prima che fosse imputata a Butler, la stessa operazione era stata portata avanti dai freudomarxisti in maniera ancora più evidente. Lo psicoanalista Wilhelm Reich aveva in effetti già rivisto la teoria pulsionale freudiana per eliminare la pulsione di morte dal dualismo Eros/Thanatos a beneficio della sola pulsionalità dell’amore. Una scelta tra l’altro funzionale alla sua prospettiva di liberazione rivoluzionaria dalla morale patriarcale e capitalistica in vista (però) della “totale eterosessualizzazione di ogni essere umano”[15] e della realizzazione di una sorta di ecumene dell’amore civilizzato che in Marcuse diventerà una vera e propria “società dell’amore”[16]. A poco varrà, tra l’altro, la critica foucaultiana al (freudo)marxismo e alla sua concezione sovrastrutturale del potere: Foucault, come Butler, malgrado il suo costruttivismo, avrebbe finito per “pensare il soggetto sessuale […] come un soggetto politico classico, che aspira non solo a vivere, ma a vivere umanamente, piacevolmente, tutto sommato razionalmente”[17]. In definitiva, conclude temporaneamente Bernini, Foucault e Butler, quindi, al pari di Reich e Marcuse, sembrerebbero aver partecipato alla stessa “forclusione del sessuale” già operata da Freud, il quale, dopo aver scoperto l’impulso sessuale, si era in effetti affrettato a rimuoverlo.
Esiste una tradizione di teoria critica che non ha ceduto a questa tentazione di forclusione del sessuale? In parte sembra essere il caso della svolta “queer anti-sociale” statunitense di Bersani e Edelman, dove il rifiuto del riconoscimento politico non attinge però solo a un recupero dell’idea originaria del sessuale infantile come eccitazione per la disintegrazione, ma si costruisce anche (è il caso di Edelman) come conseguenza necessaria delle tesi costruttiviste foucaultiane e butleriane: se le categorie identitarie (di genere e orientamento sessuale) sono comunque il prodotto di una “matrice eterosessista”, la resistenza a tale matrice passa attraverso la negazione, e non la ricerca, del riconoscimento politico. Approdi simili in realtà, come nota Bernini, a quelli europei di Mieli e di Hocquenghem, nei quali la natura letteralmente trans-sessuale di quello che Freud chiama “pulsione sessuale” sembra emergere ancora più chiaramente. È vero in effetti che in entrambi resta ancora l’orizzonte, tanto temuto da Freud, di un regno della “sessualità incivile” ed è in questi termini che Hocquenghem parla di “omosessualizzazione della sfera pubblica”[18] e Mieli guarda alla rivoluzione verso “una società di maniaci sessuali, o nessuna società, schifosa e assieme tremendamente eccitante”[19]. Però, la “liberazione” che ha in mente Mieli, osserva Bernini, non è semplicemente quella del soggetto da tali categorie, ma più precisamente quella del desiderio dalla soggettività[20], preliminare alla possibilità, per quel sessuale così “infantile” e “pre-personale”[21], di riemergere.
Ed è a questo punto che Bernini rilegge Foucault per assolverlo dall’accusa di complicità nella forclusione del sessuale, mostrando invece come nella sua opera “la pulsione faccia ritorno”[22]. Anche qui, i primi elementi, non vanno realmente “al di là del principio di piacere”, visto che la riscoperta del sessuale infantile passa in Foucault da una “degenitalizzazione del piacere”[23] (ovvero dalle “pratiche sadomasochistiche”[24]), ma questo solo nella prospettiva ulteriore, fedele all’idea originaria del sessuale come pulsione di disintegrazione, di rappresentare una “eclissi momentanea della soggettività”[25] che lasci emergere quello che Bernini chiama “residuo inumano dell’umano”[26]. Questa lettura della pulsione sessuale come “eterotopia della soggettività”[27], come quel luogo “altro” in cui si manifesta l’insofferenza per (e che costituisce potenzialmente il laboratorio di ricerca di un’alternativa a) “l’arbitrarietà delle strutture di potere che quel soggetto storicamente si è dato”[28], apre quindi inevitabilmente a tutta una serie di considerazioni che vanno ben “al di là del sessuale”. E questo non solo perché, per quanto si tratti in effetti dello “spazio bastardo su cui agisce il dispositivo di sessualità”[29], altri dispositivi biopolitici, come la razza, agiscono sul medesimo spazio (suggestione che Bernini ricava dalla lettura incrociata di Frantz Fanon e Teresa De Lauretis), ma anche perché tale spazio è più generalmente quello “su cui la coscienza del singolo non ha sovranità”[30].
Cercando quindi di andare oltre il macchiettistico dell’episodio, l’invito che sembra arrivare dalle vicende di Bruxelles non ha solo (affatto?) a che fare con la ‘liberalizzazione’ e il ‘riconoscimento’ delle forme di amore, di unione e di orientamento sessuale al fine di evitare disagi psicologici derivanti dalle discrasie fra il sessuale privato (vissuto) e il sessuale pubblico (dichiarato). E neanche, perlomeno non principalmente, con quei legami tanto stretti tra conservativismo morale e populismo di cui si è occupata Wendy Brown ne In the Ruins of Neoliberalism (Columbia University Press 2019).
Come chiude Bernini, invece, “il sesso-pulsione può rappresentare una risorsa radicale di resistenza alle tendenze sovraniste e fasciste dell’io che vuole esercitare dominio sul mondo”[31]. Si tratta quindi, possiamo ipotizzare, da un lato, di un invito a ricercare e ripensare le forme del piacere che sono consentite e incentivate a livello istituzionale – che non siano però né la ludicizzazione del lavoro né la cura di sé finalizzata a un incremento del proprio capitale umano come suggerisce Byung-Chul Han[32], ma delle reali “eterotopie”, dei luoghi di un lussuoso “divertimento del sé” (o dal sé)[33] – e dall’altro, nella prospettiva inverosimile di una liberazione dalla soggettività tout court, di uno ancora più radicale (ma probabilmente più promettente) a ripensare delle soggettività politiche e giuridiche “non sovrane”, in maniera alternativa rispetto al discorso della tradizione del pensiero politico-giuridico occidentale. Se è vero, infatti, seguendo le suggestioni di Foucault nell’ultimo volume della storia della sessualità (Les Aveux de la Chair, Gallimard 2018), che il soggetto di diritto che ancora abita le nostre società nasce strettamente intrecciato al dispositivo della sessualità matrimoniale plasmato da Sant’Agostino, allora è proprio dal sessuale che si dovrebbe partire per ripensare le soggettività politiche e giuridiche. In altre parole, cioè, è solo sfidando l’impoliticità del sessuale nel tentativo di utilizzarlo in modo politico che sembra possibile andare, stavolta veramente, “al di là del principio di piacere”.
[1] Pag. 51.
[2] Pag. 53.
[3] Pag. 54.
[4] Pag. 51.
[5] Pag. 81.
[6] Il riferimento è al saggio Il perturbante (Das Unheimliche) del 1919. I Tre Saggi, invece, sono del 1905.
[7] Ci rifacciamo qui alle categorie che lo stesso Bernini utilizza, in maniera ancora più evidente che in questo saggio, nel suo precedente lavoro Le teorie queer. Un’introduzione, Milano: Mimesis, 2017, dove Lee Edelman e Leo Bersani sono presentati come rappresentanti delle ‘teorie antisociali’.
[8] Pag. 110.
[9] Essendo difficile dare una definizione sintetica del lavoro e dell’identità teorica di Judith Butler, ci limitiamo anche qui a riferirci alla categoria di ‘costruttivismo radicale’ che è quella utilizzata dall’autore per collocare Butler e Foucault nello spettro dei teorici queer. Si può fare anche qui riferimento a L. Bernini Le teorie queer. Un’introduzione. Milano, Mimesis, 2017.
[10] Come spiega Bernini (pag. 121), il termine “forclusione” viene coniato dallo psicanalista Jacques Lacan a partire dal francese giuridico (forclusion) per indicare lo specifico meccanismo di rimozione (in senso lato) all’origine delle psicosi (disturbi in cui è compromesso il senso di realtà del soggetto) laddove la “rimozione” (in senso stretto) è invece il meccanismo all’origine delle nevrosi (disturbi in cui non è compromesso il senso di realtà del soggetto). Nel testo di Bernini, i termini “rimozione” e “forclusione” sono utilizzati a volte differentemente per conferire sfumature di significato (comunque non in senso tecnico, trattandosi qui dell’esperienza di pensatori e non di pazienti cui questi disturbi siano stati diagnosticati). Tuttavia, per il lettore di questa recensione, è utile considerare “forclusione” e “rimozione” come sinonimi, entrambi metaforicamente usati per indicare la decisione consapevole, da parte di questi autori, di ignorare nelle proprie teorie della sessualità alcuni aspetti “scomodi” che tuttavia secondo Bernini riemergono altrimenti nella loro vita o opera, similmente a come gli eventi “rimossi” o “forclusi” riemergono dall’interno o dall’esterno nella psiche dei soggetti nevrotici e psicotici.
[11] Pag. 124.
[12] Anche questi appartenente alla corrente ‘antisociale’ nello spettro delle teorie queer. Si veda la nota 7.
[13] Pag. 129.
[14] Pag. 127.
[15] Pag. 136.
[16] Pag. 145.
[17] Pag. 156.
[18] Pag. 191.
[19] Pag. 195.
[20] Pag. 190. Corsivo di Bernini.
[21] Pag. 190.
[22] Pag. 205.
[23] Pag. 207
[24] Pag. 206.
[25] Pag. 210.
[26] Pag. 211.
[27] Pag. 219.
[28] Pag. 212.
[29] Pag. 219.
[30] Pag. 219.
[31] Pag. 243.
[32] Byung-Chul Han, Psicopolitica, Milano: Nottetempo, 2016, pag. 60.
[33] Byung-Chul Han sottolinea come il “lusso” sia – nel tedesco luxieren – una “distorsione dalla necessità”, una “forma di vita libera dalla necessità” (Psicopolitica, pag. 63). Il lusso, che è etimologicamente una forma di divertimento (nel senso latino di “deviazione”, “allontanamento” e “distorsione”), risiederebbe in questo caso nel temporaneo allontanamento dalle necessità e costrizioni del sé o, in altri termini, proprio dalla necessità e costrizione della soggettività.