Scritto da Raffaele Danna
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La quarta rivoluzione industriale, Internet delle cose, l’automazione e la digitalizzazione sono temi sempre più discussi per gli effetti che potrebbero determinare nell’assetto e nelle prospettive economiche delle nostre società. Questo articolo è un primo tentativo di inquadramento del tema. Segnaliamo che dopo la sua pubblicazione a queste tema è stato dedicato un intero numero della nostra rivista cartacea, il sesto (che, assieme al quinto è dedicato al tema della “produzione” e in particolare alla quarta rivoluzione industriale). Tutte le informazioni necessarie per ricevere il numero, assieme ai due precedenti sono disponibili in questa pagina.
Sempre più spesso si sente parlare di “Industry 4.0”, di “IoT”, di quarta rivoluzione industriale, di “digital disruption”. Si tratta di temi ancora poco conosciuti da un pubblico più vasto, e la sensazione è che anche le istituzioni italiane siano in ritardo rispetto a queste novità. Numerosi interventi sono emersi sull’onda del cosiddetto ‘piano industria 4.0’ promosso dall’allora Ministro Calenda. Tuttavia, è raro trovare contributi in cui si illustri in modo sintetico che cosa si intende con questi termini. Il presente articolo è un primo tentativo di accogliere questi temi sulle pagine di Pandora per stimolare la circolazione delle idee, per fare chiarezza, e per instillare il seme della curiosità e quello del dubbio. Cominciamo con le definizioni. “IoT” è la sigla con cui si contrae “Internet of Things” (Internet delle Cose). “Industry 4.0” e quarta rivoluzione industriale sono, sostanzialmente, sinonimi. L’elemento fondamentale della quarta rivoluzione industriale è l’applicazione sistematica della tecnologia IoT ai processi di produzione su scala globale. Tale tecnologia permette di creare delle fabbriche connesse su scala globale, alle quali è possibile applicare soluzioni tecnologiche prima impossibili. Il nome di questa rivoluzione nell’organizzazione aziendale nasce con una strategia governativa lanciata in Germania nel 2013.
Iniziamo con alcuni esempi di IoT. Le ultime auto in produzione sono sempre più ripiene di sensori e telecamere; sono in grado di frenare automaticamente in caso di rallentamento del veicolo che precede e di mantenere la distanza di sicurezza; monitorano costantemente la presenza di ostacoli improvvisi (pedoni, ciclisti) e frenano automaticamente in caso di rischio di collisione; alcune sono in grado di parcheggiare da sole; si stanno sviluppando sistemi di ‘infotainment’ in grado di dialogare con il cellulare del conducente e di integrarlo nel computer di bordo trasformando l’abitacolo in un’estensione dello smartphone; numerose case sono già arrivate ad effettuare i primi test di guida automatica in autostrada (che si fonda sul rilevamento dei segni delle corsie, della posizione relativa dei veicoli circostanti, della posizione gps, sui dati del consumo di carburante e sulla velocità massima consentita in ogni punto). In altre parole, le auto stanno diventando e diventeranno sempre più degli oggetti in cui la componente meccanica e quella digitale si integrano profondamente raccogliendo e condividendo informazioni anche attraverso il web: stanno diventando dei prodotti dotati di tecnologia IoT. Ma non sono solo le auto ad attraversare questa trasformazione. La cosiddetta “domotica” è la traduzione sul settore della tecnologia domestica dell’IoT. È già possibile integrare in un’unica piattaforma collegata alla rete la gestione degli impianti di riscaldamento/raffreddamento, l’accensione e lo spegnimento dei principali elettrodomestici, l’antifurto e i comandi delle persiane. Con questi sistemi, per esempio, è possibile comandare a distanza tutti questi elementi, e fare in modo di trovare al nostro arrivo la casa già riscaldata e con il forno acceso alla temperatura desiderata. Anche in questo caso gli apparecchi tradizionali vengono dotati di sensori, di centraline elettroniche e di una connessione alla rete per poter inserire le informazioni di ogni apparecchio su una piattaforma di coordinamento e controllo accessibile online.
Oltre all’ambito civile, queste soluzioni tecnologiche stanno trovando applicazione anche in ambito industriale. Entriamo così nell’ambito di Industry 4.0. Al momento sono in corso diverse sperimentazioni di applicazione della tecnologia IoT agli impianti industriali. Oltre a dotare gli impianti esistenti di sensori e tecnologia informatica, si è iniziato a progettare le prime linee produttive “IoT embedded”. Un macchinario industriale tipo dotato di tecnologia IoT è in grado, per esempio, di tenere traccia del numero di cicli svolti, del ritmo di produzione, delle giacenze di magazzino; è programmato in modo da segnalare di aver subito un guasto, ma anche da avvisare che un intervento di manutenzione ordinaria o straordinaria sarà necessario entro un numero prestabilito di cicli. Nel momento in cui diversi macchinari dotati di tecnologia IoT vengono inseriti all’interno di un unico impianto industriale, è possibile integrare tutte le informazioni fornite dai macchinari su un’unica piattaforma. In questo modo è possibile ottenere in tempo reale una rappresentazione dell’andamento dell’intero impianto produttivo, ed è possibile ottenere informazioni sia da un punto di vista aggregato (volume produzione, tempo medio di produzione, consumi, giacenze di magazzino e scorte) sia da un punto di vista dei singoli macchinari. Per ottenere questo risultato è naturalmente necessario ottenere da tutti questi dati solo precise informazioni rilevanti per i diversi profili di utenti che li interpellano: le informazioni rilevanti per un manutentore non sono le stesse che possono interessare a un profilo dirigenziale. È a questo livello che le soluzioni più innovative possono svilupparsi. Questi sono i cosiddetti cyber-physical-systems (CPS): sistemi composti da diverse rappresentazioni virtuali (oggetti computazionali) in dialogo continuo con i processi reali, i quali collaborano fra loro utilizzando e producendo servizi di accesso e di elaborazione dei dati.
Ma questo non è che il primo passo. Nel caso di aziende multinazionali è possibile raccogliere tutte le informazioni relative a diversi impianti industriali all’interno di uniche piattaforme condivise da tutto il gruppo industriale. Questo rende virtualmente possibile a un qualsiasi utente autorizzato, attraverso i CPS, l’accesso in tempo reale, da un punto qualsiasi del globo, a informazioni dettagliate riguardo lo stato di ogni singolo macchinario presente in un qualsiasi stabilimento del gruppo, indipendentemente dalla sua posizione. Allo stesso modo, è possibile ottenere in tempo reale una rappresentazione dello stato complessivo della produzione globale, confrontare le performance dei diversi siti produttivi, i consumi, i magazzini, etc. In questi scenari ci si trova a gestire una tale mole di dati da rendere necessario un vero e proprio lavoro di data mining e di data science da affidare a personale specializzato. Una delle principali difficoltà sollevate da questa tecnologia è il bisogno di orientarsi all’interno dell’impressionante mole di dati raccolti. I dati hanno bisogno di essere trattati, normalizzati, aggregati e selezionati in una limitata quantità di informazioni utili a chi interroga il sistema. Tutto questo sforzo matematico-organizzativo-informatico viene affidato a un nuovi profili specializzati, fra cui il cosiddetto “data scientist”. La frontiera della ricerca è l’applicazione dell’intelligenza artificiale a questi sistemi integrati basati su grandi moli di dati e fortemente legati a processi reali. Di nuovo, l’automobile fornisce un ottimo esempio: con la guida automatica si prevede di affidare a un sistema dotato di intelligenza artificiale i complessi processi decisionali della guida, basandosi sulle informazioni raccolte dal veicolo stesso così come sull’accumularsi di dati storici trasmessi via web. Allo stesso modo, l’intelligenza artificiale può essere applicata alla gestione di complessi processi decisionali all’interno di un’organizzazione aziendale. Rispetto all’intelligenza umana, gli algoritmi sono infatti in grado di processare velocemente masse di informazione.
Il risultato di questo processo è, dal punto di vista aziendale, un aumento della produttività delle imprese che utilizzano questo genere di tecnologia, perché diminuiscono i ritardi dovuti a guasti o a mancanze di forniture, i costi si abbassano, e i processi diventano più facili da controllare, più facilmente coordinabili, automatizzati. Un drastico aumento della produttività è stata la caratteristica fondamentale di ogni processo che siamo abituati a chiamare “rivoluzione industriale”, e per questo motivo si usa definire l’applicazione della tecnologia IoT all’industria quarta rivoluzione industriale.
Questa nuova ondata di tecnologia che sta per investire il nostro sistema produttivo con la quarta rivoluzione industriale determina importanti effetti sul lato dell’occupazione. Le figure professionali scarsamente specializzate sono verosimilmente destinate a scomparire. Ecco la “digital disruption”. Al manutentore generico presente in ogni stabilimento si sostituirà progressivamente una figura sempre più specializzata, in grado di intervenire sia sulla meccanica sia sull’informatica dell’impianto. Diversi problemi potranno addirittura essere risolti da remoto. Questo determinerà verosimilmente un calo nel numero degli addetti attivi nel settore. I promotori della quarta rivoluzione industriale affermano che queste perdite saranno più che compensate dalla contestuale creazione di nuovi profili professionali, dai tecnici specializzati nella risoluzione di specifici problemi, alle nuove figure necessarie in fase di progettazione dei macchinari (profili ibridi fra l’ingegneria e l’informatica), alle figure che dovranno effettuare la formazione necessaria all’implementazione della nuova tecnologia. Che l’aumento delle nuove professionalità sarà tale da “più che compensare” la perdita dei posti di lavoro scarsamente specializzati è un’affermazione discutibile, in quanto in questo momento ci troviamo a uno stadio embrionale di diffusione della tecnologia 4.0 e della quarta rivoluzione industriale, soprattutto in Italia, dunque esistono ampi spazi di libertà e di progettualità, soprattutto da parte della politica. Trincerarsi in posizioni di chiusura nei confronti della “digital disruption” e della quarta rivoluzione industriale significherebbe perdere le possibilità che si aprono, oltre a rimanere con un sistema industriale obsoleto. Perché le nuove possibilità possano essere colte è però necessario che sia l’opinione pubblica sia le istituzioni siano informate riguardo a queste nuove sfide. È compito della politica, inoltre, quello di rendere l’applicazione della nuova tecnologia un processo attento alle possibili conseguenze negative che il processo stesso può generare, attraverso la costruzione di regole, limiti, responsabilizzazioni, incentivi e finanziamenti. Tutto questo può darsi solo in presenza di una politica informata, in grado di accogliere competenze e pareri tecnici, e dunque capace di dialogare a partire da una posizione autorevole con il mondo dell’industria privata.
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