Recensione a: Andrea Minuto Rizzo e Roberto Sommella, Ingovernabili. Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza, Luiss University Press, Roma 2022, pp. 141, 18 euro (scheda libro)
Scritto da Luca Picotti
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Se a fine Ottocento la sfida dei monopoli era rappresentata dai colossi americani nel campo dell’energia, delle ferrovie, delle telecomunicazioni, oggi sono le imprese digitali a dominare il mercato in termini di capitalizzazione e influenza: Google, Amazon, Facebook, Apple, piattaforme che stanno plasmando il nostro tempo, tra numerose implicazioni giuridiche, economiche, geopolitiche. Le differenze rispetto ai giganti industriali di soli tre decenni fa sono evidenti. Ad esempio, se le multinazionali della Silicon Valley capitalizzano, ad oggi, circa 14 trilioni di dollari con 1,6 milioni di lavoratori, le tre sorelle dell’auto di Detroit nel 1990 con 1,2 milioni di lavoratori valevano appena 37 miliardi. Una valorizzazione del capitale rispetto al lavoro favorita dalla tecnologia, cui si assommano le più generali potenzialità del digitale nel garantire posizioni dominanti, effetti di rete, buchi nell’azione dell’antitrust. Le problematiche ora citate trovano una puntuale trattazione nel libro Ingovernabili. Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza di Andrea Minuto Rizzo, esperto in materia di concorrenza attualmente Responsabile Affari Istituzionali dell’Unione Europea e Internazionali presso Ferrovie dello Stato Italiane, e Roberto Sommella, giornalista e Direttore di Milano Finanza. «La globalizzazione, il mercato unico, la creazione dell’euro, l’affermazione di Internet e delle tecnologie connesse, la costituzione di nuove entità monopolistiche, tutte insieme e ognuna con la propria spinta motrice hanno trasformato l’economia nell’ossatura della nuova era digitale, fatta di piattaforme che operano nel web, di e-commerce, di fabbriche robotizzate, di Internet of Things. Oggi, per avere un quadro completo del ruolo della libera concorrenza e degli effetti che essa può avere sulla società, occorre dunque leggere con la massima attenzione gli effetti di questo processo impetuoso, calato in una dimensione dove la ricchezza di pochi miliardari nel mondo ha raggiunto quella di intere nazioni» (pp. 12-13).
Per chi si occupa di concorrenza, scrivono i due autori, il boom dell’economia digitale ha avuto un impatto senza precedenti, sia per la rapidità del suo sviluppo – il numero di app tecnologiche è passato da 38.000 nel 2009 a 12 milioni oggi – sia in termini di concentrazione monopolistica. In particolare, il settore digitale pare avere inceppato il meccanismo – apparentemente naturale – di auto-correzione del mercato, ponendo numerose sfide all’antitrust. Tra l’altro, dai tempi dello Sherman Act del 1890, pilastro della cultura della concorrenza statunitense, anche l’approccio dell’antitrust stessa è cambiato: negli Stati Uniti, dal modello più incisivo di derivazione brandeisiana – che ha portato ad importanti scissioni societarie, dalla Standard Oil all’AT&T – si è passati alla Scuola di Chicago, che ha spostato l’attenzione principalmente sui benefici del consumatore finale, anche a costo di relegare in secondo piano il pluralismo nel mercato. Da qui, anche le differenze con l’antitrust europeo, orientato proprio a garantire l’accesso al mercato a nuove imprese, più che, come quello americano, al benessere del consumatore. Si tratta di una questione di estrema importanza: dopotutto, se ci si pone dalla prospettiva del consumatore, Amazon riesce a garantire prezzi e servizi piuttosto convenienti; sul fronte del mercato, invece, è difficile trascurare la sempre più marcata concentrazione, orizzontale e verticale. È dunque in tale contesto che si sono sviluppati negli ultimi decenni i grandi colossi digitali: un antitrust americano più morbido, che solo di recente – con notevole ritardo, si potrebbe dire – ha iniziato a preoccuparsi del ruolo di tali piattaforme, e uno europeo più ambizioso, ostacolato però, tra l’altro, dalle pressioni di Washington a tutela dei propri campioni nazionali; nel mezzo, interessante sarà anche capire l’approccio di Pechino rispetto ai giganti digitali cinesi, a riprova di come l’intera tematica si traduca in un complesso intreccio economico, giuridico e geopolitico, oltre che socio-culturale.
I due autori del volume ripercorrono, avvalendosi anche di un’ampia letteratura accademica, i tratti peculiari del mercato digitale – e, segnatamente, dei profili che più incidono sulla tendenza alla concentrazione dello stesso. Troviamo quindi il concetto di first mover advantage, ossia il vantaggio che si ritaglia il primo operatore di un dato mercato, intimamente collegato con quello di gate-keeper: «il ruolo svolto dalle piattaforme è, oggi, così preponderante nell’economia digitale che sono diventate dei veri e propri guardiani dell’accesso ai rispettivi ecosistemi digitali. Entrano in uno spazio, lo occupano e chiudono il cancello» (p. 20); ancora, il cosiddetto “effetto volano”, per cui ogni azione realizzata su una parte dell’ecosistema è funzionale allo sviluppo di tutto il resto, architrave del business integrato di Amazon. Oppure, sul lato della domanda, gli effetti di rete – più le persone si iscrivono ad un social network, più questo funziona e diviene dominante –, così come le barriere al cambiamento di fornitore (switching) o alla possibilità di ricorrere a più operatori contemporaneamente (multi-homing). In generale, nei mercati digitali è riscontrabile una tendenza al winner-takes-all. In questo modo, i grandi operatori come Amazon, Google, Facebook, e Apple hanno costruito e cementificato i propri mercati-ecosistemi digitali, al caso anche attraverso collaborazioni reciproche: ad esempio, vi è una cooperazione tra Google e Apple affinché il primo rimanga preminente come motore di ricerca di default sui dispositivi iOS del secondo; oppure, evidenziano gli autori, è interessante notare come Facebook e Google non si farebbero concorrenza nella pubblicità online, così come Amazon e Apple impedirebbero a rivenditori legittimi di prodotti di Apple e Beats di operare sul marketplace di Amazon. Un campo di competizione tra questi operatori sarebbe, invece, quello del controllo dei dati, dell’assistenza vocale o, ancora, del cloud computing.
Il volume prosegue approfondendo nello specifico la struttura dei quattro maggiori operatori digitali, in modo da evidenziarne le peculiarità. Amazon, fondata nel 1994 da Jeff Bezos, ha sempre perseguito una strategia di crescita di lungo periodo, anche a costo di registrare perdite nel breve, con l’obiettivo di fidelizzare i clienti al proprio ecosistema con politiche di prezzo aggressive; a questo si aggiunge l’espansione continua in mercati correlati – logistica, Prime video, Kindle, Echo – e la notevole spesa in Ricerca e Sviluppo, che nel 2020 ha raggiunto quota 43 miliardi (a fronte dei 3 del 2011). Per Google, il business si è sempre focalizzato sulla centralità del motore di ricerca, in un combinato disposto di dati e pubblicità favorito anche dalla capacità di essersi presentata con il proprio sistema operativo Android nel passaggio dai computer desktop ai dispositivi mobili. La posizione dominante garantita dalla centralità del motore di ricerca ha permesso poi a Google di ampliarsi, anche tramite diverse acquisizioni, sino a offrire una vasta gamma di servizi integrati: tra gli altri, Gmail, Google Drive, Google Maps, Youtube. La realtà che forse ha maggiormente fatto leva sulle acquisizioni aggressive, sì da mantenere la propria posizione dominante – beneficiando dei relativi effetti di rete –, è però Facebook: celebri, in questo caso, gli acquisti di Instagram nel 2012 e WhatsApp nel 2014. Infine, Apple si presenta, rispetto agli altri, come l’ecosistema più chiuso, attento alla qualità e fedeltà del marchio, nonché attivo sia sul lato hardware – iPhone, iPad, Mac, Apple TV, AirPods – che sul lato software – App Store, iCloud, AppleCare, Apple Arcade, Apple Music, Apple TV+. Focalizzandosi più sulla crescita interna che non sull’acquisizione di altre realtà, questa strategia ha reso Apple la prima impresa a superare a livello globale una capitalizzazione di borsa di un trilione di dollari.
Minuto Rizzo e Sommella si soffermano anche sulle numerose controversie, promosse dalle autorità antitrust a livello globale, che hanno avuto ad oggetto la condotta degli operatori digitali. Talvolta conclusesi con sanzioni miliardarie, talvolta con un nulla di fatto, è chiaro in ogni caso che si tratta di una partita ancora tutta da giocare. Ad esempio, non si è giunti a clamorose scissioni delle diverse realtà societarie dei colossi digitali come accadde per Standard Oil o AT&T. Inoltre, sottolineano gli autori, bisognerebbe iniziare a ragionare maggiormente su un modello di regolamentazione ex ante, che prevenga il formarsi di talune realtà potenzialmente distorsive, piuttosto che un approccio sanzionatorio ex post. Ad esempio, il caso Google Shopping è stato avviato dalla Commissione europea nel novembre 2010, si è concluso nel giugno 2017 e ha superato il primo grado di giudizio nel novembre del 2021, undici anni dopo – «un’eternità per chiunque, figurarsi per le piattaforme tecnologiche» (p. 91). È chiaro che un sistema così rischia di essere inefficace.
Al netto delle soluzioni più squisitamente tecniche che potrebbero essere adottate – i due autori si concentrano sui diversi approcci dei vari regolatori, in Europa e nell’anglosfera – la questione che più rileva è la seguente: «Schumpeter ha evidenziato che la prospettiva di una nuova spinta concorrenziale e l’innovazione gioca incessantemente un ruolo chiave nel promuovere la concorrenza dinamica e l’efficienza economica. I fatti finora descritti indicano che questo impulso alla distruzione creatrice possa affievolirsi nei mercati digitali. Il rischio è che gli attuali monopolisti, che in passato hanno rivoluzionato i rispettivi settori, non lascino a loro volta il posto a successivi innovatori di successo. Facebook e Google, ad esempio, sono, rispettivamente, subentrate a MySpace e Yahoo! sfruttando una maggiore qualità del servizio. È legittimo chiedersi se un simile cambiamento sia possibile anche in futuro. In assenza di tale opportunità, gli attuali monopolisti rischiano di diventare pigri innovatori, con l’adozione di strategie conservative che rischiano di danneggiare i consumatori in termini di rallentamento del progresso tecnologico» (p. 46). Una problematica che concerne, più in generale, il delicato rapporto tra democrazia, concentrazione e concorrenza, su cui sempre più autori si stanno interrogando con riferimento all’emergere dei colossi digitali. Il volume di Andrea Minuto Rizzo e Roberto Sommella ha il merito di offrire una trattazione approfondita sul tema, che unisce letteratura accademica e tecnicismi a riflessioni di più ampio respiro sulle implicazioni sociali e geopolitiche del potere di piattaforme quali Google, Facebook, Apple e Amazon. Pagine importanti che hanno il pregio di alimentare un dibattito necessario.