L’economia di prossimità: il caso di Milano. Intervista ad Annibale D’Elia
- 14 Giugno 2025

L’economia di prossimità: il caso di Milano. Intervista ad Annibale D’Elia

Scritto da Giacomo Bottos

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Annibale D’Elia si occupa della progettazione di politiche pubbliche in ambito economico e sociale ed è Direttore Economia urbana, moda e design del Comune di Milano.


II Comune di Milano ha lanciato alcuni mesi fa un programma di interventi per l’economia di prossimità che si rivolge sia al mondo dell’economia sociale, sia alle imprese di vicinato come negozi e botteghe di quartiere. Qual è il percorso che vi ha portato a questa scelta, e a quali bisogni risponde?

Annibale D’Elia: Il programma per l’economia di prossimità è il risultato di un percorso iniziato dopo la fine della pandemia. Già durante la crisi Covid-19, il Comune di Milano ha deciso di adottare un modello di sviluppo urbano basato sul decentramento di servizi e funzioni nei quartieri: la cosiddetta “città a 15 minuti” dove ogni cittadino può trovare ciò di cui ha bisogno a breve distanza da casa. È una visione che chiama in causa, ovviamente, anche le attività economiche. Si tratta, in altre parole, di creare le condizioni perché tutti i residenti abbiano accesso ad una dotazione minima di attività commerciali e di servizio per non essere costretti a spostarsi ogni volta in automobile. Quando abbiamo iniziato a lavorarci, però, è stato subito chiaro che non si trattava solo di garantire la presenza di un supermercato sotto casa o di un grande centro commerciale raggiungibile a piedi o in bicicletta. Per realizzare una città policentrica per davvero c’è bisogno di vetrine aperte non solo nelle arterie commerciali ma in tutti i quartieri, per rendere le strade e le piazze più animate, illuminate e quindi più sicure. La media e grande distribuzione è indispensabile ma non basta. Serve anche, e soprattutto, quella trama di relazioni personali e di vicinato che lega gli abitanti e le micro e piccole imprese locali, in una dimensione di reciprocità. Un elemento, quest’ultimo, che è emerso chiaramente durante i mesi drammatici dei lockdown. Non a caso, proprio a partire dalla pandemia, sia la cittadinanza che le associazioni di categoria hanno rivendicato con sempre maggiore forza la funzione sociale della microeconomia di quartiere. Nello stesso tempo, anche gli attori dell’economia sociale propriamente detta hanno iniziato a guardare con sempre maggiore interesse alla dimensione della prossimità, chiedendo sostegno per aumentare la propria indipendenza economica: non più (o non soltanto) contributi per realizzare singoli progetti ma risorse per investimenti, alleanze con gli attori del territorio, rafforzamento delle competenze gestionali per non dipendere solo da bandi e appalti.

Ci siamo accorti di questi cambiamenti osservando come le organizzazioni utilizzavano i nostri strumenti di finanziamento, alcuni pensati per l’economia e l’innovazione sociale, altri per il commercio e l’artigianato. Questi due mondi, che immaginiamo nettamente separati, hanno iniziato a convergere fino quasi a sovrapporsi. Da qui è nata l’idea di cambiare approccio e riunire i diversi interventi sotto un’unica strategia, provando anche a mettere in discussione le categorie che stavamo utilizzando. Usando la lente dell’economia di prossimità, più che distinguere in base alla forma giuridica profit e non profit, ci è sembrata molto più significativa la differenza tra attività economiche scalabili, cioè con ampie prospettive di crescita e solitamente slegate da un determinato contesto territoriale, e attività radicate nei luoghi, poco o per nulla scalabili per definizione. Le imprese scalabili, anche senza scopo di lucro o appena nate come le startup innovative, hanno maggiore facilità di accesso al credito oppure possono contare su servizi di supporto e strumenti finanziari dedicati. Basti pensare che solo a Milano si contano circa quaranta incubatori e acceleratori d’impresa; sono tutti alla ricerca di modelli di business “investibili” e ad alto potenziale e non prenderebbero mai in considerazione un progetto per aprire un negozio, un laboratorio artigianale, un teatro o un centro socioculturale di periferia. Le imprese radicate nei quartieri, invece, sono più desiderate che aiutate. Tutti le vorrebbero sotto casa propria. Eppure, nella capitale economica d’Italia, fanno sempre più fatica. Il nostro programma si rivolge a loro.

 

Si tratta di un fenomeno solo milanese o generalizzato? Come lo avete indagato?

Annibale D’Elia: In questo percorso, è stato molto importante scoprire di non essere soli. La Commissione Europea, per esempio, nel 2021 ha scelto l’economia sociale e di prossimità come uno dei quattordici cluster industriali prioritari per lo sviluppo economico dell’Unione. Contattando gli uffici responsabili dell’iniziativa, siamo stati coinvolti in una serie di incontri con policy maker e rappresentanti di altre città europee alle prese con le nostre stesse preoccupazioni. A Bloomberg Associates, la società di consulenza pro bono che da tempo collabora con l’Amministrazione, abbiamo chiesto di mappare le principali politiche urbane sulla prossimità messe in campo in Europa e negli Stati Uniti. A livello nazionale e locale, le associazioni di categoria del commercio, dell’artigianato e della cooperazione ci hanno aiutato moltissimo a ricostruire un quadro dei problemi e dei possibili interventi. Dal punto di vista tecnico scientifico, è stato fondamentale l’apporto del Laboratorio Urbanistica e Commercio del Politecnico di Milano, uno dei più autorevoli centri di competenza sul tema in Italia. Dopo aver delineato una prima bozza del Programma, lo abbiamo presentato e discusso pubblicamente[1], raccogliendo indicazioni dai diversi soggetti coinvolti nel percorso. Così siamo arrivati ad un documento di indirizzo politico approvato dalla Giunta comunale[2]. È il risultato di un lavoro corale per il quale dobbiamo ringraziare molte persone appassionate e competenti.

 

Quali sono, quindi, le principali difficoltà che incontrano le imprese di prossimità e quali sono le conseguenze sulla città?

Annibale D’Elia: Prendiamo ad esempio il commercio di vicinato: costituisce ancora oggi la porzione numericamente più rilevante dell’economia di prossimità ma è anche il segmento che sta subendo maggiormente la concorrenza di altri formati distributivi come le piattaforme di e-commerce e le grandi catene commerciali: maggiore scelta, minor prezzo, consegna a domicilio con tempi sempre più rapidi. A questo si aggiungono altri fenomeni che minacciano tutte le tipologie di imprese di prossimità, compreso l’artigianato, la ristorazione, i servizi di quartiere. Mi riferisco all’aumento dei costi (materie prime, energia) e alle piccole dimensioni che rendono più difficile l’innovazione, la digitalizzazione e il ricambio generazionale. Ulteriore punto critico: l’aumento progressivo dei canoni di locazione commerciale, sebbene sia un fenomeno non omogeneo che riguarda principalmente le zone più attrattive.

Venendo ai rischi per la città, le associazioni di rappresentanza del commercio e dell’artigianato hanno molto sottolineato le conseguenze di un’economia urbana di prossimità debole e sotto pressione. Cito, per esempio, le conclusioni di uno studio di Confcommercio del 2024[3] sulla cosiddetta “desertificazione commerciale” nelle medie e grandi città italiane. La ricerca mette bene in evidenza come il fenomeno si stia manifestando non solo nelle periferie dei centri urbani ma anche, e in misura perfino maggiore, nei centri storici a vocazione turistica. Secondo lo studio, in questi contesti mediamente ricchi e attrattivi, la tendenza in atto è riorientare l’offerta commerciale non più verso gli abitanti ma principalmente verso turisti e city user. Ciò modifica il mix merceologico urbano e rischia di ridurre i livelli di servizio per i residenti, contribuendo a generare “diseconomie urbane” come la gentrificazione e l’overtourism. Un messaggio di allarme dello stesso tenore è arrivato da Confartigianato durante il Forum Economia Urbana che abbiamo organizzato nel 2024. Insieme ad altre sigle di settore, la principale associazione di categoria degli artigiani ha redatto un manifesto dal titolo Milano città senza botteghe? [4]. Secondo Confartigianato, la scomparsa delle micro e piccole attività economiche utili per la qualità della vita dei residenti e per l’identità dei quartieri, ma non sufficientemente redditizie per sostenere l’aumento dei costi, rischia di portare omologazione nelle zone agiate e degrado nelle zone più fragili, a danno dell’economia caratteristica della città e, quindi, della sua stessa attrattività. In questo quadro, la crisi Covid ha avuto un impatto importante ma ambivalente: per un verso ha causato trasformazioni permanenti nei comportamenti dei consumatori, come un maggior ricorso all’e-commerce e ai servizi di consegna a domicilio; per altro verso, è stato un momento di “rivincita dell’economia di vicinato” e di riscoperta del valore insostituibile delle relazioni che accompagnano gli scambi commerciali.

 

Su questi presupposti, come potremmo definire l’economia di prossimità e quali sono i punti di forza e le leve su cui poter costruire una politica pubblica?

Annibale D’Elia: Provare a definire l’economia di prossimità è stato un esercizio non semplice ma molto importante. E anche in questo caso, le categorie tradizionali non aiutano: un negozio di quartiere in periferia e un punto vendita di un grande marchio del lusso nelle vie dello shopping possono avere la stessa natura giuridica e la stessa metratura, ma appartengono a due universi differenti. Grazie al confronto con le altre città europee, siamo arrivati ad un esito provvisorio ma che ci sembra convincente. Definiamo l’economia di prossimità come un’economia “radicata nei luoghi e basata sulle relazioni” tra le persone, le istituzioni e le imprese che li abitano. Non si tratta, quindi, solo di vicinanza fisica. Da sempre l’economia trae vantaggio dalla prossimità tra gli operatori economici e tra loro e i consumatori finali; proprio come accade nelle città. Ma, di norma, le imprese agiscono per massimizzare l’efficienza attraverso economie di scala e catene del valore globali; quando “atterrano” in un quartiere, compiono una scelta di localizzazione basata su principi di convenienza. Diversamente, le imprese di prossimità condividono lo stesso destino dei luoghi dove agiscono. Per prosperare devono creare valore non solo economico ma anche sociale e ambientale, in stretta connessione con le risorse e le persone presenti in un determinato contesto. Qui risiede il principale punto di forza dell’economia di prossimità: relazioni tra persone e radicamento territoriale sono precisamente le caratteristiche che l’e-commerce e le grandi catene commerciali non possiedono.

I dati su Milano raccolti dal Laboratorio Urb & Com del Politecnico confermano questa ipotesi[5]. Dal 2019 ad oggi, l’economia di prossimità a Milano è lievemente cresciuta per numero di imprese e di addetti. Osservando le variazioni all’interno delle diverse categorie merceologiche possiamo farci un’idea della trasformazione in corso: crescono i servizi alla persona, crescono tutte le attività che offrono occasioni di aggregazione e di socialità, crescono le attività capaci di integrare vendita, incontro, consulenza. Diminuiscono, invece, le attività economiche facilmente sostituibili dal commercio elettronico, caratterizzate da una componente bassa o nulla di valore generato dal contatto umano. Questo, a nostro avviso, è anche il punto di convergenza con l’economia sociale. Mi riferisco alle oltre settecento le imprese sociali milanesi iscritte al Registro Unico del Terzo Settore che operano nella ristorazione, nel commercio, nella trasformazione alimentare, nel welfare di prossimità, nell’artigianato, nella produzione culturale. Queste esperienze non costituiscono un settore a parte ma un modo di fare economia che ha, o almeno dovrebbe avere, nella relazione il proprio elemento distintivo.

Citerei almeno altri tre elementi peculiari dell’economia di prossimità e che hanno molto a che vedere con le sfide sociali e ambientali che stanno affrontando le città. Il primo è l’utilizzo di catene del valore corte per ridurre, quanto più possibile, la distanza tra produzione, distribuzione e consumo. Penso, ad esempio, alle esperienze di agricoltura periurbana che a Milano stanno provando a rimettere in connessione la campagna e la città. Il secondo è la collaborazione tra attori locali per prendersi cura del territorio. In alcuni casi virtuosi, vediamo le imprese di prossimità agire come attori civici e occuparsi di contrastare il degrado o migliorare gli spazi pubblici vicino ai quali operano. Il terzo elemento riguarda le occasioni di partecipazione economica che le micro e piccole imprese di quartiere offrono a giovani, donne e persone con background migratorio. La percentuale di imprese giovanili, femminili e straniere è nettamente superiore nei settori della prossimità rispetto agli altri comparti dell’economia milanese. Un’ultima sottolineatura: non si tratta di una visione nostalgica che rifiuta le tecnologie e rimpiange i vecchi tempi andati. Al contrario, tra i fattori chiave per garantire un futuro alle imprese di prossimità c’è l’utilizzo avanzato e consapevole del digitale per migliorare i servizi verso i clienti finali e per facilitare scambi e connessioni con il proprio intorno e con il mondo.

 

Quali sono le principali azioni che verranno realizzate? E con quali prospettive?

Annibale D’Elia: Il programma dura tre anni ed è articolato in otto linee di intervento e trenta azioni. Grazie ad un mix di nuove risorse europee e vecchi trasferimenti statali, possiamo contare su una dotazione di 15 milioni di euro senza gravare sul bilancio comunale e sottrarre risorse alle competenze obbligatorie dell’Amministrazione. Alcune iniziative sono di immediato supporto alle imprese di prossimità, altre sono azioni sperimentali, altre ancora più di sistema, con effetti a medio lungo termine. Rimando al documento “Milano e l’economia di prossimità” che le racconta in modo più ordinato, ma provo qui a descriverne alcune. Il supporto alle imprese consiste in tre diversi strumenti di finanziamento per far nascere o crescere realtà di prossimità attive in tutte le zone di Milano diverse dal centro: percorsi a bassa soglia per chi vuole avviare una nuova attività nei quartieri; sostegno agli investimenti per attivare nuovi spazi o servizi per gli abitanti; contributi per i negozi e le botteghe fuori dalla circonvallazione esterna. In questi mesi abbiamo selezionato e finanziato le prime cinquanta imprese e, stando ai feedback che riceviamo, credo siamo riusciti a costruire delle procedure di accesso abbastanza semplici e accessibili. Si tratta di dispositivi stabili, che restano sempre aperti per circa un anno e mezzo, con sessioni periodiche di valutazione e tempi certi per conoscere gli esiti. In più, abbiamo attivato un servizio di informazione e orientamento alle diverse opportunità che fino ad oggi ha indirizzato più di centocinquanta persone e organizzazioni verso lo strumento più adatto.

Tra le attività ad alto tasso di sperimentazione, invece, citerei il Crowdfunding civico: un dispositivo che utilizziamo da qualche anno nel quale il 50% delle risorse per realizzare un progetto viene raccolta tramite donazioni su una piattaforma online e l’altra metà è coperta da un contributo comunale. Dopo quattro edizioni, più di cinquanta progetti a buon fine e quasi un milione di euro raccolti, abbiamo pensato di utilizzarlo per finanziare delle “alleanze” in favore della microeconomia locale. Che si tratti di patti di collaborazione civica, social street, associazioni di commercianti o nuove forme anche informali di aggregazione, il Crowdfunding civico ci è sembrato uno strumento adatto per sostenere queste esperienze, farne nascere di nuove e allargare la comunità dei sostenitori. Tra maggio e giugno 2025 hanno preso il via le prime sei campagne di raccolta fondi e siamo molto contenti di vedere progetti e alleanze assai eterogenee: dalla libreria che ha coinvolto altri operatori per far rinascere una piazza di periferia, all’associazione di commercianti che collabora con artisti e associazioni locali per il rilancio del quartiere; dal gruppo di attivisti che vuole aprire uno nuovo spazio di mutuo aiuto, al mercato comunale coperto che vuole mettere in rete i negozi del circondario.

Tra le azioni a medio lungo termine, forse la più importante riguarda la raccolta e l’analisi dei dati per comprendere come sta cambiando l’economia di prossimità a Milano. Le riforme di fine anni Novanta, ispirate a principi di sburocratizzazione e semplificazione delle autorizzazioni, hanno ridotto drasticamente la quantità di informazioni in possesso degli enti locali. Grazie alla collaborazione del Politecnico e del nostro settore Innovazione tecnologica e digitale, stiamo realizzando strumenti capaci di restituire un quadro attendibile e sempre aggiornato per poter monitorare i cambiamenti e progettare politiche basate su evidenze. Altre azioni del Programma riguardano la messa in rete di centri socioculturali che offrono occasioni di incontro e aggregazione non legate al consumo, il rilancio di un albo per le botteghe storiche e di tradizione, la rigenerazione dei mercati comunali coperti e la costruzione di strumenti urbanistici per mettere a disposizione spazi commerciali con affaccio su strada ad un canone significativamente inferiore al mercato.

Nonostante lo sforzo di elaborazione e attuazione, si tratta in ogni caso di interventi parziali rispetto alla dimensione dei cambiamenti in corso e alla quantità di questioni collegate ma fondamentali per generare un’autentica inversione di rotta. Penso alla mobilità delle persone, alla logistica delle merci, ai tempi della città o al tema della casa che riguarda, ovviamente, chi le imprese di prossimità le deve aprire tutti i giorni e lavorarci dentro. Siamo convinti che il Programma sia comunque un utile e umile esperimento per mettere alla prova un approccio diverso dal solito, e che andrà valutato sulla base dei risultati concreti che saprà generare. Vorremmo fosse soprattutto un punto di partenza per reperire altre risorse, lavorare insieme ad altre città, coinvolgere altre istituzioni.


[1] Forum Economia Urbana 2024, programma e materiali disponibili a questo link.

[2] Milano e l’economia di prossimità – Linee di indirizzo per interventi a sostegno del commercio, dell’artigianato e dei servizi di quartiere nel periodo 2024-2027.

[3] Le economie di prossimità per il futuro dei centri urbani. Il progetto CiTIES, Confcommercio – imprese per l’Italia 2024.

[4] Milano città senza botteghe? Gli artigiani e le PMI per il futuro di Milano a misura d’uomo e di impresa – Confartigianato Milano Monza e Brianza, API Associazione Piccole e Medie Industrie, Casartigiani Lombardia, ACAI Associazione Cristiana Artigiani Italiani, febbraio 2024.

[5] Dinamiche, evoluzione e sfide delle attività economiche urbane a Milano. Urb&Com Lab (DAStU), presentazione al Forum Economia Urbana, Milano, febbraio 2024.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

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