Scritto da Daniele Molteni
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Nell’immaginario collettivo viene spesso dato per scontato come tutti i programmi e i viaggi spaziali siano gestiti dai governi e in particolare dal governo degli Stati Uniti, che certo ha saputo investire adeguatamente in questo dominio e nel suo racconto tramite l’influenza di diversi prodotti culturali, dai libri ai film. In verità, nell’attenzione verso la politica spaziale negli ultimi anni qualcosa sta cambiando, e lo vediamo in serie televisive come Il Problema dei 3 corpi, che ha messo in scena i romanzi di Liu Cixin partendo dalla prospettiva cinese per raffigurare un’umanità impegnata a decidere in materia di spazio e sopravvivenza all’interno delle Nazioni Unite in una comunione d’intenti inedita. Con il concludersi della Guerra fredda e la vittoria degli Stati Uniti sull’Unione Sovietica abbiamo assistito a un importante allargamento delle prospettive spaziali come conseguenza della rottura del duopolio e il conseguente ingresso di numerosi attori pubblici e privati. Prendendo in esame l’evoluzione di questo settore, passato dall’essere appannaggio istituzionale degli Stati nazione con il lancio del satellite sovietico Sputnik 1 il 4 ottobre 1957 a nuova frontiera per le imprese, possiamo identificare tre fasi principali, riprendendo quelle delineate da Andrea Sommariva, direttore dello Space Economy Evolution Lab (SEE Lab) di SDA Bocconi, in un’analisi per ISPI: una prima fase dal 1950 al 1969 caratterizzata principalmente da programmi spaziali governativi, che hanno contribuito allo sviluppo delle tecnologie; una seconda fase durata dagli anni Settanta fino ai Duemila e caratterizzata dal graduale ingresso di attori privati, favoriti dai cambiamenti tecnologici e dalla politica dei “cieli aperti” degli Stati Uniti; e la terza fase, quella attuale, in cui assistiamo a una partecipazione progressivamente più elevata di aziende private nelle attività spaziali[1].
Il potere nel quinto dominio
Se sul piano internazionale, con l’emergere di nuovi protagonismi e collaborazioni tra Paesi, si è vista una tendenza verso la multipolarità, contemporaneamente si è anche manifestata la strategia neoliberista della privatizzazione di diversi settori dell’economia spaziale, con partnership pubblico-privato sempre più guidate da preoccupazioni legate alla corsa al progresso tecnologico come materia di sicurezza nazionale. La volontà di offrire nuove prospettive di crescita e di proiezione del potere extra-atmosferico ha funzionato da motore per lo sviluppo tecnologico, che a sua volta ha aperto la strada verso nuovi orizzonti del possibile anche nel dominio spaziale, così come sulla terra, nel mare, nell’aria e più recentemente nel dominio cibernetico. Oggi appare chiaro come lo spazio sia sempre più oggetto di analisi multidisciplinari, tra cui non manca una particolare attenzione alla sua dimensione geopolitica, che comprende la proiezione della potenza e della rilevanza nazionale di molteplici attori in competizione, mentre aleggia lo spettro di possibili dimensioni belliche extra-planetarie. Un importante contributo relativo al legame tra spazio extra-atmosferico e geopolitica, tra gli altri, lo ritroviamo nel libro War in Space. Strategy, Spacepower, Geopolitics di Bleddyn E. Bowen, docente di Relazioni internazionali presso l’Università di Leicester ed esperto di politica spaziale. Fondamentale in questo senso è partire da cosa si intende con il concetto di potere spaziale (spacepower) che, come sottolinea Bowen[2], riguarda una vasta gamma di attività e tecnologie legate allo spazio esterno e i modi del loro utilizzo o mobilitazione per scopi bellici, di sviluppo o di accrescimento del prestigio degli attori coinvolti (soft power), con l’importanza dell’ambiente extra-planetario che si manifesta attraverso diverse necessità politiche, commerciali, diplomatiche, scientifiche e infrastrutturali terrestri.
Da un punto di vista strategico, una potenza è definibile spaziale se agisce come un’entità che utilizza lo spazio esterno per i suoi obiettivi politici, così come una potenza marittima o aerea utilizza il mare o l’aria per perseguire i propri scopi. Se le esigenze e gli scopi divergono in modo eccessivo, non è possibile escludere una guerra spaziale, che secondo Bowen è una prospettiva realistica perché le tecnologie spaziali riguardano questioni logistiche ed economiche che si intrecciano con sistemi militari e di intelligence. Le costellazioni satellitari e lo sviluppo di infrastrutture di supporto, infatti, permettono di offrire servizi e raccogliere dati che possono essere utilizzati da Stati, attori non statali e individui per fini sia benevoli che malevoli, con caratteristiche dual-use o dual-purpose a seconda dei casi. Va sottolineato però come il potere spaziale, anche quando si esprime in un rischio di conflitto, implichi sempre una mentalità geocentrica, se non altro perché esso viene utilizzato per supportare gli interessi terrestri, poiché è principalmente la Terra a ospitare la vita umana e ad essere interessata dall’azione strategica degli Stati. In questo senso, la guerra spaziale può essere vista come l’estensione “della politica terrestre con altri mezzi”[3] poiché riflette le dinamiche politiche sulla Terra in un complesso gioco di specchi. Continuando con l’analogia relativa a come pensiamo lo spazio in rapporto al nostro pianeta, Bowen definisce le orbite geocentriche come una “costa cosmica”, in questo rafforzando l’analogia con le cosiddette acque marroni, ovvero quelle interne come i fiumi e i laghi, che a differenza del vasto e remoto oceano interplanetario sono vicini e contendibili[4]. L’impostazione di questa analisi rimanda esplicitamente alle teorie della geopolitica del mare dell’ammiraglio statunitense Alfred Thayer Mahan, utili a comprendere la posta in gioco del quinto dominio strategico: così come le rotte commerciali e del capitale sono state e sono tuttora contendibili nel mare, anche lo spazio è soggetto ai choke point relativi al controllo delle orbite e dei punti critici, che potrebbero rappresentare un vantaggio competitivo fondamentale per il futuro – pensiamo solo alla possibilità di accedere più facilmente al mining degli asteroidi e della Luna, che sembra una nuova frontiera non dissimile da quelle aperte dalla navigazione marittima per collegare Europa, Asia e Americhe tra il XVI e il XIX secolo.
Questa analogia permette di classificare le attività in base alla regione, allo scopo e al design degli strumenti: lo spazio marrone, che si riferisce ai sistemi che orbitano attorno a un corpo celeste per supportare operazioni su quel corpo, come i satelliti per le comunicazioni che operano in orbita geostazionaria per facilitare le comunicazioni sulla Terra, come fossero navi delle acque marroni che operano lungo la costa cosmica descritta da Bowen; lo spazio verde, che comprende sistemi che operano nelle vicinanze di un corpo celeste per supportare le operazioni spaziali e possono agganciarsi a satelliti esistenti per estenderne la durata operativa; lo spazio blu, che si concentra sulla libertà di azione nello spazio cislunare e oltre, al di là delle orbite planetarie e a supporto delle operazioni spaziali di esplorazione del sistema solare; gli effetti terrestri, ovvero le capacità che supportano le operazioni spaziali dalla Terra, come i razzi e i sensori di sorveglianza spaziale[5].
I limiti del corpus giuridico spaziale
In base a queste classificazioni ogni attore si trova a operare e adottare approcci diversi basati sulla competizione e/o la cooperazione, muovendosi all’interno di un corpus di norme internazionali – invero non sempre efficaci e rispettate – che regolano le attività nello spazio. Queste norme, sviluppatesi principalmente attraverso trattati e risoluzioni delle Nazioni Unite, sono state redatte per garantire un uso responsabile e pacifico dello spazio e promuovere la cooperazione internazionale e la prevenzione dei conflitti, come il Trattato sullo Spazio Esterno (Outer Space Treaty – OST) aperto alla firma nel 1967[6]. Secondo il trattato l’esplorazione e l’uso dello spazio extra-atmosferico devono essere condotti a beneficio di tutti i popoli, indipendentemente dal grado del loro sviluppo economico o scientifico, ed esclusivamente per scopi pacifici: tutte le attività spaziali devono rispettare il principio di cooperazione tra Stati (art. I); gli Stati non possono rivendicare la loro sovranità sui corpi celesti (art. II); ed è proibita la messa in orbita di armi di distruzione di massa e la costruzione di basi militari su corpi celesti (art. IV). Diverse risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e nuove convenzioni hanno contribuito in modo significativo alla formazione del quadro normativo dello spazio stabilendo, ad esempio, che il lancio di oggetti nello spazio debba avvenire per scopi pacifici[7] e che gli Stati sono responsabili per i danni causati dai loro oggetti spaziali[8].
Il Comitato delle Nazioni Unite per l’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico (UNCOPUOS) detiene inoltre un ruolo fondamentale nell’elaborazione del diritto internazionale dello spazio e nella promozione della cooperazione tra Stati, diventando con il tempo la sede di negoziato dei quattro trattati principali che insieme all’OST compongono il corpus iuris spatialis: l’Accordo sul salvataggio e il ritorno degli astronauti e sulla restituzione di oggetti lanciati nello spazio del 1968; la Convenzione sulla responsabilità internazionale per danni causati da oggetti spaziali del 1972; la Convenzione sull’immatricolazione di oggetti spaziali del 1975; l’Accordo relativo all’attività degli Stati sulla Luna e sugli altri corpi celesti del 1979.
Pur cercando di regolare tutti gli aspetti dell’attività umana oltre la Terra, questi trattati non affrontano con chiarezza le limitazioni all’estrazione e all’appropriazione delle risorse e l’Accordo sulla Luna, che prova a regolare lo sfruttamento delle risorse stesse, è stato ratificato solamente da poco più di una decina di Paesi. Altre questioni irrisolte riguardano la delimitazione esatta dello spazio extra-atmosferico e la regolamentazione delle attività commerciali emergenti, mentre resta una zona grigia come e quanto sarà lecito appropriarsi delle risorse minerarie presenti sul suolo spaziale, anche a causa del moltiplicarsi della promulgazione di legislazioni nazionali in materia di estrazione negli ultimi anni[9].
Nomos e interesse nazionale
A porre un ulteriore limite al consenso attorno ai primi principi del diritto internazionale dello spazio, e non solo, è la rinnovata competizione tra i principali attori nazionali che operano nello spazio, tra superpotenze storiche e altre realtà che stanno emergendo con strategie differenti e ambizioni più o meno definite. Gli Stati Uniti restano attualmente il leader indiscusso in praticamente tutti i domini, compreso lo spazio, mentre puntano al controllo delle rotte e dei chokepoint così come fatto con i colli di bottiglia strategici marittimi. Collaborando strettamente con gli attori privati, gli Stati Uniti mirano a espandere significativamente la loro presenza nello spazio profondo accelerando l’innovazione tecnologica e rafforzando la loro posizione dominante nella nuova corsa allo spazio che sta influenzando lo sviluppo tecnologico e l’economia globale[10]. Il crescente interesse internazionale per le attività spaziali stimola un’economia che è in espansione in questo settore, con un coinvolgimento sempre maggiore di entità governative e commerciali interessate a un ritorno sulla Luna vista come miniera e trampolino di lancio per Marte. Lo stanno facendo gli Stati Uniti nell’ambito del programma Artemis lanciato nel 2019[11], tra le altre cose, per costruire la prima stazione spaziale oltre l’orbita terrestre bassa e la prima in orbita attorno alla Luna, promuovendo al contempo una cooperazione tra quattro agenzie spaziali governative – la NASA, l’Agenzia spaziale europea (ESA), l’Agenzia spaziale canadese (CSA) e l’Agenzia giapponese per l’esplorazione aerospaziale (JAXA) – e numerosi Paesi in tutti i continenti. Una strategia multilaterale che vede la principale potenza mondiale svolgere il ruolo di guida affiancata da like-minded country, come contromisura all’avanzare di potenze revisioniste che ricercano influenza anche nel dominio spaziale, analogamente a quanto accade in altri dominii.
Nella schiera delle potenze revisioniste rispetto all’ordine internazionale, compreso il dominio spaziale, c’è la Cina, che sta ottenendo significativi progressi soprattutto attraverso l’ambizioso obiettivo della costruzione della stazione spaziale Tiangong. Con la dismissione della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) intorno al 2030, da cui peraltro la Cina è stata esclusa nel 2011, la stazione Tiangong potrebbe diventare l’unica infrastruttura spaziale governativa operativa a livello globale a cui si affianca la partnership di Pechino con la Russia per sviluppare la Stazione Internazionale di Ricerca Lunare (ILRS), che rappresenta un passo verso la ricerca di una leadership attraverso collaborazioni internazionali. Anche l’India sta adottando una strategia simile per la sua avventura spaziale, iniziata già nel 1975 al lancio del satellite Aryabhata, attraverso il lancio di numerosi satelliti e una presenza attiva nelle discussioni internazionali tramite l’Indian Space Research Organization (ISRO). Il primo ministro indiano Narendra Modi durante i suoi mandati ha promosso l’aumento delle attività spaziali al fine di rafforzare l’influenza regionale e globale dell’India, in linea con il proprio obiettivo nazionalista che vuole fare di New Delhi una grande potenza. A questi player si aggiungono poi altri Paesi mediorientali e africani, che stanno collaborando con potenze spaziali consolidate per stabilire una presenza rilevante nello spazio e diversificare le loro economie e la loro influenza geopolitica[12].
Sul piano strettamente militare Stati Uniti, India, Cina e Russia negli ultimi anni hanno testato missili antisatellite a risalita diretta (direct-ascent anti-satellite weapon – DA-ASAT) capaci di colpire satelliti in orbita in azioni potenzialmente non pacifiche, verso i cui test l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una moratoria nel dicembre del 2022[13]. Molti Stati hanno persino modificato le loro strutture di difesa per creare centri nevralgici per lo spazio, come la Francia, la Russia, la Germania, il Regno Unito e gli Stati Uniti, mentre l’Italia ha istituito il suo Comando delle Operazioni Spaziali nel 2020. Dunque, la rinnovata competizione sul piano strategico internazionale, specie derivante dal confronto tra Cina e Stati Uniti, ma non solo, si riflette sempre più anche nello spazio aggiungendosi alle dimensioni terrestre, marittima, aerea e cibernetica, influenzando e venendo influenzata da queste ultime. In questo contesto è lecito attendersi che la crescente militarizzazione comprenda anche lo spazio, influenzato dalle tecnologie orbitali all’interno di un’arena sempre più strategica per la conduzione della politica internazionale.
L’idea che lo spazio extra-atmosferico sia un ambiente comune globale sta scomparendo, nel declino del consenso sulle regole internazionali e con la complicità dell’apertura di nuove linee di faglia e di competizione tra blocchi. Questa dinamica di conflittualità nel potere spaziale è rappresentata efficacemente nella serie TV The Expanse, che ampliando il raggio oltre il nostro pianeta esplora un futuro in cui l’umanità ha colonizzato il sistema solare ritrovandosi divisa tra la Terra, Marte e la Cintura di asteroidi, luoghi in cui si sviluppano dilemmi che riguardano la scelta tra il bene comune e l’interesse del proprio conglomerato socio-politico – che in questo caso comprende due diverse nazioni per i due pianeti e i movimenti indipendentisti della Cintura, ma anche aziende private interessate a sviluppare la tecnologia verso nuovi sviluppi inesplorati. L’intersezione tra la realtà e la finzione di The Expanse è affascinante perché la serie esplora come le rivalità, le alleanze e le strategie si espandano e si modifichino nello spazio, in cui si riflettono le attuali dinamiche di potere in evoluzione, dove nuove nazioni e attori privati stanno entrando nella corsa spaziale trasformando l’ambiente geopolitico. Ne consegue che il futuro dello spazio sarà determinato non solo dalla tecnologia, ma anche dalla capacità degli attori globali di collaborare e gestire le tensioni in un ambiente sempre più affollato e strategicamente rilevante, dove non è fantascienza pensare che in futuro possano operare anche attori non statali slegati da interessi nazionali.
La posizione dell’Italia all’interno di uno scacchiere mutevole
In questo contesto di rapida trasformazione e mutevoli rilevanze geopolitiche l’Italia è presente sia nell’ambito dell’esplorazione spaziale che in quello della tecnologia, forte di una lunga e significativa tradizione iniziata negli anni Cinquanta con scienziati e accademici italiani che hanno permesso al nostro Paese di diventare il terzo al mondo a lanciare un satellite di propria progettazione nel 1964 e gli altri progressi successivi nel settore. La strategia spaziale italiana si esprime nella sua capacità di partecipazione internazionale a progetti di grande importanza ma anche tramite il suo ruolo di membro fondatore dell’Agenzia spaziale europea. Per quanto riguarda la governance spaziale la Legge n. 7 del 2018 ha definito l’approccio del Paese nel settore[14] identificando le numerose aree strategiche, tra cui le telecomunicazioni, l’osservazione della Terra, la navigazione, l’accesso allo spazio e lo studio dell’universo, l’esplorazione dei corpi celesti e la consapevolezza dell’importanza delle relazioni internazionali e della cooperazione per la leadership e la competitività della comunità scientifica e dell’industriale nazionale. Coerentemente con quest’ultimo punto Roma ha stabilito negli ultimi anni una rete globale di relazioni rafforzando i legami con gli Stati Uniti, elevando i rapporti con Giappone e India a partenariati strategici, e agendo in modo proattivo nell’ambito del tavolo spaziale europeo, con un approccio pragmatico alla diplomazia spaziale con l’obiettivo di integrare a livello globale scienza, economia, sicurezza e difesa.
Nonostante la collaborazione e la cooperazione siano aspetti fondamentali per la convivenza pacifica sul pianeta e oltre, tuttavia, come scrivevano già Alessandro Aresu e Raffaele Mauro nel 2022, attualmente «[g]li incentivi per la riduzione del livello di cooperazione sono sempre più forti e il processo di “deglobalizzazione” vissuto sul pianeta sembra che andrà a estendersi anche oltre l’atmosfera»[15]. In questo contesto, l’Italia riveste oggi un ruolo cruciale nello spazio grazie a una combinazione di innovazione tecnologica e rilevanza geopolitica europea e globale, per la sua capacità di combinare ricerca avanzata e applicazioni pratiche, per un’industria aerospaziale che si colloca tra le prime in Europa e nel mondo. Questa realtà non solo contribuisce all’economia nazionale, ma offre anche ottime opportunità per valorizzare competenze e contrastare la fuga di cervelli, grazie a capacità che vanno dalla ricerca di frontiera alla manifattura di satelliti, che le permettono di ricoprire una posizione di rilievo nell’influenzare e trarre vantaggio dalle evoluzioni future della space economy e della geopolitica spaziale.
[1] A. Sommariva, The Evolution of Space Economy. The Role of the Private Sector and the Challenges for Europe, «ISPI Online», 2020.
[2] B.E. Bowen, War in Space. Strategy, Spacepower, Geopolitics, Edinburgh University Press, Edimburgo 2020, p. 22.
[3] Ivi, p. 3.
[4] Ivi, p. 2.
[5] M.S. Barbaro, Revised Maritime Spacepower Theory, «Journal of Indo-Pacific Affairs», 6.5, 2023, pp. 95-99.
[6] United Nations Office for Outer Space Affairs, 2222 (XXI). Treaty on Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of Outer Space, including the Moon and Other Celestial Bodies, 19 dicembre 1966.
[7] Cfr. la Risoluzione 1148 (XII) del 1957 dell’Assemblea Generale.
[8] Cfr. la Convenzione sulla responsabilità internazionale per danni causati da oggetti spaziali del 1972.
[9] V. Chabert, Il diritto internazionale dello spazio: genesi ed evoluzione, «Diritto e consenso», ottobre 2022.
[10] A. Gili e E.P. Gioia, Outer Space. International Competition Is Back, and This Time It’s Different, in A. Gili, The Sky Is Not the Limit. Geopolitics and Economics of the New Space Race, Report ISPI, 18 gennaio 2024.
[11] NASA, The Artemis Accords. Principles for Cooperation in the Civil Exploration and Use of the Moon, Mars, Comets, and Asteroids for Peaceful Purposes, ottobre 2020.
[12] R. Noack, Some of the world’s smallest nations have joined the space race, «The Independent», 17 luglio 2019.
[13] J. Foust, United Nations General Assembly approves ASAT test ban resolution, «Space News», 13 dicembre 2022.
[14] International Affairs Department – Italian Space Agency, Italy’s Strategic Approach to Space in International Affairs, in A. Gili, The Sky Is Not the Limit. Geopolitics and Economics of the New Space Race, Report ISPI, 18 gennaio 2024, pp. 98-99.
[15] A. Aresu e R. Mauro, L’epoca della nuova corsa spaziale, «Le Grand Continent», 25 maggio 2022.