Scritto da Giacomo Bottos
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Vincenzo Colla è Vicepresidente Regione Emilia-Romagna con delega a Sviluppo economico e green economy, Economia sociale, Energia, Formazione professionale, Università e ricerca.
La nuova Giunta guidata dal Presidente de Pascale ha mostrato da subito la volontà di attribuire rilievo alla tematica dell’economia sociale, anche attraverso la decisione di creare una nuova delega specifica, attribuita a lei. Qual è il significato di questa decisione? Come si inserisce il tema dell’economia sociale all’interno del contesto più ampio della strategia di sviluppo economico regionale?
Vincenzo Colla: Si tratta della prima delega sull’economia sociale che viene attribuita in Italia nell’ambito di una Giunta regionale. Non stiamo parlando, quindi, solo di un ruolo o di un titolo ma di un posizionamento strategico, che deriva da un’analisi ormai per noi consolidata. Viviamo in una società che si sta polarizzando moltissimo e questa polarizzazione deriva anche dalla velocità del cambiamento tecnologico, a partire dalla digitalizzazione. Si determina un rischio di polarizzazione territoriale, economica, di conoscenza e di competenze. Partendo dall’analisi di questa polarizzazione, ci siamo posti la questione di come adottare una nuova strategia di ricucitura della società, anche nella nostra regione. Il Covid ci ha insegnato molte cose, tra cui quella che se le persone non stanno bene le imprese non funzionano e non realizzano prodotti di qualità. Il sistema economico non vive nel deserto, e vive se c’è una comunità che è in grado di reggere il sistema. Dire economia sociale per noi vuol dire anche pensare un nuovo modello di sviluppo, che sia giusto e politicamente e istituzionalmente condiviso. Io penso che ovviamente debbano avere un ruolo centrale sia lo Stato che il mercato e credo nelle democrazie liberali, anche in una situazione in cui queste sono in crisi proprio nella culla della democrazia liberale che è l’Europa. Dunque, per noi promuovere il tema dell’economia sociale vuol dire anche pensare a un nuovo modello di redistribuzione che sia in grado di garantire la tenuta dei sistemi di welfare e sociali. Il welfare regge in presenza di un sistema che crea valore aggiunto e che riconosce la tenuta della comunità dal punto di vista dei differenti bisogni, sia quelli riguardanti le sofferenze delle singole persone che, ovviamente, quelli relativi a un tessuto che poi è alla base delle comunità e delle realtà che sostengono l’asset democratico di queste nostre comunità. Nell’ambito di questa delega, noi andremo a breve a creare un team di professionisti e a sviluppare nuove conoscenze, utilizzando il metodo che abbiamo visto funzionare di più, che è quello già promosso nell’ambito del Patto per il Lavoro e per il Clima. Abbiamo consegnato a tutti i firmatari di questo Patto le proposte per arricchirlo e posizionarlo, con diverse novità, e una di queste è proprio il progetto per l’economia sociale.
In questo contesto un’esperienza come quella del Piano Metropolitano dell’Economia Sociale di Bologna che valore può avere?
Vincenzo Colla: Un valore importante, perché è finora l’elaborazione più strutturata di cui disponiamo in Regione. Non solo ne terremo conto nel team che ho citato, ma sicuramente in quella sede sarà presente anche l’espressione del Comune di Bologna, della Città Metropolitana, proprio per l’elaborazione del Piano che hanno proposto. L’operazione ha un tratto che mi convince e che riguarda la strategia per affrontare le crisi, i cambiamenti e le nuove sfide del mondo di oggi. Anche a livello europeo ci sono delle novità, perché l’Europa agisce tramite il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE), che sta portando avanti una discussione in quella stessa direzione, avendo capito che non basta la bussola competitiva per guidare l’economia se è priva della tenuta sociale.
Nello stesso rapporto Draghi si pone il tema di ritornare ad avere un’autonomia strategica dal punto di vista del modello di sviluppo. Non dimentichiamo che la forza dell’Europa è sempre stata anche la sua tenuta sociale. Si tratta quasi di un’identità, sul solco di Jacques Delors. I concetti di sviluppo e di economia sociale rappresentano due facce della stessa medaglia e devono andare di pari passo, altrimenti vanno in sofferenza entrambi. L’economia sociale non deve entrare in campo per ridurre la crescita, ma per portarla avanti con la coesione. Ovviamente è necessario avere un modello economico e di sviluppo che crei valore aggiunto, e quel valore aggiunto deve permettere una giusta redistribuzione. In questo senso l’economia sociale è capace di sostenere il modello di sviluppo perché crea essa stessa valore aggiunto, qualità, senso e posti di lavoro. La vera novità è quella di poter discutere insieme un giusto modello di sviluppo dell’economia sociale.
Al di là dell’esperienza del Piano metropolitano di Bologna, ci sono altre esperienze interessanti nel territorio emiliano-romagnolo, altre città che stanno lavorando in questa direzione?
Vincenzo Colla: C’è un patrimonio enorme, un po’ più verticale che orizzontale, sul tema dell’economia sociale. Rispetto alle fragilità, in tutte le città ci sono accordi tra le parti sociali sul tema della tenuta sociale. Però abbiamo bisogno di metterli a sistema e di creare una regia comune, soprattutto perché poi faremo investimenti in quella direzione e non possiamo investire risorse a pioggia. L’economia sociale, prima di tutto, necessita anche di una nuova analisi rispetto alla sua definizione. Voglio essere onesto, se chiediamo oggi cos’è l’economia sociale molti non sanno rispondere, perché è veramente una novità anche dal punto di vista della consapevolezza rispetto alle strategie e alle analisi comuni che mettiamo in campo riguardo ai bisogni prioritari da affrontare. Questo è un aspetto fondamentale perché economia sociale non è solo welfare e servizi alla persona, ma è molto di più. È la condizione culturale di riconoscere che i bisogni delle persone sono totalmente integrati rispetto ai bisogni di processo e di prodotto, rispetto ai bisogni dei servizi, e rispetto alle relazioni che sono fondamentali per conoscere i nuovi bisogni che si manifestano rispetto alla velocità tecnologica che menzionavo prima. È un foglio bianco da scrivere, per cui è necessario anche tenere presente la discussione a livello nazionale. Il vincolo europeo impegna il governo, che dovrà redigere anche il suo piano di economia sociale. Quindi noi siamo all’interno di questi due grandi contesti, l’Europa e il livello nazionale, a partire dai quali dobbiamo mettere a terra le sperimentazioni territoriali condivise, non solo dentro al Patto ma anche dentro gli organismi politici della nostra regione, come le Commissioni.
Dobbiamo rendere diffuso questo modello di pensare agire con forte legame territoriale. Non escludo che si possa arrivare anche a definire una legge in Emilia-Romagna sull’economia sociale. Poi è ovvio che parlare di economia sociale in questa regione tocca anche la sua identità e la sua storia. Molte imprese nella regione già operano con la cultura del socialmente e ambientalmente competitivo. La forza di questa regione è sempre stata quella di realizzare una mediazione tra impresa e lavoro, avendo sempre presente la tenuta delle condizioni delle persone. Questo certamente vuol dire sanità, welfare, tutela dei più fragili. Rispetto alla dinamica Stato-mercato a volte ci aspettiamo che il pubblico sia capace di coprire quei bisogni che sono anche conseguenza dei limiti del mercato, ma non è in grado di farlo. Forse è giunto il momento di porre un terzo soggetto, che è il ruolo delle nostre comunità per far reggere questa nuova ricucitura sociale, a cui accennavo prima. Quindi, in questo senso, un soggetto, che può essere di livello regionale, capace di svolgere un ruolo sia di proposizione anche legislativa, sia di proposte e di sperimentazioni per un nuovo modello di tenuta a sistema orizzontale.
Lei ha parlato del livello europeo e di quello nazionale. Sul piano europeo, ha l’impressione che la nuova Commissione Europea possa avere meno slancio della precedente su questo tema, su cui c’era stato al tempo un forte investimento? Il governo nazionale, invece, come si sta orientando in merito a questo tema?
Vincenzo Colla: È inutile negarlo, il fatto di aver tolto dalla DG Grow l’unità dedicata all’economia sociale non è un bel segnale. Un punto di discussione che abbiamo evidenziato anche ai parlamentari europei è che non solo abbiamo bisogno di recuperare una sovranità tecnologica, ma di recuperarla in modo tale che sia in grado di porre tutti i soggetti al centro, come le università, dunque i luoghi di sapere e conoscenza. Un’Unione Europea che fallisce sul tema dell’economia sociale rischia di perdere anche la sua identità. Non vorrei che si pensasse di poter far reggere l’economia sociale nei Paesi seguendo quei valori di sovranismo “casereccio”, per cui il più forte riesce mentre i più deboli debbono arrangiarsi. Sarebbe un problema anche dal punto di vista identitario rispetto alla storia dell’Europa, che è sempre stato il perimetro più evoluto di ricucitura sociale. Tuttora è necessario valorizzare questa identità, perché nel mondo c’è un attacco alle democrazie liberali. La democrazia liberale riguarda anche, ovviamente, la libertà d’impresa, dentro a un tratto regolamentato rispetto al lavoro, ma anche il riconoscimento di una ridistribuzione per far reggere il sistema. Sul tema della scuola e della sanità l’Europa ha comunque fatto moltissimo. Noi come Regione ci posizioneremo nella discussione europea sull’economia sociale. E come dicevo ho già contattato i parlamentari, perché penso che sia una discussione che abbia la stessa valenza della discussione sulle filiere industriali. Perché nel porre solo l’accento sulle filiere industriali senza menzionare l’economia sociale si corre il rischio di non raggiungere gli obiettivi prefissati. Se finanzio l’innovazione, ma concentro la ricchezza su pochi, commetto l’errore che stiamo vedendo nel mondo contemporaneo.
L’economia sociale è anche una nuova cultura di redistribuzione, che abbia quelle qualità capaci di sviluppare un’economia di soggetti e non la polarizzazione economica che stiamo vedendo anche rispetto alla concentrazione dei poteri e della ricchezza nella tecnologia. Quindi abbiamo bisogno anche di organizzare in Europa una tenuta diversa. Serve poi che il Governo vada in coerenza rispetto alle dinamiche europee. Sul piano nazionale stiamo partecipando alla discussione e attendiamo di vedere la prima elaborazione che poi verrà presentata anche alle Regioni. Noi ci inseriamo con una postura positiva, perché molto probabilmente avremmo bisogno anche di nuove normative per far reggere l’economia sociale sul piano nazionale, per ridurre la frammentarietà di norme che rischiano di non essere più all’altezza del cambiamento.
Nel frattempo, noi procediamo con il nostro progetto regionale e lo plasmiamo rispetto a questi due grandi contenitori, ma sapendo che in questo contesto c’è una parte che è interamente nostra, per cui dovremo decidere noi con le nostre risorse, con le nostre forze, ma soprattutto con i nostri convincimenti.
Per questa parte, e anche per quella messa a sistema a livello regionale di cui parlavamo prima, quali possono essere gli strumenti principali?
Vincenzo Colla: Gli strumenti principali intanto sono le risorse del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e del Fondo Sociale Europeo (FSE) e possono essere anche risorse dirette messe in campo attraverso il bilancio della Regione. Quindi è ovvio che nel momento in cui andremo in quella direzione, decideremo anche che bandi indire per strutturare l’economia sociale. Ma forse è giunto il momento anche di guardare al coinvolgimento dei tanti soggetti che abbiamo in questa regione per iniziare a pensare ad avere un fondo che permetta di alimentare anche l’economia sociale rispetto ai variegati bisogni. Penso che si debbano coinvolgere le fondazioni, la contrattazione, i sistemi finanziari, le istituzioni. Ognuno deve fare un pezzo, ma forse è necessario decidere quali sono le priorità che vogliamo aggredire, quali le conditio sine qua non per far reggere una grande identità di risposta sociale in questa regione. Mettere a terra queste idee vuol dire prima di tutto dimostrare una consapevolezza preventiva. Sarà una discussione paziente, indispensabile perché si tratta di mettere tante verticalità dentro un contenitore orizzontale e collettivo.
E il progetto dell’hub regionale dell’innovazione come si inserisce in questo quadro?
Vincenzo Colla: Si inserisce in un senso che vada verso l’innovazione sociale, per cui abbiamo già indetto un bando. Molti soggetti hanno aderito con dei progetti bellissimi e quindi siamo soddisfatti. Quella è stata la prima sperimentazione messa in campo. Tuttavia, l’hub dell’innovazione sociale deve essere riconosciuto non solo da pochi soggetti rappresentativi, ma soprattutto l’innovazione sociale deve essere riconosciuta da tutti i soggetti, grandi e piccoli, di rappresentanza in questa regione. Oggi, inevitabilmente a quei bandi hanno partecipato soggetti importantissimi, ma su posizioni verticali. Abbiamo bisogno di rendere orizzontale la consapevolezza che l’innovazione sociale è dentro a un’impresa, a un servizio, a una banca, a un cantiere, è dentro a un ufficio pubblico, al turismo, e potrei continuare.
In tutto questo contesto anche il Piano metropolitano di Bologna potrebbe trovare una prospettiva e una sponda in questa strategia regionale?
Vincenzo Colla: Devo dire, anche per correttezza, che loro stessi hanno chiesto di pensare a una dimensione regionale. Ho avuto modo di parlare sia con il sindaco Matteo Lepore che con Daniela Freddi, che si è occupata di elaborare il Piano in quanto responsabile. Loro stessi capiscono che c’è una dimensione regionale sia per la discussione nazionale che per la discussione europea. Poi è ovvio che ogni territorio ha anche le sue specificità. Ma il progetto della Regione non è di specificità territoriali, è del sistema Emilia-Romagna a disposizione dei territori. Occorre dargli una missione ed una direzione. Fuori da logiche autoreferenziali. Dobbiamo affermare un grande progetto di neomutualismo cooperativo.
Rimane fondamentale rafforzare le reti di organizzazione di secondo livello, valorizzare tutto patrimonio pubblico e privato e sostenere i meccanismi per favorire partnership tra imprese ed economia sociale. Inoltre, occorre includere la conoscenza dell’economia sociale, per farla diventare una prassi culturale dentro la filiera dell’istruzione, nei percorsi formativi e scolastici a tutti i livelli e sostenere le attività di formazione. Come Regione andremo a favorire iniziative di comunicazione e campagne di sensibilizzazione nell’opinione pubblica. Ma è necessario anche sostenere l’attività di ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica per l’economia sociale con le istituzioni accademiche, gli enti, il nostro ecosistema e promuovere la creazione anche di statistiche sistematiche, coordinandoci per cercare di capire nell’ambiente dell’economia sociale cosa accade. E infine dobbiamo dotarci dei metodi condivisi di misurazione dell’impatto sociale che oggi, purtroppo, non abbiamo. Ovviamente ci dovremmo dare anche dei tempi operativi, come per il Patto per il Lavoro e per il Clima, concludendo queste operazioni entro l’autunno del 2026 per poi discutere una legge e, ovviamente, per iniziare ad avere dei posizionamenti anche finanziari che abbiano la giusta portata.