Recensione a: Mara Morini e Gabriele Natalizia (a cura di), La svolta della Russia. Allineamenti internazionali e politiche revisioniste nel XXI secolo, Prefazione di Sonia Lucarelli, Carocci, Roma 2023, pp. 205, 22 euro (scheda libro)
Scritto da Cristiano Rimessi
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La svolta della Russia è un saggio corale che si focalizza sull’evento più significativo accaduto sulla scena internazionale degli ultimi anni. La Russia, con l’invasione dell’Ucraina, ha lanciato una sfida che può sembrare folle e improvvisa, ma che rivela in realtà una certa lucidità rintracciabile in un modus operandi che non è nuovo per il Cremlino. Questa raccolta di saggi permette di analizzare i termini e le poste in palio di questa sfida attraverso le relazioni che la Russia ha intrattenuto e intrattiene con una serie di attori statali e non, più o meno protagonisti delle ultime vicende o che comunque fanno parte della sfera di influenza che l’Orso russo vuole assicurarsi. Ad accompagnare ogni capitolo è inoltre presente una sezione dedicata alla competizione cyber, dimensione essenziale per la Russia che le permette di adottare una strategia competitiva spregiudicata senza rischiare particolari escalation.
Mara Morini e Gabriele Natalizia, entrambi politologi specializzati sulla Russia e sullo spazio post-sovietico, hanno curato questo volume, aperto da una prefazione di Sonia Lucarelli, che raccoglie i contributi di una lunga serie di autori che hanno collaborato per la stesura di uno o più capitoli. Ciò conferisce al volume un taglio prettamente accademico e politologico, ma rimanendo al contempo fruibile e scorrevole, e quindi adatto ad un’ampia diffusione anche al di fuori dei corsi universitari dove troverebbe la propria naturale collocazione.
La sfida russa all’ordine internazionale, già dal titolo ma anche più volte nel resto del libro, è identificata come revisionista. Eppure, fin dall’introduzione Morini e Natalizia tengono a precisare che Mosca non dispone delle risorse materiali e immateriali adeguate a rovesciare l’ordine internazionale. Alla Russia manca infatti un’economia forte, una capacità di soft power che sappia convincere possibili partner a sposare la sua causa senza il tintinnio di sciabole e, soprattutto, una vera comunanza d’interessi strategici con la Cina che vada oltre il semplice voler impartire una vendicativa lezione al nemico occidentale rappresentato dagli Stati Uniti e dai loro partner strategici.
Il capitolo scritto da Natalizi e Marco Valigi, studioso della politica estera russa e della NATO, però, mostra lucidità d’analisi nello spiegare che la rivalità tra Russia e Stati Uniti ha seguito un pattern ben specifico negli ultimi trent’anni, che aiuta a comprendere l’attuale crisi dell’ordine internazionale. Fin dal crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno tentato di integrare la Federazione Russa nel loro ordine internazionale liberale, ma il Cremlino, non avendo subito sconfitte militari, non ha mai voluto accettare il ridimensionamento di potenza che ciò avrebbe comportato. Ciclicamente, ogni amministrazione presidenziale americana, da Bill Clinton passando per George W. Bush fino a Barack Obama, ha cercato di dissipare le tensioni con la Russia nell’arco della prima fase del mandato, ottenendo talvolta anche ragguardevoli risultati, per poi riaccendere la rivalità nell’arco della seconda fase. Spesso, i motivi di frizione sono stati relativi proprio al processo di allargamento della NATO, percepito dalla Russia come una minaccia alla propria sicurezza, oppure a tentativi di Mosca di riaffermarsi come grande potenza – cosa che a Washington nessuno voleva permettere. Il “granello di sabbia” nell’ingranaggio si è presentato in occasione delle elezioni presidenziali americane del 2016. L’ipotesi che le attività hacker russe avessero alterato il risultato in favore di Donald Trump ostacolò la possibilità del nuovo presidente di avviare la solita fase di distensione che ogni amministrazione precedente aveva inaugurato ad inizio mandato e che lui stesso aveva già cominciato a preparare fin dalla campagna elettorale. Al contrario, anche Trump, secondo gli autori, era costretto ad una postura aggressiva nei confronti della Russia, se non altro per fugare ogni dubbio riguardo le accuse dei democratici di essere in realtà una quinta colonna di Putin alla Casa Bianca. Di conseguenza, la strategia di cui Obama aveva posto le basi e a cui Trump avrebbe fatto volentieri seguito nonostante le scarse affinità politiche, cioè il Pivot to Asia, era destinata a rimanere quantomeno incompiuta. L’idea, infatti, era quella di poter giungere ad una distensione con la Russia per concentrarsi sulla Cina, minaccia concreta all’egemonia a stelle e strisce.
Uno degli snodi principali del libro, nonché ragione profonda dell’atteggiamento russo sulla scena internazionale, è la questione della contestazione dell’ordine globale unipolare stabilito dagli Stati Uniti. Balza all’occhio che la Russia non è l’unico Paese del rango di superpotenza ad essere esclusa dal tavolo dei decisori dell’ordine mondiale: anche la Cina ne è estromessa. A fronte di tale esclusione, però, Cina e Russia hanno agito in due modi completamente diversi, colti con precisione da Lorenzo Termine, dottorando alla “Sapienza” di Roma e studioso delle strategie revisioniste degli attori globali, e Antonella Ercolani, professoressa di Relazioni internazionali all’Università Internazionale di Roma. Il motivo del diverso atteggiamento è dato dal fatto che la Cina ha saputo beneficiare dell’ordine unipolare statunitense, espandendosi economicamente e mettendosi nella posizione di diventare una vera e propria superpotenza. Al contrario, la Russia non è stata altrettanto fortunata o capace e, anzi, l’integrazione nel sistema capitalistico e liberale degli Stati Uniti ha causato non solo una perdita di prestigio e di status imperiale, ma anche una significativa depressione economica nel corso degli anni Novanta e primi Duemila. Secondo gli autori, le diverse posture di Mosca e Pechino sono riscontrabili nelle diverse strategie di cyber warfare adottate. Mentre la Cina si è limitata più che altro ad attacchi hacker di spionaggio industriale per crescere economicamente e sottrarre informazioni riguardo a tecnologie militari, la Russia ha utilizzato tali strumenti per provare controbilanciare gli Stati Uniti e la NATO in ambito politico e strategico.
Come analizza Nicolò Fasola, professore di Relazioni internazionali all’Università di Bologna, sebbene la Russia avesse inaugurato la propria cyber warfare già nel 2007 con un attacco hacker all’Estonia, le preoccupazioni della NATO per questa dimensione del conflitto si sono intensificate solo intorno al 2014, col progressivo aumento degli attacchi hacker russi alle strutture informatiche dei Paesi dell’alleanza più sensibili. Eppure, anche i rapporti tra NATO e Russia non sono stati sempre necessariamente conflittuali nel tempo: Fasola si occupa di delinearne i passaggi, mettendo in luce i tre possibili approcci politologici alle relazioni internazionali, ovvero l’interpretazione realista, istituzionalista e costruttivista. Invece che affidarsi soltanto ad una di queste cornici interpretative, esporle tutte permette indubbiamente di cogliere le molteplici dimensioni della sfida russa all’ordine internazionale, arricchendo l’esposizione del problema per permettere al lettore stesso di entrare in contatto con la complessità del fenomeno studiato, irriducibile a semplificazioni di partigianeria teorica.
Il tentativo revisionista dell’ordine internazionale perseguito dalla Russia, quindi, non passa solo attraverso le interazioni con le grandi potenze come Stati Uniti e Cina, ma anche attraverso attori non prettamente statali come la NATO o l’Unione Europea, con la quale la Russia ha sempre intrattenuto un rapporto che non si discosta da quello sostenuto nei confronti di Stati Uniti e Alleanza atlantica. In questo, forse, un saggio che decide di essere corale trova difficoltà a collegare le analogie. Le fasi di cooperazione e competizione tra Stati Uniti e Russia, tra NATO e Russia e tra Unione Europea e Russia sostanzialmente coincidono e, sebbene un’analisi disgiunta riesca ad approfondirle adeguatamente, essa rischia di mancarne le sincronicità. Infatti, anche con l’Unione Europea si sono susseguite fasi di cooperazione e competizione – quest’ultima soprattutto nei riguardi dello spazio post-sovietico e ancora di più dell’Ucraina, terra divisa a metà, attratta in qualche modo dalla Weltanschauung europea ma ancorata anche all’universo russofono, dove la madrepatria russa non si è mostrata disposta a tollerare tentennamenti di sorta.
Una parte cruciale del volume è poi dedicata, inevitabilmente, all’analisi del rapporto tra Ucraina e Russia. Il capitolo che si concentra su questo aspetto è curato da Anna Zafesova, giornalista specializzata nello studio dei cambiamenti politici e socioculturali nell’ex Unione Sovietica che ricostruisce la travagliata spaccatura identitaria che il Paese ucraino ha dovuto affrontare dal momento della sua indipendenza a seguito del crollo dell’URSS. Specularmente, vengono riassunti tutti gli aspetti che hanno portato la Russia a rifiutare violentemente il distacco, a partire dalle profonde radici culturali, storiche, etniche, ma anche a causa degli interessi geostrategici e militari.
Per completare il quadro, nel libro vengono dedicati capitoli anche al rapporto che la Federazione Russa ha sviluppato con gli altri Paesi slavi come Bielorussia e Serbia, ma anche con Moldova e Paesi caucasici come Georgia, Azerbaijan e Armenia. Ciascuno di questi, a suo modo, ha dovuto trovare un delicatissimo equilibrio tra l’Occidente a guida americana da un lato e la Russia dall’altro, perseguendo i propri interessi ma anche chiedendosi dove risiedesse la loro vera identità, se presso l’uno o l’altro modello culturale.
Questa raccolta di saggi restituisce un mosaico che delinea il presente della Russia e la sua politica internazionale nei suoi nodi fondamentali. Oltre ai capisaldi del rapporto con l’Occidente e con lo spazio globale più prossimo, sono presenti anche due approfondimenti dedicati al teatro mediorientale. Prima di tutto alla Siria, dove Mosca ha sperimentato la propria tradizionale postura internazionale assertiva post 2014. E in secondo luogo a Israele, dove i legami con il Cremlino sono più sanguigni di quanto non si possa immaginare per via dei refusenik, ebrei con passaporto sovietico che, dagli anni Settanta in una prima ondata e dagli Novanta in una seconda, si sono trasferiti in Israele mantenendo un rapporto di nostalgia con l’Unione Sovietica e, di conseguenza, con la Russia.
La lettura di La svolta della Russia aiuta a mettere in ordine le idee, catalogarle e schematizzarle. Seguendo la divisione scelta dai curatori del volume, si riscontra una prima parte dedicata alla competizione tra potenze, una seconda alla partita che la Russia gioca in Europa e un’ultima che si focalizza sulle sfide nel Caucaso, in Medio Oriente e in Asia Centrale. Sebbene l’impronta sia di tipo accademico, l’accuratezza e chiarezza di analisi del volume lo rendono prezioso anche per il pubblico generalista. Al lettore è però lasciato il decisivo compito di ricucire i fili che legano i vari argomenti, connettendo gli essenziali spunti offerti dagli autori per arrivare a ricamare una figura completa.