Lo spazio oggi. Recensione a: Franco Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Einaudi, Torino 2009, pp. 250, 22 euro (scheda libro)
Scritto da Paolo Missiroli
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La globalizzazione, su Pandora lo andiamo dicendo da tempo, non è un mero processo economico. Non esistono processi storici che siano riconducibili nella loro interezza ad un’economia intesa come spazio autonomo di “gestione della ricchezza”. Non esiste l’economia, nel senso in cui la intendono i pensatori liberali e neo-liberali, come spazio a-politico, a-storico o più in generale svincolato da un “momento sociale” determinato. Di questo enorme processo è, insomma, possibile fare una genealogia: non solo Nietzsche ce l’ha insegnato, ma anche, prima di lui, Marx.
È anche vero che spesso si commette l’errore opposto: volendo politicizzare una storia, la si riduce ad uno scontro di forze, senza comprendere che non si dà scontro senza un campo. Non ci sono battaglie senza campi di battaglia, come ci insegna già Michel Serres. Non si danno battaglie in luoghi non concepiti come tali. Ci sono sempre condizioni di possibilità, spesso messe da parte, spesso non considerate, sia agli scontri che hanno contribuito a forgiare la globalizzazione sia alla globalizzazione stessa.
Una di queste è la concezione dello spazio per come si trasforma dall’epoca moderna (cartografia) all’attuale (Rete). Su questo movimento, e sulle differenze che lo caratterizzano, si struttura il libro di Franco Farinelli, La crisi della ragione cartografica. Questo è infatti anche il tentativo di dare ragione non solo dell’influenza della globalizzazione nel nostro modo di vedere lo spazio, ma anche il contrario: mostrare come la globalizzazione possa esprimere la sua reale potenza solo in un mondo concepito come globo, come rete, e non più come territorio cartografato.
In effetti, non solo della globalizzazione si tratta, secondo Farinelli, quanto della modernità stessa, e del suo passaggio ad una post-modernità. La modernità infatti nasce sotto la stella della cartografia. Ogni moderno ha sempre pensato che scoprire volesse dire cartografare, cioè porre la realtà in una rappresentazione stilizzata, che ne cogliesse i punti matematicamente validi. Geometria mundi.
In questo senso Farinelli compie un’operazione di ricostruzione storico-concettuale molto interessante. In effetti, non sarebbe veritiero affermare che nelle storie esistenti della globalizzazione e della modernità lo spazio non viene pensato nella politicamente. Cosa si dice, però, in generale? [Si veda, ad esempio, H. Lefebvre, La produzione dello spazio] Si sostiene che un determinato modo di produzione, o un determinato sistema storico, ha creato un particolare spazio. Lo spazio cartografato, astratto e geometrizzato è la conseguenza dell’affermarsi del capitalismo. Farinelli ribalta questa prospettiva. La cartografizzazione dello spazio è all’origine di questi processi. Farinelli sostiene che “non solo con Cartesio, il pensiero occidentale diventa il protocollo della logica cartografica.” Non vi è nascita del capitalismo se non in un mondo cartografato.
Anche la nascita dello Stato viene ricondotta a questa opera di astrazione: Richelieu è il primo che governa uno stato cartografato, tutto dato nel suo essere un territorio disponibile alla lettura ed alla gestione.
In effetti, tutto questo ha molto a che vedere con il concetto di biopolitica per come lo espone Foucault. La politica all’altezza della modernità è una politica che si esercita su una popolazione e su di un territorio. Farinelli aggiunge: non vi è governo del territorio, quindi non vi è Stato, là dove questo territorio non sia stato cartografato. Non solo; lo Stato ha anche ragionato su questo governo sempre ponendo il territorio all’interno di una mappa, volendo far sì che potesse essere cartografato. Gli acquitrini non sono stati eliminati, nel corso della modernità, solo perché erano dannosi per la salute delle popolazioni. Essi sono stati distrutti anche perché, nella loro difficoltà a venire mappati, erano “naturalmente sediziosi.
Noi possiamo governare solo ciò che si dà al nostro sguardo ed al nostro pensiero. Ogni governo avviene sempre attraverso una stilizzazione del reale nella mappa, insieme di segni che riducono la complessità del mondo ad uno schema che rende possibile lo Stato, la Colonia, il viaggio per raggiungerla. Si capisce così perché non si può più dire che la mappa è il “prodotto” del capitale. È il contrario: il capitale è il prodotto della mappa. La lunga storia del capitalismo è potuta cominciare perché i mercanti hanno potuto attraversare mari ed espropriare terreni che erano già stati cartografati.
Cosa accade nel Novecento, che trasforma questa prospettiva? Secondo Farinelli, viene meno l’idea di mappa a partire proprio dal divenire mappa dell’intero mondo. A questo punto, anche grazie alle foto dallo spazio, la Terra diviene Globo e Rete. In questi due elementi, il tempo e lo spazio vengono meno nella loro consistenza ed i punti, che prima erano distribuiti nettamente sulla mappa, entrano in una relazione multipla tra di loro ed irriducibile alla geometria classica. Questo sviluppo è sia il risultato che la condizione da un lato del progresso tecnico che ha ridotto le distanze temporali e spaziali, oltre che dello sguardo che si posa per la prima volta su un globo.
È questo passaggio che dobbiamo, secondo Farinelli, intendere come passaggio dalla modernità alla post-modernità. La post-modernità emerge qui come approfondimento di tendenze della modernità: la Rete nasce nel momento in cui il mondo intero diventa Carta. Non c’è più modernità quando la ragione cartografica entra in crisi. Questo non solo perché (ed è il mondo in cui viviamo oggi) questo nuovo tipo di spazio mette in crisi lo Stato (che, come visto in precedenza, si fondava sulla mappatura del mondo) ma anche perché il meccanismo stesso della rappresentanza politica si fonda sulla cartografia, come mostra Farinelli nell’ultima parte del testo. Sieyès pensa la rappresentanza, nella Rivoluzione del 1789, nella “indistinta equivalenza che hanno i punti geometrici che si trovano sullo stesso piano”. La Tavola, la Mappa, dice Farinelli, è al fondo di ogni rappresentanza politica.
Da questo punto di vista Farinelli spiega la crisi della rappresentanza odierna. Essa è dunque crisi dello Stato, da un lato, ma anche crisi del meccanismo stesso della rappresentanza. Come si rappresenta qualcosa che è del tutto uscito da una mappabilità qualsivoglia, che sta nell’indeterminato, che è moltitudine (senza dare a tale concetto, ora, il senso positivo che altri gli danno)? In questo senso possiamo leggere anche la crisi dei partiti odierna, che è dunque sicuramente una crisi culturale ed epocale, come ci ricorda Farinelli, prima che politica. Il punto è che i partiti non rappresentano più classi perché il concetto stesso di classe ricade in uno schema di tracciabilità che oggi, sostiene il geografo, è del tutto passato. La globalizzazione emerge così, per Farinelli, come termine della modernità.