Scritto da Nicolò Carboni
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Mettendo fine a mesi di speculazioni, ipotesi e dibattiti, Martin Schulz ha annunciato ufficialmente che non si candiderà per un terzo mandato come Presidente del Parlamento Europeo. Il politico tedesco ha motivato la scelta con la volontà – a quanto pare condivisa dalla SPD – di dedicarsi alla politica tedesca e, in particolare, di confrontarsi con Angela Merkel nelle elezioni federali del 2017.
In realtà, come direbbe qualcuno, la situazione è un po’ più complessa.
Un eventuale terzo mandato di Schulz alla guida dell’assemblea di Strasburgo, oltre a rappresentare un unicum istituzionale (nessun presidente è mai rimasto in carica più di cinque anni), sarebbe stato assai sgradito al Partito Popolare Europeo, in particolare della sua ala destra, guidata dall’influente CSU bavarese. Secondo l’interpretazione dei “falchi” conservatori, Jean Claude Juncker avrebbe infatti tradito il suo mandato politico, concedendo troppo ai socialisti – e ai governi del Sud Europa -. In quest’ottica la riconferma di Schulz sarebbe stata la sanzione di una politica europea improntata ad un’interpretazione lasca dei vincoli di bilancio e delle norme fiscali. Per ripristinare gli equilibri, dunque, i Popolari vorrebbero che a ricoprire la carica fosse un uomo o una donna proveniente dalle loro file, in modo tale da tenere sotto controllo le iniziative della Commissione Europea, che è stata accusata – ad esempio da Schäuble – di interpretare il proprio ruolo in maniera troppo politica, piuttosto che come mera applicazione tecnica delle regole.
Il nodo politico principale, in ogni caso, rimangono le gracili fondamenta su cui si basa la legislatura europea corrente: l’accordo di coalizione fra socialisti e popolari che ha permesso la nascita della Commissione Juncker si regge su una fragilissima ripartizione dei poteri e degli incarichi che, però, non è mai stata rafforzata da un vero memorandum politico. Al contrario dell’accordo sottoscritto all’atto della costruzione della Große Koalition tedesca, che dettaglia in maniera minuziosa il programma di governo della cancelliera, il patto europeo si basa su vaghi programmi di lavoro della Commissione e sui discorsi sullo Stato dell’Unione che Juncker tiene in aula una volta all’anno, discorsi ancora più generici. Com’è naturale spesso le proposte legislative finiscono per non soddisfare né i socialisti né i popolari, costringendo Consiglio, Commissione e Parlamento a interminabili negoziati.
In un contesto tanto difficile la figura di Martin Schulz consentiva di salvaguardare temporaneamente il fragile equilibrio esistente. La sua leadership permetteva infatti di limitare le spinte a sinistra provenienti dal gruppo parlamentare socialista e al tempo stesso garantiva ai popolari un partner negoziale non troppo rigido.
Senza il ruolo di compensazione rappresentato finora dalla presidenza del Parlamento è possibile che l’attività legislativa europea diventi ancora più complessa rischiando di giungere, addirittura, a un potenziale muro contro muro fra socialisti e popolari, con il rischio di spingere molto più a destra gli equilibri di potere interni.
Come se non bastasse la sostituzione di Martin Schulz cade quasi in contemporanea con la scadenza del mandato di Donald Tusk alla guida del Consiglio Europeo. Il governo di estrema destra polacco ha già annunciato che non intende sostenere la ricandidatura dell’ex primo ministro di Varsavia e, dunque, si potrebbe immaginare un avvicendamento. Nel 2014 i socialisti avevano proposto l’ex premier danese Helle Thorning-Schmidt ed Enrico Letta ma entrambe le candidature non andarono a buon fine per una serie di veti incrociati e, soprattutto nel secondo caso, per la mancanza di entusiasmo da parte del governo nazionale di riferimento. Un eventuale scambio Consiglio/Parlamento potrebbe soddisfare le diverse componenti del gruppo socialista ma la persona che dovrebbe, in questo caso, guidare i negoziati, Matteo Renzi, al momento pare più interessata alle questioni interne e difficilmente tornerà a occupare la scena europea prima del 2017.
Nel frattempo l’improvvisa decisione di Martin Schulz è già diventata l’ennesimo fattore di tensione di cui la UE dovrà farsi carico; il rinnovo delle cariche di medio termine rischia di trasformarsi nell’ennesima crisi europea, il mentre permangono le questioni dei migranti, della Brexit e l’incognita sulle conseguenze dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Il nuovo assetto istituzionale che si concretizzerà a gennaio, qualunque esso sia, sarà l’esito una manovra rischiosissima. Se questo passaggio non sarà gestito con enorme attenzione rischierà di essere un ulteriore fattore di stallo per un’istituzione già in forti difficoltà. Infine saremo davanti a una prova fondamentale per comprendere quali saranno in futuro le scelte del socialismo europeo, se esso vorrà impegnarsi in altri compromessi “di governo” con i popolari o se sceglierà di porsi in netta alternativa ad essi.