Scritto da Lorenzo Cattani
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I dati raccolti dalla SVIMEZ mostrano segnali positivi, ma il consolidamento degli stessi dipende dalla politica.
Il governo è intervenuto con strumenti di politica industriale quali il credito d’imposta per gli investimenti, la decontribuzione per le nuove assunzioni, l’istituzione delle ZES (zone economiche speciali) e il sostegno all’imprenditorialità giovanile, tuttavia permangono delle difficoltà, da parte delle imprese del Mezzogiorno, nell’accesso agli strumenti di politica industriali nazionale, un dato che verrebbe confermato per quanto riguarda gli interventi legati al piano Industria 4.0.
Riguardo a ciò, le anticipazioni del rapporto mostrano che le imprese meridionali hanno potuto accedere solo al 7% delle agevolazioni previste dai piani di super e iper ammortamento all’interno del piano Industria 4.0, per un totale di 650 milioni di euro di incentivi da ripartire in 11 anni a partire dal 2018. Al Centro-Nord il volume di questi incentivi è invece pari a 8,6 miliardi di euro, una differenza che dovrebbe far pensare.
Allo stesso tempo, l’accesso al credito d’imposta sulle spese in ricerca e sviluppo dovrebbe essere solo del 10% al Sud, per un totale di 350 milioni di euro in agevolazioni da dividere sul quadriennio 2018-2021, contro un valore di 3,1 miliardi al Centro-Nord.
Stesso discorso per la Nuova Sabatini, la misura beni strumentali[1], per cui al Sud le agevolazioni si attesteranno intorno ai 56 milioni per il periodo 2017-2023 mentre al Centro-Nord si aggireranno più di 500 milioni. Questo avrà un effetto positivo sull’aumento degli investimenti al Sud, che dovrebbero conoscere una crescita superiore rispetto al Nord, ma non produrrà un aumento significativo nel PIL.
Questo dato è dovuto al fatto che, se al Nord una politica simile può avere dei buoni risultati grazie ad un mercato che reagisce bene a simili misure, al Sud invece le difficoltà strutturali del mercato del lavoro comportano risultati ben più contenuti.
Alcune di queste difficoltà, citate nelle anticipazioni del rapporto, sono per esempio «minori livelli di innovatività, più bassa diffusione delle tecnologie ICT e/o assimilabili, dimensioni aziendali comparativamente inferiori».
La conclusione a cui giunge la Svimez è che la sola leva nazionale della politica industriale sull’implementazione del piano Industria 4.0 non basta per ammodernare il sistema produttivo meridionale, ma sarebbe invece consigliabile una «declinazione territoriale a favore del Mezzogiorno».
Da qui parte il suggerimento di aprire ad una strategia che possa attrarre investimenti (tramite ad esempio le Zone Economiche Speciali) e, soprattutto, tramite il rilancio degli investimenti pubblici. È questo un punto fondamentale, che viene ben delineato dai dati SVIMEZ, che mostrano come un’effettiva applicazione della cosiddetta «clausola del 34%»[2] avrebbe dimezzato gli effetti negativi della recessione al Sud; nello specifico, per il periodo 2009-2015, anziché conoscere un crollo del 10,7%, il PIL avrebbe conosciuto un calo del 5,4%.
Secondo le anticipazioni, questa misura consentirebbe di «perseguire il principio di addizionalità delle risorse aggiuntive delle politiche europee e nazionali di coesione. Non è solo una questione finanziaria, ma di programmazione e coordinamento delle politiche di sviluppo»[3].
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