Obbligazioni e azioni: che cosa sono e come si determina il prezzo?
- 14 Dicembre 2017

Obbligazioni e azioni: che cosa sono e come si determina il prezzo?

Scritto da Gianluca Piovani

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Che cos’è un’azione? Che cos’è un’obbligazione? In molti in Italia non hanno una risposta precisa a domande come questa. Le indagini svolte negli ultimi anni, OCSE-PISA tra gli studenti e Global Finlit Survey tra gli adulti, dipingono un quadro di vera emergenza in termini di informazione finanziaria collocando il nostro Paese all’ultimo posto tra quelli europei.

Una maggiore consapevolezza da parte dei cittadini è fondamentale e l’educazione finanziaria dovrebbe essere una componente essenziale delle politiche di tutela del risparmio con il fine di dare ad ognuno gli strumenti necessari per muoversi e fare le scelte giuste in una realtà sempre più complessa e mutevole come quella attuale. La non conoscenza dei basilari meccanismi economici rischia infatti di rivelarsi l’ennesimo moltiplicatore delle diseguaglianze sociali, le indagini mostrano come i soggetti meno informati siano proprio quelli appartenenti alle categorie maggiormente a rischio: anziani, donne e giovani. Una diffusa educazione finanziaria – e anche assicurativa e previdenziale – potrebbe rivelarsi un utile strumento di equità sociale.

Il presente articolo si propone di fornire alcuni rudimenti riguardo obbligazioni ed azioni accompagnandoli con riflessioni ed esempi chiarificatori.


Un’obbligazione è un titolo di debito. Aristotele direbbe che il genere sommo di un’obbligazione è il debito e la differenza specifica è l’essere un titolo. Occupiamoci quindi in primo luogo di cosa sia un debito. Un debito comporta un trasferimento di denaro iniziale da un’entità ad un’altra. Tali entità possono essere sia imprese che individui. Per semplicità consideriamo il caso di due persone fisiche: il signor A dà al signor B una somma pari a 100 euro e contestualmente per il signor B sorge l’obbligazione di restituire al signor A una certa quantità di denaro in futuro. La somma di denaro che sarà restituita in futuro sarà composta dal capitale inizialmente prestato (i 100 euro iniziali) e da una somma di denaro chiamata interesse, nel nostro caso diciamo che saranno restituiti 110 euro. Dicesi tasso di interesse il rapporto tra il capitale prestato e l’ammontare degli interessi, in questo caso il tasso di interesse è pari al 10% (10/100).

Vi sono vari fattori che rendono particolare un’obbligazione rispetto ad un debito/credito ma la più rilevante ai fini di questo articolo è che un’obbligazione è incorporata in un titolo. Esemplificando, un titolo è un pezzo di carta strutturato in modo da renderne legalmente possibile la circolazione. Nel caso il signor A presti al signor B 100 euro, il signor B può dargli un pezzo di carta, detto titolo di credito, in cui vi è scritto che dietro presentazione di questo stesso titolo alla scadenza il signor B pagherà al suo portatore 100 euro. La forma del titolo di credito rende possibile per il signor A vendere con facilità il suo titolo di credito al signor C, che a sua volta lo può rivendere al signor D e così via diciamo fino ad un certo Signor X che invece decide di mantenere il titolo fino alla sua scadenza e che in tale data riscuoterà capitale ed interessi presso il signor B (il concetto di vendita di una obbligazione sarà chiarito meglio nel seguito). Nel caso in cui il signor B non riesca ad onorare la sua obbligazione costui andrà incontro a procedura di fallimento: tutto il suo patrimonio sarà liquidato e sarà distribuito proporzionalmente tra i suoi creditori. Default è il termine inglese equivalente a fallimento. Le obbligazioni possono essere emesse anche da stati: in questo caso vengono chiamate titoli di stato. Non tutte le obbligazioni hanno lo stesso livello di “privilegio”, o in inglese di “seniority”: è possibile che un debitore emetta obbligazioni così dette subordinate, in quanto il loro rimborso è subordinato al rimborso di tutte le altre obbligazioni emesse. In caso di default verranno prima interamente rimborsate tutte le obbligazioni non subordinate e solamente qualora residui del patrimonio si procederà a ripartirlo tra i creditori subordinati.

Consideriamo ora le azioni. Un’azione è un titolo, così come lo sono anche le obbligazioni. Un’azione tuttavia non rappresenta una obbligazione di pagare una somma di denaro in futuro bensì rappresenta una quota di partecipazione in una società. Comprare un’azione della società XYZ equivale a diventare proprietari di un pezzo dell’azienda XYZ. Le azioni beneficiano del cosiddetto principio della responsabilità limitata: non è possibile che vengano richiesti al possessore di un’azione versamenti di denaro obbligatori ed aggiuntivi rispetto al prezzo pagato per acquistarla. Nel caso ad esempio XYZ fallisca e residui un debito di svariati miliardi, non sarà presentato nessun conto da pagare ai possessori di azioni XYZ. Il principio di responsabilità limitata è stato introdotto per incoraggiare l’investimento, vale a dire per incanalare i risparmi degli individui verso le aziende e quindi attività produttive; senza il principio della responsabilità limitata difficilmente un buon padre di famiglia investirebbe in borsa sapendo che se i suoi investimenti andassero male potrebbe perdere la casa. I possessori di azioni di una società sono detti soci della società. Un’azione non comporta nessuna obbligazione di pagamenti regolari; d’altra parte lo scopo delle aziende è generare utili e restituirli ai proprietari, quindi è normale che un’azienda ripaghi i suoi soci. Le aziende “ricompensano” i loro soci pagando loro una somma di denaro, in genere annualmente, detta dividendo. Si noti che il pagamento del dividendo non è un obbligo e che nulla vieta che un’azienda decida di reinvestire la totalità degli utili senza pagare alcun dividendo o che al contrario decida di distribuire un dividendo sebbene sia in perdita.

Il valore di un’azione dipende dall’andamento economico della società e non da un obbligo di ripagare una somma di denaro determinata. Per questo le azioni sono generalmente considerate più rischiose delle obbligazioni. In caso di default inoltre saranno prima rimborsati gli obbligazionisti senior, successivamente quelli subordinati e solamente qualora residui ancora patrimonio questo verrà ripartito tra i soci. Al contrario, nel caso l’azienda vada molto bene e ad esempio raddoppi o decuplichi il suo valore, gli obbligazionisti avranno diritto solamente ad un pagamento limitato e pari alla somma di capitale ed interesse mentre tutta la ricchezza residua sarà di proprietà degli azionisti.

 

Determinazione del prezzo delle obbligazioni

Il prezzo di un’obbligazione è legato al suo tasso di interesse. Consideriamo l’esempio di cui sopra in cui il signor A presta al signor B 100 euro a un tasso del 10%. Supponiamo tuttavia che il signor A abbia improvvisamente bisogno di denaro per spese urgenti e non possa attendere la scadenza dell’obbligazione ed il suo rimborso. Di conseguenza il signor A decide di vendere l’obbligazione al signor C: ma il prezzo a cui viene venduta l’obbligazione non è necessariamente 100. Considerato il bisogno di denaro del signor A, il signor C potrebbe ad esempio spuntare un buon prezzo e comprare l’obbligazione a 90 euro. In questo caso il tasso di interesse per il signor C è pari al rapporto tra il tasso di interesse ed il capitale cioè in questo caso 20/90=22,2%. Una diminuzione del prezzo è legata ad un innalzamento del tasso di interesse e a perdite per i possessori attuali del titolo che vogliano venderlo. Al contrario l’aumento del tasso di interesse determina lauti guadagni per coloro che acquistano titoli. Viceversa per un calo del tasso di interesse: se il signor A riuscisse a spuntare un buon prezzo, diciamo di 109, il tasso di interesse per il signor C sarebbe un magro 0,9%. La relazione tra tasso di interesse e prezzo è quindi inversamente proporzionale.

L’attività di compravendita di titoli in modo sistematico è detta trading e può portare guadagni o perdite a seconda delle oscillazioni dei prezzi (e quindi dei tassi di interesse). Nel caso un investitore voglia immunizzarsi da tali oscillazioni è sufficiente che porti a scadenza tutti i titoli che acquista: tali investitori sono detti in gergo “cassettisti” e per costoro, nel caso il debitore non faccia default, il rendimento sarà uguale a quello calcolato al momento dell’acquisto. In altre parole se il signor A fosse certo che il signor B ripagherà il suo debito e fosse certo di portare a scadenza l’obbligazione, percepirebbe certamente nel giorno della scadenza dell’obbligazione 110 euro e quindi un tasso di interesse del 10% e ciò indipendentemente dalle fluttuazioni di prezzi e tassi di interesse. Generalmente la maggior parte delle famiglie italiane sono avverse al rischio e dovrebbe essere trattata dalle banche come un cassettista. Può talvolta accadere che ignari investitori retail vengano consigliati di intraprendere improbabili operazioni di compravendita, magari in previsione di lauti guadagni: ricordate sempre che la banca percepisce commissioni per ogni operazione di compravendita effettuata.

Accade spesso che qualcuno venda o compri obbligazioni e non le porti più semplicemente a scadenza? Si. In realtà voi stessi, se mai avete acquistato titoli di stato italiano, avete agito comprando non dallo stato ma da un qualche signor A che aveva inizialmente prestato allo stato e che ha poi deciso di rivendervi il suo credito. Solamente pochi operatori, tra i quali non vi sono le persone fisiche, possono prestare direttamente allo stato e tutti gli acquisti di obbligazioni della clientela retail avvengono tramite acquisti da altri signori A.

Come vengono determinati il prezzo e il tasso di interesse delle obbligazioni? Il tasso di interesse di un’obbligazione è composto da due parti. La prima è il cosiddetto tasso privo di rischio o componente di duration pura. Prestare è scomodo e richiede un premio: anche se fosse assolutamente certo che il signor B non farà default, per il signor A è scomodo rendersi indisponibili i suoi stessi soldi prestandoli al signor B e questo richiede un premio. Tale premio è quello espresso dal tasso di interesse privo di rischio, generalmente identificato con il tasso di interesse di emittenti estremamente sicuri come ad esempio la Germania o gli USA. A tutti gli altri emittenti, più rischiosi in termini di possibile default, viene richiesto un premio per il rischio aggiuntivo detto spread. La differenza tra il tasso pagato dal debitore stato italiano e stato tedesco è detto appunto spread e rispecchia la possibilità che l’Italia non riesca a ripagare i suoi debiti e faccia default. Similmente il tasso di interesse pagato dalla Grecia è più alto di quello di molti altri stati europei e ciò in considerazione delle difficoltà economiche di questo stato e della conseguente possibilità di default. Si noti che, come spiegato sopra, nel caso non vi sia default, oscillazioni di prezzo anche forti non impattano il ritorno dei cassettisti e nemmeno quello del debitore sui titoli già emessi (nell’esempio precedente il signor B ha già preso a prestito 100 e ripagherà comunque 110 anche nel caso il suo debito abbia un valore di mercato molto più basso). D’altra parte ogni aumento del tasso di interesse ha impatto sui titoli emessi dal momento dell’aumento del tasso di interesse in poi. Tutta la parte di debito pubblico italiano non in scadenza nel periodo dei forti movimenti speculativi del 2011-2012 non è stato impattato dall’innalzamento dei tassi di interesse; al contrario la parte di debito italiano in scadenza in quel periodo è stata rinnovata a tassi di interesse molto alti e comporta un notevole costo per il nostro paese.

Considerata la loro maggiore rischiosità, i titoli di debito subordinato hanno generalmente rendimenti più elevati. Vengono quindi talvolta venduti ai clienti con la prospettiva di rendimenti sostanziosi; il maggiore guadagno non è tuttavia un pasto gratis ma è giustificato dal maggior rischio come insegnano alcuni recenti casi di fallimenti bancari in cui i detentori di bond subordinati hanno perso tutto mentre invece i detentori di bond “senior” sono usciti sostanzialmente indenni.

 

Determinazione del prezzo delle azioni

Le azioni sono strumenti finanziari molto diversi dalle obbligazioni. Un’azione non fa sorgere alcuna obbligazione a pagamenti futuri (se non in misura del patrimonio residuo in caso di liquidazione della società). Il prezzo di un’azione è tuttavia calcolato seguendo gli stessi criteri utilizzati per quello di un’obbligazione. Come spiegato sopra, il prezzo di un’obbligazione viene calcolato utilizzando il tasso di interesse ed i pagamenti futuri. Per un’azione vengono calcolati dagli analisti i dividendi attesi futuri ed il loro valore presente, che è quello dell’azione stessa, è calcolato utilizzando un tasso di interesse che rispecchia la rischiosità delle attività dell’azienda in questione. Sia nel caso delle obbligazioni che delle azioni, le formule matematiche utilizzate per calcolare il prezzo “equo” (in inglese “fair”) sono estremamente più complesse di quanto mostrato finora, ma in ultima analisi la complessità matematica risponde alle logiche di cui sopra. In altre parole il valore di un’azienda non dipende da quello che produce, dalla sua collocazione all’interno di un certo settore merceologico o dalla sua tatticità e rilevanza o progresso tecnologico. Il valore economico di un’azienda dipende dai flussi di cassa futuri attesi e dalla rischiosità del suo business; i fattori di cui sopra (ad esempio settore merceologico e progresso tecnologico) sono rilevanti solamente qualora comportino maggiori flussi di cassa futuri attesi oppure una minore rischiosità.

Sia il calcolo dei flussi di cassa futuri che quello del tasso di interesse adeguato al loro sconto sono fondamentali per calcolare correttamente il prezzo equo di un’azione e quindi il valore di un’azienda. Calcolare il valore dei flussi di cassa futuri di un’azienda o il giusto tasso di interesse a cui scontarli è estremamente complesso e tutt’altro che facile. Il valore di un’azienda dipende da una quantità numerosissima di fattori: il capitale umano, il capitale fisico, il progresso tecnologico, variazioni del suo mercato di riferimento, sviluppi della regolamentazione. Negli ultimi anni il prezzo del petrolio (e così quello delle società petrolifere) è prima incrementato notevolmente, poi è crollato a seguito della scoperta di una tecnica di estrazione innovativa negli USA (“fracking”) che avrebbe potuto scalzare il ruolo dell’OPEC ed infine sta nuovamente incrementando. Valutare un’azienda che opera nel settore del petrolio vuole dire avere uno scenario riguardo il prezzo futuro del petrolio e quindi sullo sviluppo delle tecnologie rinnovabili, degli incentivi statali legati a queste e ad esempio al futuro degli accordi di Parigi, al successo o meno delle politiche dell’OPEC nel limitare l’offerta, negli sviluppi del mercato del petrolio da un punto di vista dei consumi (quanto crescerà la Cina e quindi i suoi consumi nei prossimi anni?). Di conseguenza le previsioni degli analisti sono spesso niente affatto precise e talvolta sorge il dubbio che per uno che non ci prende un altro invece ci azzecchi con una distribuzione piuttosto casuale.

Un modo più pratico di calcolare il prezzo di un’azione è quello di fare dei confronti con altre aziende del settore. Ad esempio consideriamo di volere calcolare il valore di un’azione della società XYZ: potremmo confrontare il suo fatturato, i suoi utili e magari il suo dividendo con altre aziende simili ed infine utilizzare il confronto per assegnare un valore ad XYZ. Ad esempio se XYZ avesse circa metà del fatturato e degli utili di un’altra azienda, ebbene il suo valore dovrebbe essere pari a metà del valore di questa. I principi di prezzatura che rispondono ai criteri di cui sopra sono denominati metodo dei multipli. Sebbene il metodo dei multipli sia utile da un punto di vista pratico, questo è di minore interesse per lo studioso che ricerchi la basi teoriche del calcolo del prezzo “equo” di un’azione. Il metodo dei multipli equivale ad accettare l’esistente per quel che è, senza capire perché è così.

 

Dalla teoria alla pratica

Nei capitoli precedenti è stata descritta la spiegazione teorica del livello dei prezzi esistente in un mercato. Negli ultimi anni sono stati prodotti modelli matematici complessi e notevoli energie finanziarie ed intellettuali sono state spese per comprendere le leggi della formazione dei prezzi. C’è da dire che il mercato ha sempre determinato i prezzi anche nei secoli in cui tali teorie non esistevano. Il metodo “pratico” con cui concretamente vengono determinati i prezzi è quello della domanda e dell’offerta. Se molte persone vogliono comprare, allora il prezzo sale e viceversa quando prevalgono gli ordini di vendita.

È interessante notare come le oscillazioni dei prezzi di mercato possono essere molto ampie. Ciò è evidente nei casi di crisi di borsa, in cui nel giro di poche settimane o anche giorni i prezzi subiscono variazioni molto ampie. Tali fenomeni sono spiegati con una variazione del tasso di interesse di riferimento a cui vengono scontate le obbligazioni oppure dello scenario riguardo i dividendi futuri attesi delle aziende per le azioni. Tale spiegazione teorica equivale a dire in termini più pratici che gli investitori hanno semplicemente cambiato idea o, utilizzando un altro punto di vista, stato d’animo. Talvolta, come nel caso del crollo di borsa di inizio 2016, le crisi non sono giustificate da nuovi flussi di informazione ma semplicemente da una diversa pesatura e lettura di informazioni già esistenti. A inizio 2016 si sparsero timori riguardo un possibile rallentamento della crescita in Cina, peraltro senza che tale sospetto fosse sostenuto da nuovi dati attendibili. In pochi giorni i principali indici mondiali subirono forti perdite. Nel giro di un mese tutti recuperarono poiché i timori erano infondati.

Il caso di cui sopra, così come altri simili, suggerisce che i prezzi sono più instabili di quanto suggerisca a prima vista una formula matematica. I prezzi sono formati dalle contrattazioni tra uomini: non rispondono a leggi di necessità fisiche ma derivano da relazioni umane. Per questo motivo le loro fluttuazioni sono causate anche da fattori psicologici come crisi di panico di massa o esuberanza irrazionale (che talvolta gonfia le famigerate bolle finanziarie). Tali crisi di panico ed esuberanze si succedono abbastanza regolarmente nei mercati finanziari. È interessante osservare il crescente interesse da parte dell’ambiente accademico verso le teorie economiche che tentano di affrontare situazioni di razionalità limitata o imperfetta. Per esempio, l’ultimo premio Nobel nel campo dell’economia è stato assegnato a Richard Thaler per i suoi studi sull’economia comportamentale, così definita da Wikipedia:

“La finanza comportamentale e l’economia comportamentale sono campi di studio strettamente legati, che applicano la ricerca scientifica nell’ambito della psicologia cognitiva alla comprensione delle decisioni economiche e come queste si riflettano nei prezzi di mercato e nell’allocazione delle risorse. Entrambe si interessano della razionalità, o meglio della sua mancanza, da parte degli agenti economici. I modelli studiati in questi campi tipicamente integrano risultati della psicologia cognitiva con l’economia neoclassica.”

Finora si è dimostrato utile tentare di modellizzare matematicamente l’andamento dei prezzi ed esistono varie teorie quantitative che ne spiegano aspetti interessanti. D’altra parte nessuna teoria è ancora riuscita a fornirne una spiegazione definitiva e nessuno studioso può dire di essere in grado di predire le quotazioni di borsa future con certezza. Chiudo l’articolo con un richiamo al buon senso, su cui inoltre sono fondate la maggior parte delle teorie economiche moderne: il rischio finanziario è proporzionale al rendimento atteso. Diffidate di chi promette guadagni facili, sia che siano azioni di Veneto Banca o debito subordinato del Monte dei Paschi o diamanti; siate sempre consapevoli che un rendimento elevato è semplicemente specchio del fatto che in qualche modo state rischiando molto. Chi non risica non perde.

Scritto da
Gianluca Piovani

Nato nel 1991 a Bologna, ha conseguito la laurea magistrale in Finanza Intermediari e Mercati presso l’Università di Bologna. Durante il periodo universitario ha fatto parte del Collegio Superiore dell’Università di Bologna. Ha collaborato con la rivista elettronica «Il Chiasmo». La sua esperienza lavorativa inizia con ricerca economica in Prometeia e prosegue in Banca di Bologna con la gestione patrimoniale. Attualmente lavora per la multinazionale Crif e si occupa di servizi informatici per banche.

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