Scritto da Giulio Pignatti
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Gli interventi sul sociale e sulla cultura sono caratterizzati da una sempre maggiore frammentazione, che riguarda sia, orizzontalmente, la capacità della pluralità dei soggetti e delle offerte di fare rete, sia, verticalmente, una disintermediazione che mina l’efficacia di organizzazioni ed enti nel loro ruolo di cinghia di trasmissione tra società e decisori politici. Da queste riflessioni nasce la Carta Ri-mediare, che si propone di incidere in un contesto di crescenti criticità sociali, economiche e culturali presenti nel nostro Paese proprio attraverso una rete di alleanze e di co-progettazione, in particolare negli ambiti della cultura, della cura e dell’apprendimento e formazione. Sugli obiettivi della Carta abbiamo intervistato Francesco De Biase, membro del Gruppo Ri-mediare, già dirigente dell’Area Attività Culturali della Città di Torino. De Biase è anche condirettore della collana “Pubblico, Professioni e Luoghi della cultura” (Franco Angeli) e autore di numerosi saggi e articoli.
Da dove nasce l’idea e l’esigenza della Carta Ri-mediare?
Francesco De Biase: La Carta Ri-mediare nasce da un percorso iniziato alcuni anni fa con il testo Rimediare, Ri-mediare[1] in cui, con gli apporti di esperti di diverse discipline – arte, cultura, educazione, legge, antropologia, sociologia, economia, medicina, media, linguaggio, psicologia, cultura, filosofia, design, psicologia –, abbiamo compiuto alcune riflessioni in merito a temi come le ingiustizie e distorsioni del modello di sviluppo occidentale; l’impoverimento continuo di alcune fasce di popolazione; l’accrescimento delle ricchezze di ristrette élite; i rischi dei processi di disintermediazione in ambito economico, politico, culturale e informativo; la cancellazione del welfare; la riduzione del sostegno alla ricerca, all’educazione e alla formazione; la necessità di coniugare attentamente lo sviluppo delle tecnologie con il bisogno di contatto, socialità e comunità; la continua messa in crisi degli esperti e il mancato riconoscimento delle competenze e dei saperi; le derive del populismo e le luci e ombre di molte pratiche di engagement; le forti accentuazioni dell’individualismo contro il senso di comunità e di appartenenza; la distruzione dell’ambiente. L’obiettivo era stimolare la comprensione e il confronto in modalità transdisciplinare per affrontare la complessità sociale odierna. Successivamente, con alcuni degli autori dei contributi del volume, abbiamo deciso di proseguire il lavoro intrapreso dando vita ad un “laboratorio progettuale” di confronto sui diversi aspetti economici, sociali e culturali che la pandemia aveva reso più evidenti e che richiedevano un’attenta analisi al fine di stimolare percorsi per affrontarli. Si è formato così, insieme ad altri esperti che si sono uniti periodicamente, il Gruppo Ri-mediare[2]. Abbiamo delineato, sempre in “ambiente” transdisciplinare e transprofessionale, linguaggi, metodi e temi comuni, tra cui quello dei luoghi, della prossimità, della formazione, della rigenerazione urbana, dell’ibridazione e dell’ambiente. Sono stati organizzati numerosi incontri per l’articolazione dei temi individuati e la definizione aperta di un gruppo di lavoro. Nel 2022 abbiamo deciso di proseguire le nostre attività confrontandoci con altre reti, esperti e organizzazioni che operano negli stessi ambiti. Abbiamo dato vita a giornate di dibattito con il DAMSLab di Bologna e con il Progetto Hangar Piemonte a Torino, a cui hanno preso parte oltre cento organizzazioni ed esperti operanti nei settori della cura, della cultura, dell’apprendimento e della formazione. Si è resa subito evidente anche la necessità di creare delle “alleanze” costruite su visioni, strumenti e proposte elaborati comunemente, sia per superare la frammentazione e la compartimentazione specialistica che spesso caratterizza molti ambiti professionali, sia per rendere più diffuse ed efficaci proposte, azioni e impatti. La Carta Ri-mediare è la sintesi e la piattaforma di tale percorso di alleanze.
Il nome della piattaforma fa riferimento alla necessità di una re-intermediazione, in contrapposizione alla disintermediazione e alla frammentazione sociale che caratterizzano il nostro tempo. In che senso? Di che genere di mediazione si tratta?
Francesco De Biase: Il testo Rimediare, Ri-mediare, realizzato tra il 2017 e il 2020, nasce proprio dalla constatazione di alcuni fenomeni che avevano preso forma e si erano diffusi nel decennio pre-Covid. Ero rimasto molto colpito da numerose manifestazioni di intolleranza e violenza avvenute nei più diversi ambiti. I dibattiti sui vaccini, l’uso delle fake news, i linciaggi di alcuni media verso chi proponeva opinioni diverse, l’assalto al mondo della scuola e delle informazioni, le diffuse situazioni di disagio, di condizioni precarie, di esasperazione, ma anche della rottura di equilibri tra esperti e comunità. Non si trattava di avvenimenti passeggeri, ma piuttosto di fenomeni che abbiamo visto accentuati dal periodo pandemico e tuttora in corso. Vi s’intersecavano fenomeni quali l’impoverimento progressivo di diverse fasce di popolazione, l’accrescimento smisurato della ricchezza di alcune élite, la crisi della democrazia rappresentativa, i rischi di alcune pratiche errate di audience development, la scomparsa degli intellettuali, le difficoltà dei corpi intermedi e l’ascesa del populismo. Che cosa stava accadendo? Perché e come si era generata una distanza tra classe politica e cittadini, tra élite e popolo, tra individuo e comunità, tra esperti e popolazione? Ciò che oggi chiamiamo “disintermediazione” ha un ruolo chiave: fenomeni di tipo finanziario, sociale e industriale, unitamente al ruolo dei media e delle tecnologie, alle tendenze semplificatorie, meccanicistiche e dell’immediatezza, nonché alla diffusione di comportamenti consumistici e individualistici, hanno contribuito a modificare profondamente le modalità di produzione, comunicazione e fruizione. Possiamo individuare un’altra concausa nella tendenza a semplificare aspetti problematici, come se approfondire gli argomenti, trattare la complessità, individuare le molteplici connessioni fosse un vezzo da intellettuali inutile e senza relazioni con il reale. Anche il linguaggio ha subito processi simili. Si sono inoltre generate retoriche della partecipazione portate a bandiera del protagonismo, dell’inclusione, dell’accesso, mentre le pratiche partecipative tante volte si sono limitate a proclami, interazioni banali, condivisioni strumentali e superficiali che ben poco hanno a che fare con dei veri processi partecipativi. Un altro tema fondamentale riguarda le comunità. Vi è stata una perdita del senso di comunità, che implicherebbe assunzione di responsabilità verso gli altri. Vi sono due idee di comunità: la prima tende a concepirla come uno spazio dove rinforzare gli elementi identitari, con il rischio di generare barriere fisiche ed economiche, sociali, culturali. L’altra concepisce le comunità come luoghi di condivisione e inclusione, aperti alle diversità di ogni genere. Per queste e per molte altre ragioni abbiamo indicato la necessità di azioni, processi e pratiche tese a rimediare e ri-mediare quanto sta accadendo. “Rimediare”, insomma, nei suoi due significati: quello di ridiscutere, negoziare e ripensare il nostro modello di sviluppo, e l’altro di trovare rimedi, cure e soluzioni per percorrere nuove strade.
Voi fate un forte riferimento al metodo della co-progettazione. Può portare degli esempi di esperienze virtuose a cui guardare?
Francesco De Biase: La co-progettazione e la co-programmazione sono alcuni degli strumenti con cui si può riformulare il rapporto tra pubblico, privati, comunità e cittadini. Esistono altri strumenti, anch’essi già sperimentati nel nostro Paese, come i patti di collaborazione, i patti educativi, i beni comuni, idonei alla costruzione di condizioni e relazioni più improntati alla cooperazione e alla condivisione. Non sono processi semplici, sono da progettare e gestire; non sono punti di partenza, ma di arrivo. Necessitano di confronti, alleanze, costruzione di reti, negoziazioni, ridistribuzione di poteri e responsabilità, e possono andare incontro a conflitti. Richiedono il superamento di identità chiuse, di meccanismi di coazione a ripetere, di modelli gestionali sedimentati; è necessaria la mediazione di interessi e visioni differenti. Ritengo che uno dei tentativi più interessanti sia quello del Comune di Bologna, che ha messo in atto con modalità aperte e partecipate processi di ascolto, creato organismi e reti, messo a disposizione risorse economiche, emanato provvedimenti con l’intento di rendere strutturati e stabili gli istituti della co-progettazione e della co-programmazione.
Un concetto fondamentale intorno a cui ruota la Carta è quello di “luogo”. Che cosa si intende? Anche quelli digitali possono essere considerati “luoghi” o la Carta si rivolge in maniera privilegiata ai territori locali, nella loro fisicità e specificità?
Francesco De Biase: Dal confronto avvenuto nel Gruppo Ri-mediare, nei forum, nelle call e nelle numerose interlocuzioni con organizzazioni ed esperti del nostro Paese è emerso effettivamente il tema fondamentale dei “luoghi”. I luoghi, da considerare come un denominatore comune che attraversa e accomuna aree di trasformazioni auspicabili, sono sia quelli già esistenti di sviluppo culturale, di comunità, di cura, di lavoro e di apprendimento, sia i luoghi da realizzare con i diversi fondi, compresi quelli del PNRR, come asili, scuole, case di comunità o centri sportivi – anche nelle loro dimensioni ibride e digitali. Luoghi di comunità che vengono modellati da scelte e visioni culturali, estetiche e politiche, in un processo circolare dove i luoghi a loro volta possono generare rappresentazioni, relazioni, comportamenti e forme sociali. Sono luoghi da riprogettare o da costruire in un’ottica di trasformazione profonda, culturale e simbolica, che non si può accontentare di una superficiale operazione di riproposizione di vecchi schemi. Ripensare e progettare luoghi in questa prospettiva richiede una visione complessa, ecosistemica, uno scambio di esperienza tra diverse professionalità, associazioni, realtà operanti nei differenti ambiti. Richiede poi la condivisione, in uno scenario attualmente incerto, di presupposti democratici, partecipativi e inclusivi. Richiede infine lo studio approfondito di criticità e risorse, la ricerca di strumenti e l’attuazione di pratiche innovative e trasformative. Nel novembre 2022 si è svolta a Torino, in collaborazione con Progetto Hangar Piemonte, una giornata di confronto con esperti e organizzazioni che aveva proprio come tema il rapporto tra le trasformazioni dei luoghi e le forme sociali. Più nello specifico ci si è chiesto: quali bisogni e desideri pensiamo abbia chi abita questi luoghi come fruitore? E chi li vive come lavoratore quali visioni e competenze? Quali interazioni tra questi attori? Quali forme di dialogo tra gli attori e i soggetti istituzionali? Ci siamo focalizzati in particolare sui luoghi della cura, della cultura e della formazione, presentando, per ognuna di queste aree, esperienze significative, realizzate o in corso nel nostro Paese. Si sono evidenziate necessità, dinamiche e proposte su cui soffermarsi in modo più compiuto, tra cui: sostenere e valorizzare il ruolo dei presidii culturali, sociali, sanitari, educativi, in modo che siano in grado di essere antenne che intercettano bisogni dei territori e contemporaneamente agiscano in sinergia tra loro per attivare percorsi di cura e di partecipazione; agire sugli squilibri di presenze di infrastrutture, risorse e opportunità tra le diverse aree del Paese, ma anche della stessa città e dello stesso quartiere; favorire percorsi di co-progettazione delle policy e degli interventi con le organizzazioni territoriali; equilibrare, in alcuni settori, il rapporto tra offerta e domanda; equilibrare le spese di investimento con le spese di gestione al fine di garantire la sostenibilità dei luoghi e delle pratiche che vi si attivano; attivare processi di capacity building per il mondo del lavoro adeguati alle esigenze odierne; favorire la trasversalità tra luoghi, professioni e servizi attraverso la sperimentazione di confronti tra metodi, linguaggi e pratiche; equilibrare le risorse per la realizzazione di infrastrutture fisiche con quelle destinate alle infrastrutture sociali; elaborare o integrare strumenti economici e normativi che superino la temporaneità e la sporadicità delle pratiche, per permettere percorsi di radicamento e strutturazione nei territori di tutto il Paese; rivedere il rapporto tra la Pubblica Amministrazione e le diverse organizzazioni sociali-culturali-sanitarie, semplificando le procedure burocratiche al fine di agevolare le attività del Terzo settore; attivare più puntuali ed attente attività di monitoraggio delle esperienze e degli impatti che esse producono.
Voi denunciate una “overdose” di progetti sociali, culturali e formativi. Qual è il panorama e come dovrebbe essere regolamentato? Che ruolo svolge il professionismo, tema a cui lei ha dedicato molte riflessioni?
Francesco De Biase: Sono molte le risorse finanziarie disponibili in questa fase e nei prossimi anni. Ciò che ci preoccupa sono i rischi connessi ad alcuni aspetti della progettazione, organizzazione e realizzazione delle iniziative. La numerosità e l’incessante produzione di bandi – si potrebbe parlare di un diffuso “bandificio” –, connesse con i tempi strettissimi di progettazione e realizzazione di infrastrutture e servizi, rischiano infatti di produrre dei progetti improvvisati, che non scaturiscono da visioni, bisogni e confronti con i contesti. Inoltre, proprio la caratteristica di sostegno, spesso temporaneo, a molti di questi progetti, unitamente alla scarsa programmazione e al carente stanziamento di risorse necessarie per gli aspetti tecnico-logistico-manutentivi di medio e lungo periodo, rischiano di perpetuare delle criticità già ampiamente presenti nel nostro Paese. Mi riferisco all’impossibilità – proprio a causa della temporaneità e precarietà – di strutturare, radicare e stabilizzare nei territori percorsi di partecipazione, rigenerazione, formazione e cura, che hanno bisogno di tempi lunghi per produrre effetti e impatti duraturi e non saltuari. Vi sono altri due fenomeni connessi a quanto sto descrivendo, che riguardano l’accelerazione di alcuni aspetti fondamentali del lavoro di professionisti e organizzazioni: si tratta del rischio di una deriva manageriale, tecnologica e burocratica dovuta all’accrescersi delle attività – pur legittime e necessarie – di posizionamento e accreditamento, di rincorsa all’intercettazione di risorse, di svolgimento di pratiche burocratico-amministrative, di iperproduzione di progetti e prodotti di tipo creativo, sociale, educativo, assistenziale, digitale che, se da un lato, come accennato prima, rischiano di essere “improvvisati”, dall’altro imprimono tempi tali da produrre un’overdose gestionale che scompensa gli equilibri. Sarebbe necessario utilizzare maggiormente diversi strumenti già esistenti: i patti di collaborazione, i patti educativi, i beni comuni, gli istituti di co-programmazione e co-progettazione renderebbero possibile la creazione di modalità per ripensare e rendere più efficace il rapporto tra pubblico e privato.
Come valutate progetti e politiche che stanno venendo messi in campo attualmente nel quadro del PNRR?
Francesco De Biase: Come anticipato, il PNRR e anche molti altri programmi sono una grande occasione per la trasformazione del nostro Paese. Gli interventi riguardano ogni aspetto della vita delle comunità: trasporti, digitale, cura, cultura, educazione, sport, agricoltura, economia… Sarebbe necessario avere progettazioni che scaturiscano maggiormente da visioni elaborate e condivise e di direzioni in cui procedere. Sarebbe auspicabile, poi, che avvenissero in contesti maggiormente improntati al confronto con tutti gli attori coinvolti: l’associazionismo, gli enti del terzo settore, i corpi intermedi, i sindacati, gli enti pubblici territoriali, gli organismi privati, le comunità di cittadini o il volontariato. Non si tratta solo di spendere e spendere nei tempi stabiliti, ma soprattutto di spendere bene.
Operativamente, quali sono i prossimi passi e obiettivi del Gruppo Ri-mediare?
Francesco De Biase: La Carta Ri-mediare contiene visioni, finalità, strumenti ed è una piattaforma aperta di condivisioni e alleanze. Ad oggi oltre 130 organizzazioni ed esperti di tutta Italia l’hanno sottoscritta. Parallelamente a questo lavoro di elaborazione della Carta, tra marzo e giugno 2023 si sono svolti incontri tematici di approfondimento rispetto ai temi dei luoghi della cura, della cultura e dell’apprendimento. Case di comunità, biblioteche, centri culturali, scuole e patti educativi sono stati analizzati attraverso la presentazione di alcune esperienze, sottolineandone sia la fattibilità, sia le criticità e le difficoltà incontrate. Nel metodo di lavoro perseguito da sempre dal Gruppo Ri-mediare, a queste “verticalizzazioni”, che valorizzano competenze e professionalità specifiche, si sono alternati e intersecati approcci “orizzontali” in un’ottica transdisciplinare e transettoriale. Nel suo procedere, Ri-mediare sperimenta proprio quel modello di intreccio sistemico tra luoghi, persone, servizi, conoscenze e pratiche che dovrebbe costituire il metodo di lavoro della complessità, in grado valutare e connettere proficuamente i diversi aspetti in gioco. La Carta Ri-mediare, le proposte scaturite dagli approfondimenti, le alleanze costituite saranno i nostri elementi futuri per il confronto e il dialogo con altre comunità di cittadini, altre reti, altre persone e associazioni oltre che con i decisori pubblici e privati. Siamo convinti infatti che il lavoro di Ri-mediare (e altri simili) sia importante e necessario per attivare delle politiche pubbliche e private idonee ad affrontare le necessità e le opportunità odierne.
[1] Francesco De Biase (a cura di), Rimediare, Ri-mediare. Saperi, tecnologie, culture, comunità, persone, Franco Angeli, Milano 2020, con contributi di Gianmaria Ajani, Giulia Allegrini, Simone Arcagni, Lucio Argano, Alessandro Bollo, Roberto Burlando, Annalisa Cicerchia, Stefano Colmo, Norma De Piccoli, Saura Fornero, Aldo Garbarini, Alma Gentinetta, Maurizio Grandi, Marta Maddalon, Francesco Maltese, Ezio Manzini, Alice Mulasso, Roberta Paltrinieri, Anna Maria Pecci, Ugo Perone, Matteo Pessione, Carlo Petrini, Renato Quaglia, Francesco Remotti, Agostino Riitano, Ludovico Solima, Fabio Viola.
[2] Formato da Giulia Allegrini, Simone Arcagni, Lucio Argano, Arianna Ballati, Laura Bigoni, Riccardo Balestra, Alessandro Bollo, Annalisa Cicerchia, Francesco De Biase, Saura Fornero, Aldo Garbarini, Alma Gentinetta, Maurizio Grandi, Francesco Maltese, Ezio Manzini, Monica Marcasciano, Roberta Paltrinieri, Loredana Perissinotto, Emanuela Pergolizzi, Debora Perri, Renato Quaglia, Matteo Serra, Fabio Viola.