Recensione a: Julian Nida-Rümelin, Pensare oltre i confini. Un’etica della migrazione, Franco Angeli, Milano 2018, pp. 146, 16 euro (scheda libro)
Scritto da Afaf Ezzamouri
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I fenomeni migratori hanno da sempre caratterizzato la storia dell’umanità. Sono una realtà con la quale è necessario fare i conti e vanno dunque studiati, compresi e adeguatamente affrontati. Lo spiega Julian Nida-Rümelin – professore ordinario di filosofia e teoria politica all’Università di Monaco di Baviera, nonché ministro della cultura durante il primo governo Schröder. Il saggio Pensare oltre i confini. Un’etica della migrazione, pone al centro della riflessione la componente etico-normativa, che permette a Nida-Rümelin di sviluppare quella che definisce “politica migratoria coerente” (p. 10). Si fa qui riferimento ad un’etica intesa in senso lato e ad un realismo etico fortemente sostenuto da Ronald Dworkin e Thomas Nagel, che l’autore stesso considera i suoi pochi alleati nella filosofia contemporanea. Ciò a cui instancabilmente punta il docente – e più in generale questa scuola di pensiero – è di «scoprire che cosa dovremmo fare, non ciò che comunemente si ritiene che andrebbe fatto; ciò che effettivamente va fatto, non ciò che sarebbe accettabile per un’ideale comunità di discorso» (p. 13).
A partire da ciò che rappresenta un «elemento basilare di […] una democrazia», quale il «riconoscimento reciproco dei cittadini come attori ragionevoli e autonomi» (p. 25), l’autore ci accompagna verso un’accurata e sistematica speculazione riguardante il concetto di responsabilità (individuale, collettiva, globale). Tra quest’ultima e l’abilità argomentativa, non può esservi distanza né interruzione alcuna. La responsabilità è infatti «abbinata alla capacità di dare ragioni a favore del proprio agire. Senza questa capacità non c’è alcuna responsabilità (per l’azione)» (p. 34). Dopo aver messo in luce le specificità della responsabilità individuale, di quella collettiva e dell’ultima globale, la riflessione di Nida-Rümelin esplica come, soprattutto in ambito politico, non possa esserci spazio all’individualità egocentrica, che risulta essere inappropriata, al fine di giungere a buone (e giuste) idee politiche. La politica deve infatti considerare il collettivo, il globale e tralasciare del tutto gli interessi personali. Se si vuole agire eticamente in ambito politico, l’unica via è questa, poiché «gli individui che volta per volta prendono parte a un’istituzione non hanno una responsabilità individuale, bensì una responsabilità cooperativa in merito alle decisioni politiche. […] Stanno agendo non solo per sé, ma come parte di un’istituzione», dato che «la loro prassi, volta per volta individuale, è parte di una prassi collettiva politicamente rilevante» (p. 40). Non mancano a questo proposito le critiche dell’autore nei confronti dell’agire politico dei Paesi del Nord, indifferenti alle drammatiche condizioni nelle quali migliaia di persone sono costrette a vivere nel mondo, in particolare nei Paesi del Sud. Quasi un miliardo di esseri umani è cronicamente sottonutrito e l’aspettativa di vita è dunque bassissima o drasticamente limitata. La mortalità infantile persiste nonostante la produzione alimentare cresca sempre di più. Più di un miliardo di esseri umani nel mondo vive con meno di 1,25 dollari al giorno e cioè in condizioni di povertà estrema, quando si potrebbe mutare le condizioni di vita di queste persone dando un nuovo ordine ai rapporti economici vigenti a livello mondiale. Una politica di tipo etico tende a volgere lo sguardo sulla totalità degli avvenimenti e sulla collettività, nonché ad abbracciare il globale, mentre pare che in questo, gran parte della politica attuale, fallisca. La prospettiva assunta all’interno del saggio è dunque cosmopolita; l’etica della migrazione viene discussa «sotto l’aspetto di una configurazione umana dei rapporti a livello mondiale, e non a partire da una prospettiva legata agli Stati nazionali o a singoli gruppi» (p. 44). Una cooperazione che a livello globale risulti equa (oltre che etica), non darebbe luogo ad una miseria nella quale arranca gran parte della popolazione, ci spiega Nida-Rümelin. Quello che ad esempio, oltre ad essere indice di povertà, chiama “ingiustizia del mondo”, riguarda «il fatto che, nonostante [vi sia una] forte crescita dell’economia a livello mondiale, non si sia riusciti a debellare la fame nel mondo […]» (p. 54). Sono molte le incongruenze che, a causa di una diffusa retorica politica, l’autore rileva tra Paesi del Nord e Paesi del Sud, criticando inoltre la logica seguita dalle Nazioni Unite, dove «vengono fissati scopi la cui modestia viene dissimulata dal fatto che alla base delle percentuali non vengono poste cifre assolute, cosicché grazie a una crescita della popolazione o alla situazione stazionaria della miseria è possibile affermare che gli scopi di riduzione della stessa siano stati raggiunti» (p. 55).
Dopo aver dedicato una prima parte del saggio a temi e concetti quali i doveri etici, la responsabilità, il comunitarismo in relazione al cosmopolitismo e la giustizia internazionale, l’autore passa ad esplorare puntualmente gli aspetti etici dei vari tipi di migrazione (per povertà, per guerra e guerra civile ed economica), le conseguenze della politica migratoria attuale – fornendo alcuni spunti affinché questa venga gestita eticamente –, e la legittimazione dei confini. Nel corso della sua indagine, Nida-Rümelin riprende più volte il concetto di responsabilità – ponendolo per esempio in relazione ad una condizione di sofferenza –, spiegando come, i Paesi che ospitano migranti, abbiano il dovere di fornire un contributo “adeguato” per far sì che questa sofferenza venga il più possibile alleviata. Questo obbligo non può (né deve) essere evitato e riguarda il fenomeno migratorio (per povertà) in tutti i suoi aspetti, poiché «anche se gli esseri umani che ce la fanno a giungere fino alle nostre frontiere non rientrano tra quelli più poveri del mondo e anche se la spesa necessaria per la loro integrazione è molto più alta delle somme che sarebbero necessarie per mitigare una sofferenza più grande nelle regioni del mondo colpite dalla miseria, abbiamo questo obbligo concreto». Non solo, perché l’autore aggiunge che «la strategia cinica secondo cui non si dovrebbero intraprendere missioni di salvataggio dei migranti in balia del Mediterraneo, al fine di trasmettere un effetto di dissuasione sui movimenti migratori globali, viola princìpi di fondo di una prassi etica umana» (p. 70). Naturalmente questo provoca un dilemma che Nida-Rümelin definisce dilemma etico, in quanto si tratta di persone che «vengono chiaramente anteposte, indipendentemente dalla loro indigenza, a coloro i quali sono rimasti nelle regioni colpite dalla miseria» (p. 71). Questo dilemma troverebbe una soluzione solo e soltanto «se la migrazione per povertà cessasse, e nel caso più favorevole se si mettesse fine allo svantaggio economico che grava sul Sud del mondo […]» (p. 71). In breve, questo significherebbe trasformare un sistema giuridico, politico ed economico che da anni rimane invariato in Paesi in cui a rientrare è anche l’Europa.
Altra situazione in cui una maggiore cooperazione tra Paesi risulterebbe utile – oltre che necessaria – riguarda le decisioni politiche in merito alla migrazione per guerra e guerra civile. Bisogna però qui «distinguere accuratamente tra immigrazione e diritto di ospitalità» (p. 81), specifica l’autore. Sarebbe inoltre buona cosa stipulare accordi internazionali che mirino alla risoluzione di alcune questioni: a questo proposito Nida-Rümelin propone di trovare un «accordo sulla regolamentazione di un diritto di ospitalità e sulle ulteriori questioni che ne conseguono» (p. 81), affinché si agisca al fine di consentire un’integrazione linguistico-culturale nel Paese ospitante, oltre ad un adeguato accesso ai servizi che possano agevolare il loro inserimento nella società, pur mantenendo saldi i contatti con le culture e le tradizioni d’origine.
Per quel che riguarda la migrazione economica, invece, l’autore insiste sul fatto che debba essere garantito un risarcimento del Paese che qualifica e forma nel settore educativo, ma i cui esperti e/o specialisti non hanno scelta se non quella di spostarsi in Paesi dove poter effettivamente impiegare le proprie competenze in ambito lavorativo. L’indagine del filosofo prosegue fino a delineare sette princìpi etici per una politica migratoria: si tratta di sette postulati da lui proposti che abbracciano tanto la sfera etico-politica quanto l’ambito migratorio, dando luogo a considerazioni in grado di rinnovare il pensiero politico attuale, dove in relazione agli inevitabili fenomeni migratori non viene posto al centro l’aspetto etico.
In breve, Nida-Rümelin contesta una politica che si conferma insufficiente nei confronti dei flussi dei migranti, ma le sue critiche riguardano anche una diffusa retorica dell’accoglienza come politica strutturale – oltre ad una comunicazione persuasiva da parte dei Paesi del Nord, che poco a poco hanno reso ancor più fragile la politica migratoria europea, ponendo al centro (e quasi radicalizzando) la questione riguardante la tutela identitaria e la protezione dei confini. Da questo punto di vista, in ambito politico – ma non solo –, sarebbe bene sviluppare una comunicazione migliore, diversa e in grado di approfondire le logiche che sorreggono un insieme di strategie volte ad offuscare anziché disvelare. In Europa, per esempio, ci si è spesso trovati di fronte ad una cattiva gestione dei flussi migratori. Nel 2015 la Germania è risultata insufficiente a livello solidale nei confronti di altri Paesi europei, quando a partire dagli ultimi mesi dello stesso anno ha preteso soluzioni solidali complessivi a livello europeo, in conseguenza alle aperture delle frontiere nei confronti di rifugiati provenienti dall’Ungheria, dal Vicino e dal Medio Oriente. La politica migratoria è uno dei punti centrali del progetto politico (ma per lo più etico) che l’Unione Europea deve affrontare. Una cooperazione in particolar modo tra Francia, Italia e Germania risulta decisiva al fine di creare e gestire una vera e propria integrazione europea. Solo e soltanto una politica migratoria fondata su princìpi normativi renderà dunque possibile la realizzazione di tale progetto, poiché a rendere il mondo meno ingiusto non saranno di certo il nazionalismo o un sovranismo sempre più crescente; per una politica migratoria sarebbe necessario sviluppare ulteriormente l’alternativa coerentista e pluralista di Julian Nida-Rümelin, ponendo al centro non i consueti interessi di oligarchi, bensì l’etica in quanto etica.