Scritto da Lorenzo Trapassi
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Se c’è un Paese in Europa simbolo della libertà, per me quello è la Germania: lo dico da appassionato della cultura tedesca prima ancora che da diplomatico che ha avuto l’opportunità di prestare servizio a Berlino[1]. Simbolo di libertà in due accezioni: della libertà esterna, perché dopo la Guerra fredda, anziché disintegrarsi come l’Unione Sovietica o la Jugoslavia, la Germania si è riunificata, ottenendo dai vincitori della Seconda guerra mondiale il riconoscimento della sua piena sovranità, in quella che è probabilmente l’unica esperienza di unificazione volontaria tra due Stati indipendenti che abbia avuto successo; della libertà interna, visto che difficilmente si trovano altrove nell’Unione Europea le condizioni che offre la Germania per lo sviluppo delle libertà personali, dalla possibilità di avviare iniziative economiche alla libertà di vivere al riparo da discriminazioni basate sulla nazionalità o sull’orientamento sessuale. Per capirlo basta un breve soggiorno a Berlino: soprattutto dopo la Brexit, la capitale tedesca è diventata meta di tante e tanti giovani che, ripercorrendo le orme di personalità come David Bowie e Brian Eno, la scelgono per studiare, per lavorare e per realizzare i propri sogni in un contesto dinamico e multiculturale: in una parola, libero.
Eppure, se c’è un Paese in Europa che con la libertà ha avuto un rapporto a tratti paradossale è proprio la Germania e qualche esempio servirà a chiarirlo. È sulle spiagge tedesche che un secolo fa nacque il naturismo, un ideale promosso in nome della libertà degli esseri umani di riconciliarsi con la natura e che dovette fare i conti con la negazione delle libertà imposta dal nazismo. Stessa sorte ebbero le prime comunità LGBTQ+, apparse a Berlino nel breve periodo di libertà coinciso con la Repubblica di Weimar, soffocata fra l’austerità della Germania guglielmina e la barbarie nazista. Senza dimenticare Berlino Ovest, per decenni un’isola di libertà a cui aspiravano non solo i tanti cittadini dell’Est che rischiavano la vita per attraversare il Muro, ma anche molti giovani provenienti dalla Repubblica di Bonn che si stabilivano a Berlino Ovest per via del suo clima liberale, fatto di comuni e di movimenti studenteschi, come pure attratti dall’esenzione dal servizio militare.
I paradossi continuano nel rapporto fra la Germania e la libertà esterna, vale a dire i vincoli che caratterizzano la politica estera tedesca. Ogni Paese – inclusi gli imperi – incontra vincoli esterni nel proprio agire internazionale, ma a ben vedere è l’esistenza stessa della Germania unita a rappresentare il risultato non voluto a dispetto dei reiterati tentativi di limitarne la libertà esterna. Durante l’epoca della contrapposizione fra i due blocchi, infatti, la linea di faglia fra il mondo libero e quello ingabbiato da Mosca correva sulle pianure della Sassonia e dell’Assia e le due superpotenze avevano accettato lo status quo della divisione tedesca, a discapito del desiderio dei tedeschi di tornare a essere un solo Paese. Quando il regime della DDR stava iniziando a scricchiolare, a ridosso della caduta del Muro, alcuni leader europei, lungi dal rallegrarsene, provarono a evitare la riunificazione e, con essa, la libertà geopolitica della Germania[2].
Visti tali precedenti storici e tentando di allargare la visuale al medio-lungo periodo, viene da domandarsi quanto la Germania passata dalla guida della Cancelliera Angela Merkel a quella dell’attuale Cancelliere Olaf Scholz possa dirsi davvero libera di esprimere sul piano internazionale la propria potenza e la propria volontà di Paese sinceramente impegnato a creare condizioni di prosperità e sicurezza globali, in tempo di pace e ancor più in questo triste tempo di guerra.
Se per molti Paesi i vincoli esterni corrispondono a debolezze interne di ordine economico o strutturale – ci sono Stati che “vorrebbero ma non possono” agire da potenze perché la storia li ha nel frattempo privati dei loro imperi coloniali, ovvero Stati che hanno potuto un tempo e ora non possono più –, per la Germania vale l’inverso. Pur a fronte di una disponibilità di risorse che ne sosterrebbe la libertà d’azione internazionale, i vincoli esterni della Germania derivano anzitutto dalla sua storia: essi sono di tipo etico e, proprio per questo, meritano comprensione e rispetto. La Germania che ha da poco celebrato i trent’anni dalla riunificazione è infatti ancora in parte “prigioniera” dei tabù legati al ricordo del militarismo prussiano, della folle aggressività nazista, degli orrori dell’Olocausto. Per molti osservatori, è questo debito «morale e materiale», come lo definì Konrad Adenauer, a frenare la piena capacità di leadership di Berlino[3].
Una serie di tabù storici che si traducono nella persistente difficoltà per la Germania di pensarsi come una potenza in grado di giocare la partita della geopolitica libera da tali condizionamenti, tanto che Berlino si muoverebbe sulla scena internazionale con timidezza – come sottolinea Gian Enrico Rusconi – se non addirittura in una sorta di inibizione psicologica per molti tedeschi a provare orgoglio nazionale. Eppure, quest’ultimo, inteso quale consapevolezza delle proprie potenzialità, sta alla base della libertà di uno Stato sul piano geopolitico: lo dimostrano alcuni Paesi medi che dimostrano aspirazioni sproporzionate rispetto alle loro risorse[4].
Questo vincolo esterno proveniente dal passato, per così dire, mina in particolare la libertà della Germania di utilizzare lo strumento militare quale componente della sua azione geopolitica: Berlino, sia chiaro, fa egregiamente la sua parte nelle missioni di pace internazionali, con un senso di responsabilità testimoniato anche da numerosi caduti[5]. Tuttavia, si percepisce ancora, nella politica di difesa tedesca, che la Germania è un reluctant warrior, ossia uno Stato così protetto dall’ombrello americano da non avere incentivi a investire adeguatamente nelle proprie forze armate[6].
La Germania dei nostri giorni è, secondo diversi analisti, la versione adulta del protected child della Guerra fredda: mentre le truppe di Mosca hanno lasciato il suolo tedesco dopo il crollo del Muro, quelle americane vi sono rimaste, continuando ad alimentare nella dirigenza e nell’elettorato tedesco l’illusione che spendere per la difesa non fosse una priorità, preferendo investire in ambiti – pur importanti – come il welfare e il sostegno ai Länder dell’ex DDR. Alcuni commentatori sottolineano che così la Germania avrebbe dimostrato di imparare una lezione sbagliata dalla Guerra fredda, abbassando la guardia e non ipotizzando che da Est potessero tornare a manifestarsi insidie, fino al brusco risveglio dell’annessione della Crimea e dell’invasione russa dell’Ucraina[7].
Sta di fatto quindi che la Germania è una grande potenza civile, culturale, politica ed economica, una risorsa per l’Europa e per il suo processo d’integrazione, ma è una potenza priva di un corrispondente peso sul piano militare[8]. Un paradosso, se si pensa che l’apparato militare è uno dei requisiti alla base della capacità di un Paese di agire sul piano internazionale, non certo a fini aggressivi, ma anzi contribuendo alla sicurezza e alla stabilità internazionale, in ossequio a quanto previsto dalla Carta delle Nazioni Unite. Sono, questi ultimi, obiettivi che la Germania promuove e persegue in modo brillante, sul piano diplomatico e della cooperazione allo sviluppo nonché attraverso efficaci iniziative di soft power in campi quali la cultura e l’educazione. Non altrettanto, però, sul piano militare: basti pensare che nei suoi sedici anni di governo, la Cancelliera Merkel non ha mai visitato le truppe in Afghanistan. Forse – se pensiamo ai tabù del passato tedesco e alla sua gioventù trascorsa sotto una dittatura, a Berlino Est – Angela Merkel non si sentiva abbastanza libera da potersi fare fotografare assieme alle donne e agli uomini della Bundeswehr[9].
Sarebbe tuttavia ingiusto dimenticare quanto la Germania ha fatto e sta facendo nel settore dell’assistenza umanitaria, anch’essa componente essenziale di un quadro geopolitico di sicurezza e stabilità: dopo l’invasione russa dell’Ucraina è scattata in Germania una vera gara di solidarietà a favore di civili e rifugiati ucraini, che ha visto protagoniste istituzioni federali e locali non meno della società civile e delle chiese. In questo senso, ancora una volta, libertà e Germania appaiono un binomio inscindibile, che qualifica profondamente un ordinamento improntato allo stato di diritto, alla valorizzazione della persona e dei suoi diritti e all’economia sociale di mercato.
Non pochi hanno sorriso quando il Governo tedesco, a titolo di aiuti militari all’Ucraina invasa, aveva offerto un carico di elmetti e, in effetti, si è trattato di un gesto a carattere simbolico. Tuttavia, in politica – e, soprattutto, in diplomazia – i simboli contano e chi conosce la Germania e il suo tabù per il militarismo ha rilevato come anche questo gesto fosse importante. Non a caso, a esso ha fatto seguito l’annuncio del Cancelliere Scholz della Zeitenwende al Bundestag il 27 febbraio 2022, annuncio ribadito con un discorso tenuto a Praga il 29 agosto: una “svolta epocale” – Zeitenwende appunto – della politica estera tedesca rappresentata dall’impegno del governo federale per un incremento di cento miliardi di euro nel budget militare[10].
Un impegno che, una volta effettivamente attuato, renderebbe la previsione del 2% del PIL da investire in spese militari conseguibile entro il 2025 per Berlino, con buona pace delle discussioni sull’argomento che animarono i rapporti fra la Cancelliera Merkel e il Presidente Trump[11]. Resta, peraltro, parimenti in sospeso la questione della qualità di tale incremento di spesa, visto che l’Alleanza Atlantica richiede non soltanto di dedicare alle spese militari il 2% del PIL, ma indica anche che il 20% di questo 2% sia investito in «major equipment, including related Research & Development», così delineando un chiaro impegno dei Paesi membri nello sviluppo innovativo e nel rafforzamento qualitativo dei propri assetti militari[12].
È ancora presto per stabilire se all’annunciata Zeitenwende farà seguito un fattivo ripensamento del rapporto fra la Germania e le sue Forze Armate, ma di certo la narrativa avviata dal Cancelliere Scholz – un esponente socialdemocratico, famiglia politica tedesca la cui storia è particolarmente avversa al militarismo – va nel senso di una maggiore libertà ricercata da Berlino in politica estera, giacché la capacità di integrare gli elementi soft della diplomazia con la deterrenza e la capacità di reazione data dagli assetti militari è spesso determinante per assicurare a un Paese la libertà di azione nell’agone geopolitico. Del resto, il Cancelliere Scholz si è già fatto fotografare a bordo di un carro armato: se nella politica mediatizzata di oggi le immagini hanno un peso, una sola foto così pesa più delle tante mancate foto di Angela Merkel con i reparti della Bundeswehr[13].
Avviandoci alle conclusioni di una carrellata che è partita dalla Berlino dell’epoca di Weimar, la Germania dei nostri giorni costituisce un modello di libertà nel campo politico e istituzionale. La Germania è, per certi versi, un vero e proprio “miracolo geopolitico” per come è uscita dalla Guerra fredda e da una riunificazione dai risultati niente affatto scontati, diventando un grande Paese, democratico e liberale, inclusivo e proattivo, quella “potenza civile” a cui l’Unione Europea sembra volersi ispirare nella sua proiezione globale.
La possibilità per l’Europa di raggiungere un simile, storico obiettivo passa anche – e ce ne siamo accorti dopo l’invasione dell’Ucraina – per la realizzazione di una politica di difesa comune, un terreno sul quale Berlino non può che essere ingaggiata per le sue potenzialità in questo campo, che partono dalla ricerca e dalla capacità di sviluppo della sua industria. Un percorso di collaborazione, quello della sicurezza europea, che i nostri due Paesi hanno interesse a percorrere insieme, come in tutti i casi in cui si è inteso dare impulso all’integrazione del continente. Perché Italia e Germania, soci fondatori del progetto europeo, hanno una speciale responsabilità comune quando si tratta di fare crescere tale progetto. Ed è proprio guardando alla crescita, in termini qualitativi e valoriali, del progetto comune europeo che varrebbe la pena di riflettere sul fatto che, così come la riunificazione tedesca è stata di fatto accettata dai partner europei – sia pure senza entusiasmo, per alcuni – in quanto avvenuta all’interno delle rassicuranti cornici istituzionali della NATO e della UE, anche un cambiamento di passo della Germania in campo militare potrebbe essere parimenti ben accetto poiché ancorato a tali organizzazioni internazionali.
In definitiva, la libertà politica del nostro continente, la sua cosiddetta autonomia strategica – come oggi si usa dire – nella competizione che caratterizza il disordine globale del post Guerra fredda, dipende in buona parte anche dalla capacità di Berlino di ritrovare una libertà d’azione geopolitica scevra dai condizionamenti suaccennati e in collaborazione con gli altri Stati membri dell’Unione Europea. Difesa e indipendenza della libertà corrispondono, del resto, agli obiettivi fondamentali dei padri fondatori dell’Europa unita, tedeschi e italiani in primis. E difesa e indipendenza di un’Europa prospera e sicura rappresentano sfide ancora oggi attuali, come ha ricordato di recente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del trentesimo anniversario del Trattato di Maastricht[14].
[1] Le opinioni qui esposte sono espresse interamente a titolo personale e non sono in alcun modo riconducibili al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, la mia Amministrazione, alla quale desidero esprimere la mia gratitudine per avere autorizzato la pubblicazione di questo scritto ai sensi dell’art. 148 del D.P.R. 18/1967, come pure per la grande opportunità di crescita che mi ha offerto permettendomi di prestare servizio diplomatico presso l’Ambasciata d’Italia a Berlino dal 2017 al 2020.
[2] G. Allison, Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?, Fazi Editore, Roma 2018, p. 305.
[3] Sui tabù del passato come freno alla Germania di oggi si rimanda all’interessante lettura resa da: B. Romano, Germania, questa sconosciuta, Longanesi, Milano 2006, p. 135. Con specifico riguardo al tabù derivante dall’Olocausto, si fa riferimento al discorso che il Cancelliere Konrad Adenauer tenne al Bundestag il 27 settembre 1951, dando avvio a una stagione di attività diplomatica volta alla riconciliazione della Repubblica federale tedesca con lo Stato d’Israele (cfr.: L. De Vita, Israelpolitik: German-Israeli relations, 1949-69, Manchester University Press, Manchester 2020). La letteratura sul tabù del militarismo in Germania è sterminata; ci si limita quindi a segnalare il (non più recente ma pregevole) saggio: W. Wette, Militarismus in Deutschland. Geschichte einer kriegerischen Kultur, Primus-Verlag, Darmstadt 2008.
[4] Su Germania e orgoglio nazionale: B. Romano, Germania, questa sconosciuta, Longanesi, Milano 2006, pp. 185-187; di “timidezza” internazionale della Germania parla: G.E. Rusconi, Berlino. La reinvenzione della Germania, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 42-47.
[5] Il sito istituzionale della Bundeswehr, le Forze Armate tedesche, indica in 115 il numero dei caduti tedeschi impegnati nelle missioni di pace a partire dal 1992: https://www.bundeswehr.de/en/about-bundeswehr/remembrance-dead-bundeswehr/deaths-bundeswehr
[6] La definizione è ripresa dal titolo di un saggio dedicato alla riluttanza di Paesi come Germania e Giappone a contribuire alle strategie securitarie degli Stati Uniti: A. Sakaki, H. W. Maull, K. Lukner, E. S. Krauss e T. U. Berger, Reluctant Warriors: Germany, Japan, and Their U.S. Alliance Dilemma, Brookings Institution Press, Washington 2020.
[7] E. Lucas, Why Germany has learned the wrong lessons from history, «Foreign Policy», 27 dicembre 2022. L’espressione protected child è di: J. Kampfner, Why the Germans do it better, Atlantic Books, Londra 2019, p. 1.
[8] K. Marton, The Chancellor, William Collins, Londra 2021, p. 221.
[9] P. Valentino, L’età di Merkel, Marsilio, Venezia 2021, p. 186.
[10] Fra i commenti al discorso del Cancelliere Scholz sulla Zeitenwende, si segnalano per acutezza: U. Villani-Lubelli, Se la Repubblica Federale tedesca torna potenza militare: profili istituzionali e politici della Zeitenwende, «Eunomia. Rivista di studi su pace e diritti umani», I (2022), pp. 91-112; F. D’Aniello, Con la Zeitenwende torna la Mitteleuropa? Brevi note sul discorso di Olaf Scholz a Praga il 29 agosto 2022, «Vigoni Paper», VII (2022); nella pubblicistica tedesca, si rimanda a: S. Hansen, M.A., O. Husieva, K. Frankenthal, Russlands Angriffskrieg gegen die Ukraine. Zeitenwende für die deutsche Sicherheitspolitik, Nomos, Baden-Baden, 2023; R. von Fritsch, Zeitenwende. Putins Krieg und die Folgen, Aufbau, Berlin 2022.
[11] La scarsa propensione tedesca a investire nella difesa costituisce storicamente una fonte di frizioni nel dialogo fra Berlino e Washington, come evidenziato in: R. Steininger, Von Kanzlern und Präsidenten, Lau Verlag, Reinbeck 2019.
[12] NATO, Wales Summit Declaration, Issued by the Heads of State and Government participating in the meeting of the North Atlantic Council in Wales, 5 settembre 2014.
[13] K. Küstner, Französische Panzer für Ukraine: Der Druck auf Scholz wächst, «Tagesschau», 5 gennaio 2023.
[14] Presidenza della Repubblica Italiana, Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sul futuro dell’Europa in occasione del 30° anniversario del Trattato di Maastricht, Maastricht, 11 novembre 2022.