Scritto da Luca Picotti
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Il Rapporto 2019 è scaricabile liberamente ed è anche possibile consultare le precedenti edizioni del Rapporto curato da Demos&Pi e Fondazione Unipolis.
Di recente è uscita l’undicesima edizione del Rapporto sulla sicurezza e sull’insicurezza sociale in Italia e in Europa, un’indagine che da oltre dieci anni Demos&Pi e Fondazione Unipolis conducono per analizzare, attraverso rilevazioni demoscopiche, le paure e le inquietudini che pervadono la società.
L’indagine, i cui risultati sono stati presentati il 25 febbraio a Milano, è stata svolta sotto la direzione scientifica del professor Ilvo Diamanti e con il contributo di Fabio Bordignon e Martina Di Pierdomenico, autori del focus: i cittadini europei e il lavoro.
Il rapporto si focalizza sulla percezione sociale dell’insicurezza nelle sue diverse sfumature e dimensioni, in particolare attraverso due inchieste campionarie: una è relativa ai trend di lungo periodo della sicurezza tra i cittadini italiani, l’altra offre una prospettiva comparata di sei paesi europei (Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Olanda e Ungheria) concentrandosi prevalentemente sulle tematiche del lavoro, delle sue trasformazioni e delle conseguenti insicurezze che ne derivano.
La percezione dei cittadini è un tema centrale del dibattito pubblico. Si intreccia con la comunicazione, i media, Internet e le relazioni con le istituzioni; comprendere il sottosuolo che orienta la nostra percezione e capire come questa cambia è fondamentale se si vuole cogliere il movimento della società. Dall’ultimo rapporto emerge una sorta di stabilizzazione dell’insicurezza, in alcuni casi sembra esservi addirittura un’inversione di tendenza, con l’abbassamento di alcuni indici di insicurezza. Questo però non va interpretato come un preludio ad un’epoca di rassicurazione: siamo in realtà di fronte a quella che Ilvo Diamanti, il direttore di questa indagine, definisce una normalizzazione emotiva.
Il sociologo nel suo commento al rapporto delinea bene il concetto: «Il minore impatto dell’incertezza sulla società potrebbe riflettere una crescente assuefazione. All’insicurezza e alla stessa paura, meglio, “alle paure”. Ormai interiorizzate, metabolizzate. Quasi “date per scontate”. Nella società e fra i cittadini. […] L’incertezza, le paure, dunque, generano meno incertezza e meno paura, nonostante continuino a pervadere la società, perché vengono “normalizzate”. Diventano elementi “normali”, non più “eccezionali”. È la “normalità”, oppure, per citare un riferimento nobile autorevole, Hannah Arendt, “la banalità della paura”. “Dell’insicurezza”. Che incide meno sul nostro sentimento per “abitudine”».
In sintesi, la società non ha smesso di guardare con inquietudine al futuro e allo stesso presente, semplicemente ha iniziato a convivere con questa inquietudine, come se le stagioni dell’ottimismo e della fiducia non appartenessero più al ventunesimo secolo. Ma quali sono queste inquietudini? Qual è la maggior fonte di angoscia dei cittadini italiani? Come è il rapporto con gli altri stati europei?
La prima rilevazione demoscopica, relativa all’Italia, si propone di ricostruire i trend di lungo periodo della sicurezza tra i cittadini ed è stata realizzata attraverso un sondaggio svolto, nel periodo 7-15 gennaio 2019, su un campione di 1.603 persone, rappresentativo della popolazione italiana di età superiore ai 15 anni, per genere, età e zona geopolitica.
In Italia nel 2012 è stato raggiunto il massimo livello di insicurezza percepita, a seguito degli effetti nefasti della Grande crisi. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un lieve recupero e assorbimento delle paure scoppiate nel periodo della crisi, attraverso il processo di “normalizzazione” emotiva di cui sopra. Oggi, come mostra il rapporto, le ansie degli italiani sono così ripartite: l’insicurezza globale – che comprende questioni quali l’ambiente, l’alimentazione, le guerre e la globalizzazione – detiene anche nel 2018 il primato nella graduatoria, spaventando tre persone su quattro (75%); in particolare, l’inquinamento (64%, 9 punti in più rispetto al 2017) e la distruzione dell’ambiente e della natura (60%) – seppur in calo, tra le preoccupazioni degli italiani rimane anche il terrorismo (34%, 10 punti in meno rispetto al 2017), preceduto dalla sicurezza dell’alimentazione (44%) e dalla globalizzazione (36%). Al secondo posto nella graduatoria si posiziona l’insicurezza economica (62%), relativa soprattutto all’incertezza sul futuro personale: di non avere o perdere la pensione (37%) di non avere abbastanza soldi per vivere (36%) e di perdere il lavoro (34%). Infine, al terzo posto si posiziona l’insicurezza legata alla criminalità (38%).
Di particolare importanza è il dato relativo all’insicurezza economica analizzato tenendo conto delle fasce d’età. Dai dati raccolti si evince che l’insicurezza economica colpisce soprattutto le fasce di età intermedia (25-34 / 35-44 / 45-54 anni), il cui livello di preoccupazione si attesta intorno al 70% (contro il 62% della media). Il sentimento di preoccupazione colpisce più le donne che gli uomini e, se teniamo conto del profilo professionale, l’apprensione tocca maggiormente i soggetti più deboli come operai, casalinghe e disoccupati. Nel complesso, la questione economica è collocata da ben il 44% degli italiani tra le priorità nella lista dei problemi che il paese deve affrontare, seguita dall’inefficienza e corruzione politica (22%) e dall’immigrazione (11%).
La seconda rilevazione demoscopica, una novità nell’ambito del Rapporto sulla sicurezza, è stata realizzata attraverso un sondaggio svolto, nel periodo 22-26 gennaio 2019, su un campione di 6.340 persone di sei paesi europei (Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Olanda e Ungheria) rappresentativo della popolazione di età superiore ai 15 anni. Come in Italia il grado di insicurezza aumenta spostandosi da Nord verso il Mezzogiorno, così in Europa l’insoddisfazione è maggiore nei paesi mediterranei (alla quale in questo caso uniamo l’Ungheria, al netto delle sue peculiarità) e tende invece a diminuire in quelli nordici. Per fare un esempio, nel primo gruppo di paesi il grado di soddisfazione per le performance economiche coinvolge una parte minoritaria della popolazione: 36% in Ungheria, 29% in Italia e 28% in Francia. Si sale al 48% nel Regno Unito e si supera la quota di sei persone su dieci in Germania (61%) e Olanda (67%). Niente di nuovo sul fronte occidentale, verrebbe da dire. Un altro dato emblematico, e rappresentativo soprattutto della situazione italiana, è quello relativo alle opportunità offerte dal mercato del lavoro; se mettiamo da parte l’Ungheria, che in questo caso presenta un contesto più positivo e dinamico, notiamo come in Italia e Francia solo il 32% nella prima e il 35% nella seconda si ritengono soddisfatti dalle opportunità di lavoro, contro il 50% in Germania, il 57% nel Regno Unito e addirittura il 72% in Olanda. Giudizi negativi, per quanto concerne il nostro paese e la Francia, riguardano anche il guadagno medio, la meritocrazia nelle carriere e l’occupazione giovanile.
Al di là di queste differenze geografiche, il rapporto mette in luce altre divisioni, questa volta andando ad analizzare il mercato del lavoro nelle sue specificità interne. In particolare, l’indagine si concentra sulla dicotomia tra i lavori stabili e garantiti (in Italia poco più della maggioranza) e quelli in forma atipica e instabile; tra questi ultimi è necessaria l’ulteriore divisione in flessibili e precari, in base a come il lavoratore lo percepisce – per i primi c’è minore apprensione, in quanto il lavoratore ritiene di disporre di strumenti adeguati per muoversi tra le incertezze del mondo del lavoro. Nel complesso, si può evidenziare una maggiore stabilità tra gli occupati over 55, i quali sono entrati nel mondo del lavoro in un’epoca diversa, e una maggiore instabilità tra gli under 30. Per quanto concerne invece il carattere precario o flessibile dell’occupazione, in quattro paesi su sei la maggioranza assoluta del campione sembra guardare con fiducia ad un sistema di flex-security (una flessibilità in entrata e uscita coadiuvata da politiche attive e ammortizzatori sociali) mentre gli altri due, Italia e Ungheria, si fermano rispettivamente al 49% e 44%. Non a caso in Italia, dove una vera politica di flex-security non è mai stata adottata (si è semplicemente moltiplicato le varie forme contrattuali atipiche senza porre lo sguardo sulle politiche attive), solo il 13% si ritiene “flessibile”.
Nel rapporto vengono delineati quattro tipi di lavoratori con l’incrocio di due variabili:
Gli integrati (competenze ↑ / opportunità di lavoro ↑) ritengono la propria preparazione all’altezza del mercato del lavoro, che vedono come ricco di opportunità.
I divergenti (competenze ↑ / opportunità di lavoro ↓) valutano positivamente le proprie skill, ma sono allo stesso tempo insoddisfatti delle opportunità offerte dal mercato del lavoro. Nella loro percezione, sembra esistere un mismatch tra domanda (individuale) e offerta (del sistema).
I marginali (competenze ↓ / opportunità di lavoro ↓) si ritengono inadeguati, dal punto di vista della preparazione, all’interno di un mercato del lavoro che non offre (loro) molte opportunità;
Gli alieni (competenze ↓ / opportunità di lavoro ↑), infine, vedono un mercato del lavoro dinamico che offre delle opportunità, ma non si ritengono in grado di intercettarle, a causa dei limiti nelle proprie competenze.
In Italia solo il 27% si colloca tra gli “integrati” (31% in Francia), contro il 60% in Olanda e il 52% in Germania. In particolare, l’Italia e la Francia sono caratterizzate, invece, dalle quote più elevate di lavoratori divergenti (circa il 40%) e marginali (23/24%) – questo per capire le disfunzionalità dei rispettivi mercati del lavoro.
Infine, per concludere queste brevi note sul rapporto, è importante sottolineare le percezioni dei giovani sul futuro, nell’imprescindibile contesto della globalizzazione, di Internet e delle nuove tecnologie. In tutti e sei i paesi solo un’esigua parte ritiene di poter migliorare la propria posizione sociale, dal 26% in Olanda al drammatico 7% in Italia. L’ascensore sociale si è rotto e, come affermano tanti economisti, per la prima volta i figli vivranno con molta probabilità peggio dei padri; questi dati non fanno che confermare quanto nitidamente sia percepita questa realtà.
Il rapporto si rivela uno strumento di grande utilità ed importanza per capire come cambiano le ansie, le paure e le inquietudini della società. I dati forniti nel rapporto e in parte illustrati in questo articolo mostrano chiaramente il peso che riveste per la società, e in particolare per i giovani, l’insicurezza economica, specialmente quella legata al mercato del lavoro. Inoltre, l’indagine evidenzia come, da un punto di vista comparato, il tasso di insoddisfazione sia più elevato di quello riscontrabile in altri paesi, in particolare del Nord Europa. Il quadro restituito dal rapporto è chiaro e legato alle difficoltà economiche che la nostra società sta sperimentando. Tali percezioni vanno tenute in seria e attenta considerazione da parte di chi intenda cimentarsi con l’elaborazione di proposte e ipotesi di riposte.