Riconvertirsi all’aerospazio: la storia di Poggipolini. Intervista a Michele Poggipolini
- 22 Luglio 2024

Riconvertirsi all’aerospazio: la storia di Poggipolini. Intervista a Michele Poggipolini

Scritto da Giacomo Bottos

12 minuti di lettura

Reading Time: 12 minutes

Michele Poggipolini è amministratore delegato di Poggipolini.


Partirei dalla storia di Poggipolini, per arrivare a capire quando avete cominciato a occuparvi di aerospazio e quando è diventato un settore strategico per voi.

Michele Poggipolini: L’azienda fu fondata da mio nonno nel 1950 come officina meccanica. Nel 1970 abbiamo cominciato a realizzare i primi bulloni in titanio e nel corso del tempo abbiamo acquisito un ruolo di leadership a livello mondiale nella realizzazione di sistemi di fissaggio in varie leghe. Fu una scelta di mio padre, che utilizzò il titanio come opzione innovativa per le imprese del motorsport del nostro tessuto locale, in particolare la Ducati. I prezzi erano però molto più elevati rispetto a quelli in acciaio diffusi all’epoca, e ciò ci precludeva l’accesso ad alcuni settori ma allo stesso tempo ci spingeva a cercare nuovi mercati. Poi nel 1984 siamo entrati in Formula 1 e dal 1984 al 2010 siamo cresciuti nel settore del motorsport come azienda meccanica. Intanto però nel 1986 ci siamo certificati con la ISO-9100 per lavorare con Agusta Westland nel settore degli elicotteri. All’epoca gli ingegneri Ferrari lavoravano con quelli di Agusta e furono loro a presentare Poggipolini ad Agusta. Fino al 2010 Ferrari rimase comunque nostro partner in esclusiva e gli elicotteri costituivano soltanto una piccola parte del nostro fatturato. Nel 2010 però la Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA) cambiò i regolamenti della Formula 1. Dal momento che noi facevamo soprattutto fissaggi e meccanica di precisione, con la riduzione del budget cap e dei test – che ha portato il numero di motori prodotti dalla Formula 1 da 500 a 80 – subimmo un duro colpo: perdemmo il 65% del fatturato in meno di un anno. A questo punto dovevamo capire come andare avanti. Decidemmo quindi di trasferire le tecnologie sviluppate in quarant’anni di lavoro nella Formula 1 verso l’aeronautica, partendo dal settore degli elicotteri, dato che sono i velivoli più vicini – nel volume, nei materiali, nelle questioni di design – a un’auto di Formula 1. I bulloni presenti in un elicottero sono quantitativamente meno rispetto a quelli di un aereo di linea, ma devono però essere ancora più precisi e ciò rappresentava un’opportunità per noi, che avevamo le competenze e l’esperienza necessarie a realizzare questo tipo di prodotto. L’azienda, quindi, cambiò anche mentalità e strategia, perseguendo l’obiettivo di diventare leader nei sistemi di fissaggio per i settori aerospazio e difesa.

 

Quali sono le principali difficoltà che si incontrano nel passaggio dai settori legati all’auto a quello dell’aerospazio?

Michele Poggipolini: Bisogna innanzitutto distinguere l’automotive generico dal motorsport. Noi non avremmo mai potuto entrare nel settore delle auto di serie, avremmo potuto continuare a lavorare solo con le hypercar e con la Formula 1, a causa del costo dei materiali che impiegavamo. Decidere di entrare nel settore dell’aerospazio comportò degli stravolgimenti nell’organizzazione aziendale, perché il crollo del nostro primo mercato ci aveva privato della nostra entrata principale e ci aveva spinto a cercare – e a trovare – delle soluzioni rapide. Anche perché la vera sfida nell’aerospazio è data proprio dalla difficoltà di entrare nel settore. Il problema non è rappresentato solo dall’iter delle certificazioni generali ISO 9001 e poi EN 9100 specifica per le componenti aerospaziali – per quello che riguarda la parte di processi produttivi e di autoproduzione in gergo detta “Nadcap”. Occorre poi acquisire il cliente e convincerlo a venire a certificarti ulteriormente. Un esempio è quanto ci è successo nel rapporto con Boeing, della quale volevamo diventare fornitori nel settore dei fastener (dispositivi di fissaggio e collegamento). Boeing, tuttavia, quando nel 2015 siamo diventati suoi fornitori, da trent’anni non certificava più un fornitore. In seguito alla pandemia di Covid-19 è emerso con forza anche il tema della disruption nelle supply chain. A causa dei licenziamenti e dei rallentamenti nella produzione e nell’arrivo delle materie prime, al momento della ripresa della domanda nel 2022 abbiamo assistito a un calo di circa il 30% dell’offerta reperibile sul mercato. E questo proprio perché il sistema delle certificazioni era bloccato con numeri molto bassi dal lato dell’offerta.

 

Una filiera cristallizzata…

Michele Poggipolini: In un certo senso sì. Quello dell’aerospazio è un mercato che vale 400 miliardi, che però ha pochissimi player, perché il tier 1 dei player globali ha acquisito tutti gli altri livelli della “catena alimentare”. Si è creata così una situazione di oligopolio in cui imprese di piccole e medie dimensioni possono inserirsi solo come partner dei grandi player. Poggipolini oggi è il primo fornitore di Leonardo Elicotteri e ha scalzato aziende americane e francesi, trovandosi proiettata in un settore dove il gruppo più piccolo fattura due miliardi, il più grande quindici e il mercato è iperconcentrato. Da ciò nacque la nostra necessità di iperspecializzarci nei fastener. Questa specializzazione garantisce a Leonardo servizi diversi rispetto a quelli che invece gli possono fornire le aziende americane, in particolare per quanto riguarda la flessibilità. Noi in Formula 1 eravamo abituati a fornire venti / trenta pezzi al giorno ma con Leonardo avevamo il problema che le consegne erano troppo scarse. Quindi abbiamo implementato un sistema di servizi di consegna rapidissimi, utilizzando materiali speciali nati dal nostro lavoro nel motorsport. La Formula 1 è stata molto importante per lo sviluppo tecnologico fino a vent’anni fa, poi negli ultimi decenni questo aspetto si è in parte atrofizzato. Quando abbiamo deciso di cambiare settore, entrando nel mercato dell’aerospazio, abbiamo avuto bisogno di cinque anni, a partire dal 2010, per recuperare il gap rispetto al fatturato precedente. Ma poter contare sulle competenze maturate nel motorsport e nel settore delle hypercar – quindi non solo Ferrari ma anche Lamborghini, Porsche, McLaren ecc. ci ha facilitato l’ingresso nel settore aerospaziale. 

 

Un’impresa che voglia entrare nel settore aerospaziale deve necessariamente considerarlo come un investimento a lungo termine quindi?

Michele Poggipolini: Esatto, bisogna essere consapevoli che i primi anni sono necessariamente difficili. Nel 2015 siamo tornati ai livelli di fatturato pre-2010, ma stavolta lavorando nell’aerospazio, che era un settore in crescita. Presto abbiamo cominciato a lavorare anche con Airbus Helicopters, da cui siamo certificati. A partire da quel momento abbiamo cominciato a ragionare su come offrire la qualità del servizio che già fornivamo a Leonardo, ma sulla scala maggiore richiesta da Airbus e Boeing. Ciò ci ha portato a brevettare un nuovo processo produttivo che ha messo in discussione completamente il modo in cui vengono prodotti i bulloni in aeronautica da oltre sessant’anni. Ancora oggi, ad esempio, le specifiche con cui Boeing certifica i propri partner sono le stesse degli anni Settanta. Anche le aziende molto grandi negli Stati Uniti sono ferme a quarant’anni fa a livello di processo e il contenuto di innovazione di questi grandi player globali è pressoché zero. L’unica realtà ad avere introdotto qualche progresso e ad aver realizzato nuovi stabilimenti produttivi è stata l’americana PCC (Precision Castparts Corp.), sostenuta dai capitali della Berkshire Hathaway di Warren Buffett, ma in ogni caso non si è trattato di un game changer nella partita. Non c’è stato neanche un avanzamento nell’efficienza, ma i loro numeri stanno continuando a crescere, lavorando con a Boeing e Airbus, perché sono pochissime le realtà che fanno queste cose. Nel 2016 presentammo un nuovo processo produttivo a Boeing e loro ci risposero: “è una bella idea, fatelo, poi forse veniamo”. E senza un contratto abbiamo investito dieci milioni di euro – il nostro fatturato di un anno – in questo settore. Era un rischio calcolato, sapevamo che a lungo termine avrebbe pagato. C’era bisogno di queste innovazioni e c’era bisogno anche che fossero realizzate in Europa, perché la supply chain americana nel tempo si è specializzata solo sulle richieste provenienti dagli Stati Uniti. Perciò ci siamo espansi: abbiamo acquisito 20.000 metri quadri di terreno a San Lazzaro di Savena, abbiamo edificato il primo terzo dei nuovi impianti e andremo avanti nei prossimi anni per lì produrre altre componenti specialistiche. Anche perché bisogna considerare che il settore è vasto: un conto è l’aviazione civile, un conto sono gli elicotteri, ma poi c’è il settore della difesa, che rappresenta tutta un’altra partita. L’aerospazio oggi nel nostro fatturato generale costituisce circa il 20%, su un 75% di aerospazio e difesa, e la parte civile avrà una nuova crescita dall’anno prossimo grazie agli investimenti che abbiamo fatto.

 

All’interno del contesto che ha delineato, quali sono i punti di forza di Poggipolini rispetto ai competitor? 

Michele Poggipolini: I nostri principali punti di forza sono la specializzazione su prodotti critici, i tempi di fornitura che riusciamo a garantire e la capacità di innovazione. L’innovazione è il fattore che cambia realmente il gioco ed è grazie alla nostra capacità di innovare che abbiamo acquisito il titolo di deep tech. Ad esempio, il nuovo processo di high speed hot forging che abbiamo brevettato ci ha portato a poter fare cento bulloni in titanio al minuto quando prima nello stesso tempo era possibile produrne uno. E questo, va da sé, cambia davvero tutto.

 

La vostra costituisce un’esperienza particolarmente significativa nel settore aerospaziale in una regione che non ha una tradizione estremamente significativa nella space economy, ma che negli ultimi anni ha deciso di puntare con decisione in questa direzione. Esistono delle caratteristiche, delle specificità del sistema emiliano-romagnolo che possono aiutare in questo senso? Come deve porsi un’impresa emiliano-romagnolo quando decide di operare nel mercato internazionale? 

Michele Poggipolini: L’ecosistema presente in Emilia-Romagna è molto importante nell’accesso al know-how, ai nuovi materiali, alle tecnologie innovative. Però serve che l’imprenditore si metta nell’ottica di entrare in questo settore con la volontà di prioritizzarlo, non bisogna pensare all’aerospace come a un mercato tra tanti. Solo così si produce innovazione. In ogni caso il mercato legato alla space economy è ancora molto piccolo in Europa. Sono gli Stati Uniti che guidano la crescita del settore spazio e sono le loro imprese private che fanno da traino. Negli ultimi dieci anni sono stati lanciati circa 7.000 satelliti, di cui circa 5.200 dagli Stati Uniti e circa 3.600 di questi dalla sola SpaceX di Elon Musk. L’Unione Europea – senza il Regno Unito – ne ha lanciati 200. Quindi per fondare il proprio business su questa filiera, tra i tempi di qualifica e i volumi che si prospettano, occorre essere pronti. E inoltre o si ha l’ambizione di essere un unicum, oppure si fa molta fatica. E in ogni caso bisogna avere l’ottica di aggredire il mercato americano, come abbiamo fatto noi acquisendo un’azienda vicino Houston. Oggi grazie a questo asset riusciamo a dialogare con tutti i player statunitensi, dall’aviazione civile, all’aerospazio alla difesa. Restando sul nostro caso, oggi Poggipolini realizza un 60% di fatturato coi fastner, ma anche un 40% con la meccanica di precisione per le trasmissioni a motore per l’aeronautica. Portiamo così la nostra mentalità, costruita anche grazie al lavoro decennale in Formula 1, in un mercato che sta crescendo e in situazioni dove il cliente ha bisogno di persone che ragionano come ragioniamo noi. I nostri principali clienti nel settore spazio sono infatti SpaceX, Blue Origin e Lockheed Martin.

 

Restiamo sugli Stati Uniti, che ruolo stanno giocando i giganti americani del settore? Le imprese emiliano-romagnole in che modo possono rapportarsi con loro?

Michele Poggipolini: Il ruolo degli Stati Uniti è fondamentale in questo settore, noi stessi abbiamo voluto portare la nostra tecnologia negli Stati Uniti e la nostra società target è cresciuta moltissimo nel settore dello spazio, che oggi rappresenta il 50% del suo fatturato. Nel nostro continente invece manca ancora una visione chiara, e i programmi spaziali europei procedono a rilento quando si tratta di pensare a progetti dalle grandi ambizioni, mentre negli Stati Uniti si discute in maniera serrata di colonizzare la Luna o perfino Marte. Elon Musk con SpaceX sta provando a mettere in piedi la supply chain necessaria per costruire una Starship – una navicella da quasi 130 metri di lunghezza – al giorno. Un aspetto fondamentale del rapporto tra l’Italia e gli Stati Uniti in campo aerospaziale è quello della tecnologia e dell’innovazione dei processi, e quello che vorrei fare è proprio portare altre aziende del nostro territorio a lavorare con le proprie tecnologie direttamente negli Stati Uniti. Un esempio è la startup modenese NOVAC, che sviluppa supercondensatori modellabili per alte performance e in grado di resistere a condizioni ambientali estreme come quelle spaziali, che era con noi a Houston. Sintetizzando, se si hanno ambizioni di crescita è necessario aggredire il mercato americano. 

 

Approfondiamo il vostro caso, dal punto di vista organizzativo come siete cambiati in questi quindici anni?

Michele Poggipolini: Intanto un primo dato: da cinquanta persone, perlopiù concentrate sui processi produttivi, siamo arrivati a duecentocinquanta. Abbiamo quindi dovuto strutturarci per supportare processi organizzativi più complessi e attualmente stiamo continuando a crescere in doppia cifra e ciò comporta la necessità di imporci un’organizzazione sempre più funzionale, evitando qualsiasi ingessatura. Dobbiamo mantenere una mentalità che ci consenta di ragionare come un’azienda più grande e inoltre dobbiamo attrarre talenti e middle manager, portando qui molte persone anche da fuori regione. Ad esempio, molti ingegneri dalla Campania e dal Piemonte, luoghi di insediamento di alcuni dei primi cluster aerospaziali italiani. Nel 2021 abbiamo inoltre acquisito una realtà strategica che si occupa di trasmissioni situata vicino a Varese, a pochi minuti dall’impianto principale di Leonardo Elicotteri. Questa acquisizione ci ha portato a essere presenti in uno dei cluster più importanti a livello nazionale e che può essere determinante anche in un’ottica internazionale, e un asset utile per attrarre talenti con l’ambizione di restare collegati ad una dimensione più internazionale.

 

A livello regionale come sta evolvendo la collaborazione fra i diversi soggetti attivi nella space economy? Come si pone Poggipolini su questo tema?

Michele Poggipolini: Nell’ultimo periodo stiamo cominciando a collaborare di più, anche grazie al Forum strategico aerospazio della Regione, che abbiamo fortemente sollecitato. Il merito principale è stato di Dallara, soprattutto per aver reso possibili i collegamenti con Axiom, ma uno degli obiettivi più complessivi è quello di creare una nuova filiera – un tema su cui c’è l’interesse anche di Confindustria Emilia Area Centro – che si focalizzi sulle tecnologie. Se guardiamo i cluster di Piemonte, Lombardia, Campania e Puglia, possiamo notare facilmente come abbiano tutti caratteristiche diverse e peculiari, perché ciascuna Regione è specializzata perlopiù su un singolo settore – elicotteri in Lombardia, velivoli e aerospazio in Piemonte, aerostrutture per velivoli civili in Puglia ecc. – mentre in Emilia-Romagna ci sono numerose filiere, ma tutte contraddistinte da un elevato grado di tecnologia avanzata. Una situazione che porta la nostra regione a poter ricoprire un ruolo nella parte tech dell’aerospazio. Anche grazie alla fondamentale presenza di università e centri di ricerca di altissimo livello, penso in particolare al ruolo del professor Paolo Tortora e del suo lavoro all’Università di Bologna e al CIRI Aerospace di Forlì, con cui stiamo collaborando in un progetto integrato per riuscire ad arrivare a un’offerta per i player di riferimento. Però il vero salto di qualità è riuscire a portare queste tecnologie verso i player che vogliono svilupparsi negli Stati Uniti. La collaborazione è dunque fondamentale in un’ottica di sviluppo complessivo del settore, ad esempio come Confindustria Emilia abbiamo varie imprese dell’automotive – dotate della certificazione ISO-9100 che possiedono alti livelli di expertise nella meccanica e nell’elettronica – con una percentuale del loro fatturato già costituito dal settore elicotteri e aerospazio. Un aspetto ancora poco raccontato perché l’aerospazio costituisce al momento un 5-10% del fatturato di questo tipo di soggetti, un mercato dunque tutt’altro che principale ma che potrebbe crescere, anche significativamente, se le loro tecnologie, competenze ed esperienze fossero condivise e messe in rete a livello di ecosistema territoriale.

 

Le attuali dinamiche che coinvolgono il settore automotive, spingeranno anche altre aziende emiliano-romagnole a mettere in campo operazioni di riconversione verso l’aerospazio?

Michele Poggipolini: Sì, ed è un tema che in sede di Confindustria Emilia abbiamo già affrontato e continueremo a trattare. La crescita della mobilità elettrica porta inevitabilmente le aziende coinvolte nella filiera del motore endotermico a dover capire cosa fare, in particolare riguardo la possibilità di trasferire le proprie tecnologie e competenze in altri settori. Non si tratterà soltanto dell’aeronautico o dell’aerospazio, nelle loro derivazioni tra utilizzo per la difesa e utilizzo civile, ma anche dei velivoli con vertical takeoff and landing, cioè i prototipi di droni per trasporto di merci e di persone, che potranno essere tutti settori validamente alternativi all’automotive. Sono tutti mercati in grande crescita, e nello specifico quello dei droni lo è forse ancora di più rispetto al complesso dell’aerospazio.

 

La Regione Emilia-Romagna ha intrapreso iniziative importanti in questo senso ma, a suo giudizio, cosa bisogna fare ancora in futuro per incentivare lo sviluppo di questo settore?

Michele Poggipolini: Ritengo che potrebbe essere utile arrivare a definire un vero e proprio cluster che riunisca tutti i player dell’aerospazio. Esiste già un altro cluster indipendente, perciò bisogna riorganizzare quanto fatto in passato e ripartire con una propria identificazione specifica. Se si visitano le grandi fiere dell’aerospazio, il padiglione 1, che è il padiglione Italia, presenta dodici/tredici imprese. Nove anni fa noi non avevamo il posto, lo abbiamo acquisito nel tempo. Lì ci sono i vari cluster regionali: gli stand della Regione Lazio, Campania, Piemonte, Puglia, Lombardia ecc. E nei cluster ci sono i player. E questo noi lo stiamo incentivando anche grazie al supporto della Regione che ha prodotto un bando da cui è nato il consorzio ANSER (AeroNautics and Space in Emilia-Romagna), dove le aziende del settore possono trovare rappresentatività a livello internazionale. Abbiamo viaggiato insieme e parlato molto con altri imprenditori esteri e se andiamo nelle fiere e ci presentiamo come Emilia-Romagna arriviamo con in vista un’etichetta che recita: Tecnopolo Manifattura di Bologna, supercomputer Leonardo, competenze nelle tecnologie e processi innovativi come il nostro high speed hot forging. Insomma, quello dell’Emilia-Romagna è un ottimo biglietto da visita per una prima impressione. E d’altra parte la contaminazione tra le aziende porta a innovazioni integrate: l’high speed hot forging nacque a partire da un’ispirazione venutami visitando la Marchesini. Ho pensato: facciamo una macchina non per ciascun codice di bullone, ma che produca i bulloni per un kit da aereo. Non potevamo vincere contro i competitor americani sfidandoli nel loro terreno tecnologico, perciò abbiamo trovato una soluzione alternativa. Un esempio da cui è possibile trarre anche un insegnamento generale per le imprese del nostro territorio: dobbiamo svilupparci innovando e diventando la soluzione ai problemi dei nostri clienti, non provando a imporre una forza economica di cui, di fronte ai colossi del settore, non disponiamo.

 

Che previsioni si possono fare per il futuro, sia dal punto di vista di Poggipolini, sia nei riguardi del contesto regionale nel suo complesso?

Michele Poggipolini: Per quanto riguarda Poggipolini, siamo all’inizio di un processo di progressiva scalabilità di quanto abbiamo sviluppato finora. Vogliamo crescere nel settore dell’aereonautica civile, in particolare lavorando sui fissaggi per Boeing e Airbus. Vogliamo far crescere, grazie alla nostra tecnologia, l’azienda che abbiamo negli Stati Uniti e vogliamo acquisire ulteriori aziende americane andando a gestire nuove categorie di prodotto. E, in prospettiva, vorremmo crescere anche nell’automotive attraverso la creazione di una business unit manifatturiera dedicata a questo scopo, perché l’high speed hot forging ci consente di portare la vite in titanio dalle hypercar alle macchine standard di Ferrari e di altre aziende che lavorano in ambito supercar, aiutando i clienti che abbiamo in Europa nella riduzione del peso delle vetture. Nel futuro ci sono criticità legate alle materie prime, ma le linee di crescita sono chiare: fastner, scalabilità della tecnologia in Italia per il mercato europeo nell’aerospazio e nell’automotive, crescita nel mercato nordamericano e portare il plant di Varese ad assemblare sistemi, non solo produrli. In generale, stiamo puntando a spostarci progressivamente dal prodotto al sistema. Per quanto riguarda l’ecosistema regionale lo scenario vincente è sempre quello del lavorare in partnership con le altre imprese del territorio. Solo così potremo aggredire grandi commesse per il settore dello spazio, che ci porterebbero a un reale salto di qualità nella nostra filiera. Servirebbe un’operazione coordinata a livello del Governo italiano che si aggiudicasse un appalto importante. Noi potremmo allora puntare a una commessa per Thales Alenia Space gestita da quattro/cinque realtà nostre complementari nella tecnologia, nell’ambito di un cluster territoriale, che siano in grado di creare un sistema completo che si presenti come un soggetto integrato sul mercato. Già avere un business case con un player strategico come può essere Thales sarebbe un risultato incredibile da raggiungere, perché nessun cluster territoriale ha mai vinto una grande commessa in questa maniera. Anche da questo esempio si capisce bene come gli imprenditori italiani per crescere e per vincere le sfide del settore aerospaziale debbano imparare a collaborare, adottando la mentalità dell’imprenditoria statunitense.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

Pandora Rivista esiste grazie a te. Sostienila!

Se pensi che questo e altri articoli di Pandora Rivista affrontino argomenti interessanti e propongano approfondimenti di qualità, forse potresti pensare di sostenere il nostro progetto, che esiste grazie ai suoi lettori e ai giovani redattori che lo animano. Il modo più semplice è abbonarsi alla rivista cartacea e ai contenuti online Pandora+, è anche possibile regalare l’abbonamento. Grazie!

Abbonati ora

Seguici