Recensione a: Richard Baldwin, Rivoluzione globotica. Globalizzazione, robotica e futuro del lavoro, il Mulino, Bologna 2020, pp. 320, 22 euro (scheda libro)
Scritto da Luca Picotti
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Nel suo libro La grande convergenza. Tecnologia informatica, web e nuova globalizzazione (il Mulino 2018) l’economista Richard Baldwin, professore di International Economics alla Graduate School di Ginevra, descriveva il percorso della globalizzazione come una «estinzione a cascata dei tre vincoli»: il primo vincolo a crollare, verso la prima metà dell’Ottocento e grazie all’utilizzo della macchina a vapore per l’energia, fu quello dei costi di trasporto per lo scambio di beni, mentre il secondo fu quello dei costi della comunicazione, caduti negli anni Novanta con la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). Il terzo, concernente il costo dei contatti personali diretti e non ancora estintosi, potrebbe invece crollare – così concludeva l’autore – con lo sviluppo della tele-presenza e della tele-robotica, con la conseguente separazione fisica delle prestazioni di lavoro dai lavoratori. Rimaneva quindi l’incognita sugli sviluppi di questi strumenti e sull’effettiva possibilità di un mercato in cui i lavoratori di un paese potessero prestare i propri servizi in un altro paese o, per fare un esempio concreto, «ingegneri giapponesi [potessero] riparare beni strumentali in Sudafrica controllando sofisticati robot da Tokyo».
Sul tema della tele-robotica e, più in generale, delle innovazioni tecnologiche nel campo dell’automazione e dell’intelligenza artificiale, Baldwin è tornato di recente con il libro Rivoluzione globotica. Globalizzazione, robotica e futuro del lavoro (il Mulino 2020). Il volume mette a fuoco le due principali sfide che caratterizzano il crollo del terzo vincolo di cui sopra: da un lato la concorrenza a basso costo dei cosiddetti tele-migranti (IR, intelligenza remota), lavoratori freelance capaci grazie agli sviluppi nel campo delle telecomunicazioni di prestare servizi rimanendo nel loro paese d’origine, dall’altro la penetrazione dell’intelligenza artificiale (IA) nel settore dei servizi. «Una forma di IA chiamata machine learning (“apprendimento automatico”) ha dotato i computer di capacità inimmaginabili fino a qualche tempo fa: leggere, scrivere, parlare e riconoscere sottili schemi logici. A quanto pare alcune di queste nuove abilità sono utili negli uffici e ciò rende i robot-colletti bianchi […] dei concorrenti formidabili per alcune mansioni. La combinazione di questa nuova forma di globalizzazione e di questa nuova forma di robotica – che chiamiamo “globotica” – è davvero inedita» (p.11).
Ogni grande trasformazione, per usare il lessico di Karl Polanyi, comporta inevitabilmente strappi più o meno dolorosi nel tessuto sociale, dovuti allo smarrimento che segue ineluttabile ogni qualvolta avvenga una dissoluzione dell’ordine tradizionale con le sue coordinate e le sue gerarchie. Baldwin evidenzia come la progressione avvenga in quattro fasi: sinteticamente, la tecnologia produce una trasformazione economica, la quale produce a sua volta uno sconvolgimento economico-sociale, cui segue una reazione che a sua volta porta ad una soluzione. Questa cornice concettuale risente del pensiero di Émile Durkheim, secondo cui l’ordine sociale frena il caos individuale, motivo per cui le grandi trasformazioni, capaci di disintegrare il primo, favoriscono come reazione il dilagare del secondo. Ad esempio, i radicali mutamenti che portarono dalla campagna alla fabbrica, dal rurale all’urbano, dalla terra al capitale – uniti ad un aumento delle disuguaglianze – furono così traumatici che le tensioni in seno alla società aprirono la strada ai totalitarismi.
Un altro esempio, più recente, è il voto di protesta a favore di Trump o della Brexit nel 2016: anche in questo caso è possibile cogliere, tra le altre, cause economico-sociali radicate nei profondi cambiamenti che hanno interessato le società occidentali nella transizione verso l’economia della conoscenza, tra cui le delocalizzazioni, il passaggio dalla fabbrica agli uffici con il conseguente calo dell’occupazione del settore secondario, l’automazione di alcune mansioni manuali e la competizione di Cina e altri paesi emergenti. Una reazione tendenzialmente modesta, non paragonabile a quella della prima metà del XX secolo, ma comunque utile per comprendere l’impatto delle grandi trasformazioni sulla società.
Ora, con i recenti sviluppi nel campo dell’intelligenza artificiale e della globotica, potrebbero presentarsi nuove sfide, capaci di mettere sotto pressione posti di lavoro che sembravano protetti e di esacerbare alcune tendenze di disoccupazione tecnologica già in atto.
Baldwin specifica, per allontanarsi dalle posizioni tecno-pessimistiche, che per ora l’innovazione tecnologica è sempre stata in grado di ricollocare più lavoratori di quanti ne tendeva a spiazzare. Il problema questa volta però ha un duplice aspetto: da un lato, vi è una più marcata discrasia tra la velocità dello spiazzamento – maggiore rispetto ai tempi passati a causa della crescita esponenziale (legge di Moore) – e la capacità delle istituzioni politiche e del mercato di ri-organizzarsi e ri-allocare la forza di lavoro; dall’altro le enormi potenzialità dell’intelligenza artificiale e della robotica non intaccano più solo le mansioni manuali, ma anche alcuni segmenti di quelle cognitive; se era quindi abbastanza praticabile per un contadino passare in fabbrica e poi per un operaio passare al ruolo di commesso, ora i nuovi sviluppi tecnologici potrebbero accentuare ulteriormente la polarizzazione tra lavoratori ad alta qualifica e lavoratori a bassa qualifica, permettendo solo ai primi di mantenere le proprie posizioni e rendendo più difficile per i secondi re-inventarsi.
I due aspetti su cui si focalizza Baldwin, e che caratterizzano la globotica, sono i tele-migranti e l’intelligenza artificiale.
I cosiddetti tele-migranti sono lavoratori stranieri freelance che migrano in senso virtuale, cioè lavorano per un’impresa estera rimanendo però nel paese d’origine e, soprattutto, venendo pagati con le retribuzioni correnti dei loro paesi, decisamente più basse di quelle statunitensi o europee. «Le basse retribuzioni non sono l’unico vantaggio offerto dai freelance stranieri, giacché consentono di accedere a un bacino molto più ampio e vario. Inoltre, l’emergere di nuove piattaforme di contatto fra domanda e offerta sta rendendo facile trovare, ingaggiare, gestire, pagare e licenziare i telemigranti» (p.137). Tra queste piattaforme, basti menzionare Upwork, che nel 2017 ha avuto 14 milioni di utenti in oltre 100 paesi, con un volume di guadagni per i freelance superiore a un miliardo di dollari.
I maggiori fornitori di freelance online risultano, secondo le ricerche del professore di Oxford Vili Lehdonvirta, l’India, il Bangladesh, il Pakistan e le Filippine. Questo mercato si sta sviluppando grazie soprattutto a due fattori: la traduzione automatica, sempre più efficace e capace di favorire la comunicazione in un inglese sufficiente per le esigenze degli affari internazionali, e l’esplosione dei talenti – pensiamo alla Cina che produce ogni anno 8 milioni di laureati, molti dei quali, secondo la ricercatrice di Oxford Katherine Stapleton, finiscono sottoccupati. Inoltre, gli sviluppi nelle tecnologie della realtà aumentata, della realtà virtuale e della tele-robotica, in grado di favorire l’incontro a distanza, sembrano aprire nuove frontiere per il mercato dei freelance online.
Vi sono certamente ancora numerosi interrogativi sulla tele-presenza, come ad esempio la questione dell’eventuale tasso di delocalizzabilità virtuale: secondo gli studi del professore di Princeton Alan Blinder, sono particolarmente esposti i settori professionale, scientifico e tecnico, quello finanziario, assicurativo e della comunicazione. Come si può vedere, lo studio è molto sommario e non sono presenti altre ricerche rilevanti, ma il trend in continuo aumento dell’utilizzo dei freelance online unito alle migliorie nel campo delle telecomunicazioni fanno pensare che la tele-presenza assumerà un ruolo via via più importante.
Nell’analisi sull’intelligenza artificiale, Baldwin si focalizza sulla penetrazione di quest’ultima nel settore dei servizi: dai programmi più sofisticati, come i cosiddetti robot-avvocati capaci di ri-ordinare immense quantità di sentenze e documenti su determinati casi in modo da trovare una strategia giudiziale ottimale, agli RPA (Robotic Process Automation), potenziali concorrenti della fascia di lavoratori con competenze medio-basse. In particolare, «questo tipo di IA mira a tagliare posti di lavoro integrati nei processi di back office, assai comuni in finanza, contabilità, gestione delle filiere di approvvigionamento, servizi ai clienti e risorse umane»; la convenienza è indubbia: «In primo luogo, i robot RPA sono molto più economici degli esseri umani. Secondo l’Institute for Robotic Process Automation, un robot-software RPA costa un quinto dei lavoratori locali e un terzo dei lavoratori di back-office residenti all’esterno, ad esempio in India. In secondo luogo, il lavoro è più coerente e lascia una traccia digitale di modo che i rendiconti siano più rapidi e sicuri per motivi di conformità normativa. In terzo luogo, si può accrescere e ridurre rapidamente la scala dei processi per far fronte, ad esempio, alle variazioni stagionali del flusso di documenti cartacei; non è necessario assumere e formare lavoratori temporanei: basta intensificare leggermente l’esecuzione del software» (p.169).
Questi sviluppi avranno un impatto sempre più forte dal punto di vista socio-economico. Sono numerosissimi gli studi sulle proiezioni lavorative e di disoccupazione tecnologica, da quello di Frey e Osborne a quello del McKinsey; se nessuna stima è certa e se i numeri relativi alle professioni automatizzabili divergono a seconda della metodologia utilizzata, la maggior parte delle ricerche converge invece sulle tipologie di attività che rimarranno probabilmente protette: in sostanza, quelle che evidenziano peculiarità umane, cioè cura, condivisione, comprensione, creatività, empatia, attitudini all’innovazione e alla gestione.
La sfida però si giocherà soprattutto sul piano della rapidità nel far fronte allo spiazzamento repentino dovuto alle innovazioni della globotica, in modo da tutelare i lavoratori durante la transizione e di garantire una ri-collocazione in tempi brevi. Leggi e regolamenti potranno eventualmente rallentare il progresso tecnologico ma difficilmente lo fermeranno. Per questo motivo, sostiene Baldwin, risulta necessario adeguarvisi. L’autore guarda addirittura con ottimismo al futuro: i globot, scrive, ci renderanno più ricchi abbassando i costi, mentre si valorizzerà il vantaggio di essere umani in una dimensione più locale dove il faccia a faccia risulterà prezioso.
Tralasciando questo sguardo ottimistico sulla valorizzazione dell’umano, le questioni veramente cruciali emergono chiare dal volume: in primo luogo, bisognerà capire se, come sempre è stato nella storia, la tecnologia creerà più posti di lavoro rispetto a quelli che sostituirà, o se questa volta, con la penetrazione della IA nell’ambito cognitivo, sarà diverso; in secondo luogo, sarà necessario confrontarsi con le reazioni che potrebbero seguire ad una concorrenza a basso costo dei freelance stranieri e a zero costo dei robot; infine, a prescindere dalle direzioni che il progresso tecnologico prenderà, si rivelerà fondamentale gestire la transizione della globotica per far fronte alla discrasia tra la velocità negli sviluppi di quest’ultima e il normale tempo di reazione delle istituzioni: si dovrà insomma, per quanto difficile, coglierla non a posteriori, ma adesso, durante la sua silenziosa penetrazione nelle nostre vite.
Il merito del libro di Richard Baldwin è quello di aver portato alla luce tutte queste importanti issues, tracciando una fotografia degli orizzonti prossimi venturi che deve servirci come monito per agire non domani, ma hic et nunc.