Recensione a: Christiana Figueres e Tom Rivett-Carnac, Scegliere il futuro. Affrontare la crisi climatica con ostinato ottimismo, Edizioni Tlon, Roma 2021, pp. 216, 18 euro (scheda libro)
Scritto da Sara Chinaglia
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Gli autori, Figueres e Rivett-Carnacc sono molto diversi, forse ai poli opposti. Una nata nell’età olocenica, l’altro nell’antropocene. Una nata in Costa Rica, Paese all’avanguardia su tematiche legate alla sostenibilità, l’altro, nato nel Regno Unito, culla della rivoluzione industriale. Una proveniente da una famiglia fortemente politicizzata, figlia di immigrati e del tre volte presidente della Costa Rica che ha contribuito a creare una delle politiche ambientali più lungimiranti al mondo. L’altro che andava alla ricerca di petrolio con il padre geologo. Ed è in questa diversità che emerge un prodotto con una grande potenza, che racchiude in questa diversità la competenza dei due autori. Entrambi, infatti, hanno partecipato alla stesura dell’Accordo di Parigi, Figueres come diplomatica e Rivett-Carnacc come stratega.
Dopo una introduzione e un capitolo di apertura che riassumono brevemente la crisi climatica, il libro si apre con due capitoli antagonisti. Da una parte il mondo che stiamo creando, e dall’altra il mondo che potremo creare.
Il primo, è, forse, il più inquietante del libro. La prima tentazione è quella di saltarlo a piè pari, e cercare conforto nel ben più tranquillo mondo ideale che dovremmo creare. Accettare la possibilità che il mondo sia effettivamente come descritto in questo capitolo è altamente disturbante, sebbene pericolosamente vicino e reale. Il crescendo di emozioni negative viene raggiunto subito, lasciando al lettore il restante del libro per riflettere su quanto letto e valutare se le soluzioni e gli scenari alternativi proposti siano troppo impegnativi o se siano effettivamente necessari per evitare la distruzione e desolazione presentata. Al termine di questa sezione, il lettore più riflessivo potrebbe iniziare a porsi domande sull’inutilità delle nostre scelte di consumo quotidiane, sulla futilità della ricerca del tanto, altri potrebbero, spaventati, saltare il capitolo o, peggio, chiudere il libro; altri, ancora, potrebbero provare un crescente sentimento di rabbia. Qualunque essa sia, questo capitolo lascia traccia.
Le sensazioni di angoscia e impotenza consentono di risvegliare paure che molti mettono a tacere, troppo occupati nel vivere la vita frenetica che il consumismo, figlio primogenito del capitalismo, ci ha insegnato a vivere. Non c’è tempo per informarsi e leggere, per valutare l’attendibilità delle fonti e provare a comprendere temi complessi, non ci sono abbastanza soldi per cercare alternative sostenibili ai propri consumi, non c’è abbastanza tempo per viaggiare in modo sostenibile. Emergono inevitabilmente i pericoli di una vita vissuta all’insegna della fretta e dell’usa e getta.
Il capitolo che segue racconta, invece, il mondo che dovremo creare. Forse complice l’angoscia lasciata dal precedente capitolo, questo è, al contrario, una boccata d’aria, un abbraccio confortante, una mano tesa a dare aiuto. Lo scenario qui proposto prova ad abbracciare tutti gli ambiti di vita, dalla produzione di cibo agli spostamenti, dai viaggi alle soluzioni abitative. Tutto è progettato per essere in sintonia con le leggi della natura. Si badi bene, lo scenario proposto non è distopico: non propone, infatti, un futuro irrealizzabile, assurdo e inverosimile; bensì mostra come, realisticamente, un futuro potrebbe essere. In questo scenario il cambiamento climatico non è risolto, le emissioni non si sono azzerate. Il riscaldamento globale esiste ancora sebbene contenuto entro gli 1,5C°. La differenza è fatta dagli sforzi globali, dagli investimenti che sono stati dirottati verso la strada giusta e dalla popolazione che ha scelto di prendere parte attivamente e unitamente alla battaglia contro l’estinzione della specie umana. Il carattere realistico di questo capitolo lo rende concreto, lontano da realtà romanzate.
Uno spunto di riflessione interessante emerge dalla seguente citazione: «salvare le isole del Pacifico dall’innalzamento del livello del mare quest’anno, può significare salvare Rotterdam tra cinque anni». Proprio la dinamica della percezione del problema, della sua globalità, è uno scoglio che ad oggi, nel 2021, non abbiamo ancora superato. Non è ancora stato interiorizzato che scegliere di acquistare un prodotto sottocosto proveniente da lontano non evita il problema, lo fomenta. Scegliere di vivere e consumare in modo sostenibile non fa bene solo alla città in cui si risiede, ma fa ricadere gli effetti positivi sull’intera umanità.
La seconda parte del libro è volta ad un approccio più pratico. Dopo aver presentato i possibili scenari cui siamo destinati se scegliamo l’inazione, in un caso, se scegliamo di agire, nell’altro, il focus degli autori si sposta su quali elementi sono necessari per avviare un cambiamento. Questi sono riassunti in un approccio mentale composto da tre elementi: ottimismo ostinato, abbondanza infinita e rigenerazione radicale, cui viene dedicato un capitolo ciascuno.
Il concetto di ottimismo, qui, viene analizzato nella sfera più profonda e spirituale, partendo da un riferimento a Siddharta Gautama e di come egli apprese l’ottimismo. Il Buddha si rese conto che una volta chiaro l’obiettivo finale l’Illuminazione arriva, e permette di guidare il percorso verso il suo raggiungimento. Questo espediente viene utilizzato per fare un parallelismo interessante e riuscito (sebbene con il rischio di poter essere additato come eccessivo e “profano”) con l’atteggiamento verso il cambiamento climatico. Il senso di impotenza e sfiducia non solo è rappresentato come una strategia fallimentare, ma anche irresponsabile. Tale sentimento, infatti, porta all’inazione, il nemico principale della lotta contro il cambiamento climatico. Gli autori sottolineano che è solo con l’adeguata percezione dell’impatto delle nostre azioni e della nostra determinazione che potremmo scegliere di percorrere il cammino più difficile, la strada meno battuta, in salita, apparentemente impossibile, ma che porterà, in futuro, alla cima di un monte meraviglioso. L’aspetto interessante di questo capitolo è il trovarvi forti elementi di realtà, che mostrano la fallibilità dell’essere umano, anche del più potente. A partire dal momento in cui la stessa autrice ammise di non essere speranzosa circa la nascita di un accordo funzionante sul clima, perlomeno non durante la sua vita; fino ai tentativi fallimentari di trovare un accordo tra i partecipanti all’accordo di Parigi, che, nonostante dichiarassero di volere un futuro migliore, bastava «spostarsi anche di poco rispetto a quell’obiettivo fondamentale e tutto diventava oggetto di una negoziazione infinita». Da queste righe educate, appare chiara in realtà la sensazione di stanchezza che deriva dal dover mettere d’accordo leader che, evidentemente, non avevano capito (e, purtroppo, continuano a non capire) la gravità e l’urgenza della situazione.
Il concetto di abbondanza estrema viene, invece, approcciato trattando l’atteggiamento dell’uomo verso l’estrema abbondanza della natura. Mancando la percezione di quanto in realtà abbiamo, siamo portati ad accaparrarci quante più risorse possibile con la paura che queste finiscano e che per noi non ne restino abbastanza. Gli esempi vanno dalla più semplice “corsa al sedile” quando si sale su un mezzo di trasporto (mossa dalla paura che qualcun altro possa “rubarci” il posto a sedere), fino all’estrazione eccessiva di acqua a Tucson, città in cui cadono solo 28 centimetri di pioggia l’anno. In questa città, la percezione di scarsità ha spinto verso un sovra pompaggio che ha portato la falda a scendere di oltre 91 metri. Se l’avidità dell’uomo si fosse fermata per un istante, si sarebbe accorta che i 28 centimetri di acqua che cadono su Tucson ogni anno, sono in realtà di più rispetto alla quantità di acqua pubblica che consuma ogni anno. Da qui, nasce il dibattito su quanto i Paesi, soprattutto in via di sviluppo, neghino il proprio impegno a ridurre le proprie emissioni, per raggiungere un progresso precedentemente concesso ai Paesi industrializzati, aggrappandosi all’ingiustizia che non permetterebbe loro di poter raggiungere tassi di crescita elevati senza vincoli alcuni, come fecero i concorrenti in passato. Ma questo non è un quiz, non è un gioco televisivo o una gara. Stiamo parlando del nostro pianeta, la crescita economica non può e non deve essere la prima e ultima priorità. Gli autori sottolineano che «per praticare l’abbondanza infinita bisogna distogliere le nostre menti dalla scarsità percepita, e volgerle verso ciò che possiamo collettivamente rendere abbondante».
Infine, viene esposto il concetto di rigenerazione radicale. Il capitolo comincia con una conversazione tra due giovani che gli autori ascoltarono. Uno dei due disse all’altro che se ne sarebbe andato altrove, alla ricerca di qualcosa migliore. In effetti, la mentalità umana non è rigenerativa, piuttosto tende a fuggire. Quando, dove ci troviamo, non abbiamo più ciò di cui abbiamo bisogno, anziché crearlo, cerchiamo altrove. E questo modus operandi è ciò che è avvenuto anche con le risorse naturali. Il problema è che, abbiamo inconsapevolmente fatto eccessivo affidamento sulla auto-capacità rigenerativa del nostro pianeta ma ora, con la convergenza di più elementi di crisi (perdita della biodiversità, cambiamento climatico, ecc.) ciò non è più possibile, e necessitiamo di azioni e interventi umani volti alla rinaturalizzazione.
Per concludere, nell’ultima sezione del libro viene esposto un elenco delle azioni che dovremmo compiere per contrastare la crisi climatica. Sorprendentemente queste azioni sono solo dieci. Dieci come i comandamenti, il numero perfetto secondo Pitagora, il numero che possiamo contare solo con le dite delle nostre mani. Un elenco tanto breve quanto immenso. L’importanza di questo capitolo è proprio nel far capire al lettore quanto il senso di impotenza percepito dalla popolazione sia una percezione completamente sbagliata. Con solo dieci azioni il corso del mondo può cambiare davvero.
Scegliere il futuro mostra evidenti spunti di riflessione molto potenti, al contempo adatti ad un pubblico di “non addetti ai lavori”. Diverso potrebbe essere, invece, l’effetto su un pubblico più esperto o residente in nazioni cosiddette in via di sviluppo. Nello scenario ottimista, ad esempio, sembrano talvolta emergere posizioni e proposte molto delicate, a tratti anche elitarie, che toccano ambiti come il tracciamento tramite geolocalizzazione o il lavoro da casa, o la possibilità di effettuare viaggi lunghi grazie al telelavoro o all’accumulo di ferie. La realtà, però, sappiamo bene non funzionare proprio così. Esistono popolazioni nelle quali il telelavoro non è ancora regolamentato, o mestieri che non lo permettono. Ad esempio, per il settore agricolo, che ha un ruolo ancora predominante nell’economia dei Paesi in via di sviluppo. Emerge così che il bacino di lettori cui è destinato questo libro è prevalentemente un pubblico che vive in Paesi sviluppati, poiché non vengono considerate quelle dimensioni sociali di povertà che rappresentano, purtroppo, ancora troppe persone. Basti pensare che, come giustamente è citato nel libro, solo il 6% della popolazione mondiale è salita su un aereo.
In generale, inoltre, non viene fatta una critica verso il ruolo della politica e delle istituzioni. Chi ha approfondito il tema dei trattati internazionali si sarà sicuramente imbattuto nei numerosi studi volti a dimostrare perché il Protocollo di Kyoto e l’Accordo di Parigi siano, in realtà, dei meccanismi fallimentari, (talune volte descritti come “facciate politiche”) densi di nodi e di problematiche che rendono molto difficile il loro reale funzionamento. Primo fra tutti il mercato dei crediti di carbonio, che se sulla carta si presta bene alla creazione di un mercato finanziario “verde”, nella realtà lancia i Paesi più poveri nella gabbia dei leoni, costringendoli ad accettare condizioni sfavorevoli da attori più potenti alla ricerca di crediti facili e intenzionati ad attuare strategie di greenwashing. È anche da considerare che, sicuramente, questo aspetto non è il core del libro, ed è da preferire un tema non trattato piuttosto che citato con pressapochismo. Per concludere, il libro qui presentato è fortemente consigliato e utile per chi si sta approcciando ora al tema del cambiamento climatico, e nutre un senso di smarrimento e di spavento, complici le numerose notizie di cronaca, documentari e film apocalittici e una inesistente o insufficiente educazione a livello professionale e scolastico. Per chi, invece, è pratico del tema, il libro fornirà ugualmente molti spunti di riflessione, soprattutto nella parte finale, dove vengono elencati numerosi materiali di approfondimento.