Ipse dixit. The Putin Interviews e il bias di conferma
- 16 Ottobre 2017

Ipse dixit. The Putin Interviews e il bias di conferma

Scritto da Pietro Figuera

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The Putin Interviews ha riproposto uno dei duelli più sintomatici dell’era dei media, quello tra il giornalista e il leader politico. Un binomio che, nella sua asimmetricità, non può essere certo declinato in molti modi.

Oliver Stone in realtà giornalista non è, ed ha avuto modo di mostrarlo abbondantemente nelle quattro ore di intervista: scarsamente preparato, pronto non solo ad essere accondiscendente verso il suo interlocutore, ma anche in certi casi a farsi dettare le domande da lui. Non proprio una condotta da premio Pulitzer.

A sua discolpa, tuttavia, può essere detto molto. L’intervistato non era un uomo qualsiasi, ma il leader che per quattro anni consecutivi Forbes ha incoronato come il più potente del mondo. E non certo celebre per il suo spirito democratico né per i suoi buoni rapporti coi giornalisti.

Tuttavia, più che un timore reverenziale, di cui non si è vista particolare traccia, a bloccare l’inchiesta di Stone è stata una valutazione di opportunità. Andare troppo in là con le domande avrebbe significato non ottenere risposte, oppure mandare a monte l’intero progetto. Forse, nei tagli che non ci è stato concesso vedere, rientrava qualche battuta più spinosa. Ma più probabilmente, ogni domanda di Stone è stata accuratamente concordata con Putin e il suo staff.

Zero sorprese quindi? Nì. Certo, chi si aspettava una riedizione del confronto Frost/Nixon sarà rimasto deluso (ma sarà stato anche ingenuo). Putin non è stato praticamente mai messo alle strette, tranne forse (ma in modo quasi goliardico) nell’insistente domanda su Bernie Sanders, e nei minuti finali dell’intervista, in cui Stone incalza Putin sulla questione dei mandati presidenziali e della logorante longevità del suo potere.

Per il resto il presidente russo ha ricevuto diversi assist, alcuni dei quali apparentemente non richiesti: nella ricostruzione della crisi ucraina, Stone ha seguito quasi pedissequamente il copione di Mosca, tirando in ballo il ruolo delle ONG e addirittura il mitologico George Soros. Parole che, se fossero state pronunciate solo dalla controparte russa, non avrebbero acquisito la stessa plausibilità.

Tuttavia, l’atteggiamento compiacente di Stone ha avuto pure i suoi risultati. Come qualcuno ha già fatto notare[1], infatti, il clima disteso dell’intervista, unito alla curiosità a tratti infantile del regista americano, ha favorito un rilassamento dello stesso Putin, che ha quindi avuto la possibilità di sbottonarsi e di far intravedere qualche barlume del suo carattere. Nel bene e nel male. Vengono così fuori un paio di battute poco sensibili sulle donne e sugli omosessuali, ma anche qualche risata probabilmente genuina. Un lusso che a pochi altri intervistatori avrebbe concesso.

 

La versione di Putin e l’intento di Stone

Il bilancio, per Putin e la sua figura, è senz’altro positivo. Tant’è vero che il documentario verrà mandato in onda integralmente sulle TV russe.

La sua versione è credibile, coerente, persino confortevole nonostante le sue conclusioni geopolitiche siano tutt’altro che incoraggianti. Lo stato delle relazioni russo-americane, il vero focus delle quattro ore di colloquio, è descritto dal presidente russo in modo ben aderente alla realtà. Condivisibili anche le opinioni di Putin relative alle responsabilità (e alle vere intenzioni) della NATO, la cui parabola storica degli ultimi venti anni non lascia molto spazio all’interpretazione.

Putin cade su altri campi. Diritti civili, democrazia, caso Snowden, annessione della Crimea e guerra all’ISIS in Siria: temi certamente complessi, in cui gli omissis presidenziali risultano determinanti. Ma sono cadute che non fanno rumore. Non solo perché l’impassibilità e la prontezza delle sue risposte non palesano alcuna incertezza o intento menzognero, ma anche e soprattutto perché ricalcano una propaganda già diffusa e rilanciata su scala globale.

Per i russi, dunque, dall’intervista non verrà fuori nulla di nuovo. Tutti i concetti espressi dal loro presidente rientrano da tempo nella quotidianità della loro informazione, della loro visione del mondo.

In Europa occidentale, e in special modo in Italia, gli effetti probabilmente saranno un po’ meno scontati. Ma se da un lato la versione di Putin smentisce buona parte dell’informazione ufficiale, pigramente distesa su posizioni filo atlantiche, dall’altro vi è una crescente fetta di opinione pubblica che – se non legge quotidianamente Sputnik News – è quantomeno influenzata politicamente dalla propria simpatia per Putin. O dall’immagine (spesso inconsapevolmente caricaturale) che ne ha di lui. L’intervista rafforzerà le loro convinzioni, e la condiscendenza di Stone non sarà per loro che un’ulteriore prova delle ragioni di Mosca.

Un trionfo del bias di conferma, dunque. Ovvero di quel corto circuito cognitivo che ci ingabbia nelle nostre convinzioni, a causa della pigrizia o della paura di uscire dagli schemi, e che ci porta sempre alle stesse conclusioni. Un po’ ciò che accade quando si frequentano sempre gli stessi amici, gli stessi gruppi politici o religiosi e si seguono, appunto, sempre gli stessi media. Una fallacia rischiosa, perché appiattisce il pensiero e l’analisi critica.

Ma l’intento di Stone era probabilmente un altro, perché il suo pubblico di riferimento non è quello europeo, né tantomeno è formato dai follower di Russia Today (nella quale, per la cronaca, lavora il figlio). Il regista americano si rivolge chiaramente ai suoi concittadini, in gran parte fuorviati da una concezione distorta del loro grande rivale geopolitico. Decenni di guerra fredda, uniti alla mai sopita ostilità politico-mediatica di Washington e ad una conoscenza approssimativa della storia russa, non agevolano di certo il compito di chi voglia introdurre una versione diversa degli eventi (ovvero il minimo sindacale in un sistema informativo pluralista).

E allora che ben venga l’impegno di Stone, pur se viziato da un’eccessiva bonarietà nei confronti di Putin. Una doccia fredda che può smuovere certe convinzioni passivamente radicate, e addirittura aprire qualche spiraglio di autocritica all’interno dell’unica superpotenza rimasta.


[1] https://www.wired.it/attualita/politica/2017/10/02/oliver-stone-al-cremlino/

Scritto da
Pietro Figuera

Nato nel 1989, si è diplomato al Liceo classico “Gulli e Pennisi” di Acireale. Dopo gli studi triennali condotti presso l’Università degli Studi di Catania, ha conseguito la laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. Attualmente collabora con diverse testate tra cui Limes ed è socio del Limes Club Bologna. Specializzato in Russia e Mediterraneo, è autore del libro "La Russia nel Mediterraneo. Ambizioni, limiti, opportunità" e coautore dell’ebook "La Russia di Sochi 2014: Giochi olimpici, Caucaso e geopolitica".

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