Scritto da Francesco Nasi
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Il Novecento è considerato, almeno dal fortunatissimo saggio di Hobsbawm, il “breve” secolo dei grandi conflitti ideologici: democrazie contro nazifascismo e democrazie contro comunismo. Raramente si tende però ad evidenziare, nell’analisi storiografica e politica, come esso sia anche il secolo che vede l’esaurimento e lo svuotamento delle stesse grandi ideologie, accompagnate nel loro declino dalla fine delle grandi narrazioni. [1] Allargando la prospettiva di Lyotard, le grandi narrazioni sono quei meta-racconti, quei complessi teorici e filosofici che hanno influenzato gli individui occidentali per secoli, andando a determinarne i valori e gli atteggiamenti di vita: religioni, ideologie politiche, miti nazionali.
Facendo un salto indietro nel tempo, potremmo interpretare queste trasformazioni come il farsi realtà della profezia di Nietzsche sulla “morte di Dio”. Nelle pagine nicciane, pubblicate ne La gaia scienza nel 1882, Dio non è soltanto il Padre dei cristiani, quanto tutto ciò che simbolicamente rappresenta la figura paterna: ordine, stabilità, identità e, soprattutto, Legge, proprio ciò che era fornito dalle grandi narrazioni. Nella prospettiva di Nietzsche, Dio raffigura tutte le certezze che gli uomini hanno tentato di costruire per venire meno al panta rei della vita, incluse convinzioni metafisiche e istituzioni politiche.
Potremmo quindi definire il Novecento non tanto il secolo breve delle ideologie, quanto, dal 1882 di Nietzsche fino ad oggi, il lungo secolo di Edipo. Proprio come lo sventurato eroe della tragedia greca si era macchiato di parricidio, uccidendo inconsapevolmente il padre, così l’Occidente si è metaforicamente sbarazzato di tutti quei simboli che per secoli, se non millenni, erano stati i suoi padri, i suoi punti di riferimento e i suoi “centri”, per utilizzare una formula di Derrida.[2]
Per non appesantire l’argomentazione si riporteranno qui soltanto tre esempi che sono stati (e per un minor numero di persone sono ancora) sostanza della vita politica, culturale e valoriale degli individui: religioni, partiti e Stato. La prima “vittima” di questo parricidio simbolico è stata infatti la religione. La secolarizzazione è avanzata con costanza apparentemente irrefrenabile per tutto il Novecento. Ha modificato gli usi e i costumi di tutti i paesi dell’Occidente, in particolare quelli del Nord Europa. Seppur toccati in maniera più tenue, non sono stati esclusi paesi tradizionalmente più credenti (e cattolici) come la Spagna o l’Italia.[3]
I partiti, novelli principi che per la prima volta permettono a milioni di individui di partecipare alla formazione della politica nazionale, con il tramonto del secolo sembrano scomparire dalla vita della grande maggioranza delle persone. A risentirne maggiormente non possono che essere i partiti di sinistra, in particolare quelli della tradizione marxista-leninista, che dopo anni di protagonismo svaniscono quasi completamente dall’agone politico, dall’immaginario collettivo e dalla quotidianità degli individui. Come ha scritto il professor Piero Ignazi, rimangono potenti nelle loro cariche parlamentari, ma completamente esautorati della loro legittimità e della loro capacità di influenzare o determinare le identità di quelle che un tempo erano le “loro” masse.[4]
Una sorte simile, seppur più tenue, sembra toccare a quello che nell’età contemporanea è forse stato il simbolo paterno più pervasivo e decisivo: lo Stato nazionale. La sua crisi insieme alla messa in discussione della sua sovranità sono da anni al centro del dibattito pubblico e accademico. Sempre più debole e fragile, sempre più impotente di fronte alla complessità della governance globale e alle contraddizioni della globalizzazione, alcuni autori sono perfino arrivati a parlare dell’hollowing out of the State, ovvero dello “svuotamento dello Stato”.[5] Quelle che un tempo erano sue esclusive competenze sono spesso state appaltate, se non completamente cedute, ad attori privati e al mercato. L’affermarsi della sfera economica su quella politica è l’esempio che più spesso viene riportato. Ma la messa in discussione dello Stato è avvenuta nel settore che, teoricamente, gli dovrebbe essere più proprio: il monopolio dell’uso legittimo della forza. Quest’ultimo è stato messo in discussione sia all’esterno con il numero crescente di militari privati (PMC, private military contractors)[6] nei teatri di conflitto globale, sia all’interno con l’appalto della sicurezza pubblica ad agenzie private.[7]
Ma non tutto va in questa direzione. La secolarizzazione ha proceduto con tempi e modi diversi nei vari paesi dell’Occidente: basti pensare che negli Stati Uniti il 70% della popolazione si definisce cristiana[8], mentre in Polonia il 92,8% delle persone è cattolico, con un tasso del 94,2% di affiliazione religiosa.[9] Esistono esempi dove i partiti sono riusciti a comunicare con efficacia a grandi fette di popolazione, come dimostrano l’entusiasmo suscitato nei giovani dal Labour Party di Jeremy Corbyn e il grande movimento popolare costruito da Bernie Sanders negli Stati Uniti. Spostandosi dall’altra parte dell’agone politico, anche figure controverse come Donald Trump hanno permesso un riavvicinamento del suo elettorato, come testimoniato dalle primarie repubblicane attualmente in corso, le quali hanno visto un altissimo numero di votanti nonostante, de facto, Trump non abbia alcun avversario.[10]
Una tendenza anti-edipica, in particolare, sembra essersi manifestata con forza durante l’attuale emergenza del coronavirus. Nel momento in cui l’intero Occidente è impegnato a fronteggiare quella che molti hanno definito come la peggiore crisi dalla fine della Seconda guerra mondiale, riemergono alcuni dei punti di riferimento che il Novecento edipico sembrava aver relegato ai libri di storia. In questo lungo stato d’eccezione, gli stati hanno riaffermato quella sovranità che gli era stata a lungo contestata, adottando misure draconiane e dall’enorme impatto sulla vita dei loro cittadini.
Ancora più interessante è stato il ruolo dei capi di governo e di Stato, i “padri” delle nazioni. In tutti i principali paesi occidentali abbiamo registrato un significativo aumento del loro livello di gradimento: Giuseppe Conte con il 71%, Angela Markel con il 79%, Macron al 51%, il risultato più alto da 18 mesi a questa parte per il presidente francese.[11]
Lo stesso fenomeno è avvenuto anche nelle situazioni in cui i vari leader si sono mossi in maniera ambigua come Regno Unito e Stati Uniti, dove entrambi i capi di governo hanno raggiunto il massimo consenso dall’inizio dei loro mandati. Il fenomeno non è nuovo: anche nel più recente passato, nei momenti di crisi o difficoltà i capi di governo e di Stato hanno rappresentato un “bene sicuro” su cui investire in termini di fiducia e sicurezza. Pensiamo a Hollande in seguito agli attentati di Charlie Hebdo o allo stesso George W. Bush, che dopo l’11 Settembre raggiunse il 90% dei consensi.[12]
L’equazione tra momenti di difficoltà e ricerca di sicurezza non è nuova, ma ci interessa perché potrebbe essere foriera di un desiderio più profondo: la volontà di ritrovare una figura paterna, di cui i capi delle nazioni (siano essi uomini o donne) non sarebbero che simulacri. La figura paterna di cui parliamo qui, infatti, non è tanto il padre in carne ed ossa, quanto il Dio ucciso da Nietzsche, il principio della Legge e della sicurezza, quella roccia su cui è possibile costruire certezze e identità, quanto mai necessarie nei momenti di difficoltà. Il Covid19 potrebbe essere soltanto una prova lampante di una pulsione presente nel nostro inconscio collettivo, graffiato dalle difficili conseguenze del lungo Novecento di Edipo.
Se da una parte la morte di Dio ha infatti permesso una minore invasività di tutti i padri simbolici nella vita degli individui, consentendo a molti di costruire da sé la propria identità senza apparenti costrizioni autoritarie o arbitrarie, dall’altro lato è innegabile che ciò abbia prodotto conseguenze enormemente problematiche: una “società liquida” caotica, multipolare e difficile da comprendere; l’inadeguatezza dei classici strumenti della politica per tentare di indirizzare il cambiamento, sia esso sociale o tecnologico; una razionalizzazione in chiave economicistica dei valori[13]; la percepita mancanza di senso e il nichilismo crescente nelle giovani generazioni[14]. In questo scenario, il virus non sarebbe altro che la goccia che fa traboccare il vaso.
Lo psicanalista Massimo Recalcati ha coniato un concetto decisivo per comprendere questo fenomeno: il complesso di Telemaco.[15] Se nel freudiano complesso di Edipo era il conflitto a caratterizzare il rapporto tra padre e figlio, in quello introdotto da Recalcati l’elemento centrale è l’attesa, quella di Telemaco che aspetta il ritorno del padre Ulisse dalla guerra di Troia come quella del figlio che cerca un punto d’appoggio in una società senza padri simbolici. La metafora nasce nell’analisi psicanalitica, ma noi possiamo tentare di allargarla all’ambito storico e politico. Così come tanti in Occidente (soprattutto giovani) sono vissuti o cresciuti senza punti di riferimento sociali e senza le grandi narrazioni per interpretare la realtà e agire in essa, così Telemaco ha vissuto fin da quando era piccolo senza padre, nel caos di un’Itaca abitata dai Proci, gli usurpatori che vogliono la mano di sua madre Penelope. Telemaco aspetta il padre, desidera il suo ritorno proprio perché ha conosciuto le difficili conseguenze della sua mancanza, in primis quella dell’impossibilità della Legge, che per Recalcati rappresenta l’elemento centrale della funzione paterna.
È proprio davanti alle difficoltà, quando la tragicità della vita si mostra in tutta la sua terribile forza, che sentiamo con maggiore vigore l’esigenza di un punto fermo, di un riferimento, di una Legge che indichi la linea divisoria tra giusto e sbagliato, che ci aiuti a dare un senso alle nostre azioni quando questo senso sembra perduto. Tale ragionamento, portato all’estremo, rischia però di avere conseguenze pericolose: lo smarrimento e la fuga davanti al pericolo possono infatti portare al cieco affidamento a un padre-padrone autoritario, portatore di una Legge arbitraria e di un principio di ordine non discutibile. Più grande l’incertezza e la paura, maggiore il desiderio di una certezza assoluta: è il modello che ancora oggi, davanti alle difficoltà, si ripresenta in molte nostre società.
Un esempio paradigmatico è la radicalizzazione religiosa, in particolare il terrorismo jihadista dei cosiddetti homegrown terrorists. Come ha scritto Olivier Roy[xvi], i convertiti alla causa dello Stato Islamico in Europa non erano esaltati religiosi: il più delle volte erano nichilisti, orfani o con problemi familiari che hanno cercato un senso nelle facili certezze propagandate dal salafismo più radicale e violento. Secondo questa interpretazione, la volontà dei terroristi di affidarsi a una narrazione così arbitraria (e forse proprio per questo così sicura di sé) sarebbe il risultato della propria debolezza interiore. L’obiettivo dei kamikaze non sarebbe tanto di cambiare il mondo attraverso la loro morte, quanto dare un senso al loro mondo e alla loro morte.
Il modello della ricerca di un padre-padrone si adatta ancora meglio all’avanzare di nazionalismi escludenti e al successo di leader autoritari o dagli accentuati tratti antidemocratici. Il secolo scorso insegna come l’ascesa dei regimi nazifascisti fosse dipesa in parte da situazioni di enorme difficoltà (le conseguenze della Grande guerra in Italia e quelle della Crisi del ’29 in Germania). Oggi questo avviene certo in maniera più edulcorata, e sarebbe fuorviante paragonare la violenza e la pericolosità del nazifascismo con quella di alcuni leader odierni. Ma nella profondità della psiche umana il fenomeno che si verifica sembra essere molto simile: la paura dell’altro, la volontà di chiudersi, il desiderio di sicurezza davanti ad una realtà incontrollabile.
Il padre-padrone ha il pregio di fornici un filo che ci mette nel mezzo di una verità. Ma come detto in precedenza, la Legge e la verità proposte da questo modello sono arbitrarie, immobili e assolute. Quest’immobilità porta a un’idiosincrasia con la complessità metamorfica della realtà circostante. La Legge cerca di regolare e rappresentare la realtà, ma questa le sfugge, fino ad allontanarsi sempre di più. La differenza tra i due si allarga fino al punto che la verità imposta dal padre-padrone non rappresenta più nulla del mondo: la realtà evolve e supera la vecchia Legge, come fecero i borghesi con l’Ancien Régime o i giovani del ’68 con la morale sessuale. È questa forse una delle più grandi lezioni del Novecento di Edipo: il destino del padre-padrone non può che essere, presto o tardi, quello del lascivo Fëdor Karamazov di Dostoevskij: il parricidio.
Ma il modello di rapporto padre-figlio che propone Recalcati teorizzando il complesso di Telemaco è differente. Per lo psicanalista italiano Telemaco è il “giusto erede” poiché non vuole un padre che gli faccia ereditare una verità preconfezionata e non sua o un padrone che gli imponga dei dogmi; quello che cerca è un punto di riferimento che possa educarlo prima di tutto grazie all’esempio e all’esperienza, non con il comando. Il Telemaco di Recalcati non cerca tanto il senso della vita quanto la testimonianza che la vita possa avere un senso: al figlio spetta la scelta di accettarlo o meno, come scrive l’autore. Non si tratta più del padre-padrone, ma di qualcuno con cui condividere la propria umanità, ovvero la propria fragilità, qualcuno con cui avere un confronto aperto, maturo, proprio perché non si ha la pretesa di essere perfetti ma si è consapevoli della propria limitatezza.
Proponendo ancora una volta un passaggio dalla psicanalisi alla riflessione storico-politica, diventa possibile tratteggiare i lineamenti di un padre e di una Legge che riesca a tenere insieme due esigenze: da una parte l’essere un punto di riferimento che orienti l’agire e fornisca categorie utili alla comprensione dalla realtà senza per questo avere la pretesa di dominarla attraverso la semplificazione; dall’altra parte l’essere intrinsecamente democratico, poroso, rispettoso dell’alterità pur senza perdere la propria identità. È un equilibrio certamente difficile da raggiungere, ma non per questo meno necessario. Esso vale sia per le meta-narrazioni che forniscono un’identità collettiva sia per i leader e le leader che rappresentano quell’identità.
La cronaca recente ci regala un esempio di questo. Indipendentemente dal credo religioso, la benedizione Urbi et Orbi di Papa Francesco in una Piazza San Pietro completamente deserta è stato un momento destinato a rimanere a lungo impresso nella memoria collettiva, e forse proprio per alcuni dei motivi che abbiamo sopra riportato. Il Pontefice è solo, nella piazza, così come lo siamo noi nel timore suscitato dall’emergenza. Il Pontefice è piccolo, sotto la pioggia, apparentemente debole di fronte alla misteriosa vastità del vuoto intorno a lui. Una delle più grandi guide spirituali dell’umanità si mostra così nella sua piccolezza e per questo viene ascoltato e creduto: non per il timore che suscita, ma per l’empatia, per il condividere la stessa condizione di fragilità delle persone che fanno affidamento su di lui. D’altronde l’intero pontificato è stato segnato dalla dimostrazione che a livello religioso e politico (e quindi, più in generale, a livello sociale) esiste un’alternativa al modello del padre-padrone: il dialogo ecumenico con le altre religioni, l’attenzione verso gli umili, la rinuncia ai privilegi, il tentativo di riforma interno al Vaticano sono tutti andati in questa direzione.
Aver passato il secolo di Edipo ci permette di sviluppare due consapevolezze: la non auspicabilità del ripetere il modello del padre-padrone accompagnata da quella di aver bisogno comunque di punti di riferimento morali e valoriali, di coordinate che ci permettano di decodificare la complessità del mondo intorno a noi.
Probabilmente l’attuale crisi del coronavirus non è destinata a rimanere una parentesi infelice in un altro secolo di progresso. Le sfide globali che si prospettano ci metteranno nella difficile situazione di cercare altri padri, altre leggi, altre figure che ci indichino una via, come fa la figura paterna nell’analisi psicanalitica. Allo stesso tempo, ci costringeranno a dialogare tra popoli e culture diverse, cercando un equilibrio e un punto d’incontro nella differenza. Allora, forse, sarà stato utile essere Edipo, perché ci avrà permesso di diventare Telemaco.
[1] Jean-Francois Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli Editore, 2008.
[2] Jacques Derrida, Structure, Sign, and Play in the Discourse of the Human Science, A.Bass, trans., Writing and Difference, Routledge and Kegan Paul, 1978, p. 279 citato da James Der Derian, The Value of Security: Hobbes, Marx, Nietzsche, and Baudrillard, Critical Practices in International Theory (pp. 161-178). Routledge, 2009.
[3] Roberto Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, il Mulino, 2011.
[4] Piero Ignazi, Forza senza legittimità. Il vicolo cieco dei partiti, Editori Laterza, 2012.
[5] David Levi-Faur, From “Big Government” to “Big Governance”? capitolo in David Levi-Faur, Oxford Handbook of Governance, Oxford University Press, 2012.
[6] J. Baum, A. Mcgahan, Outsourcing War: The Evolution of the Private Military Industry after the Cold War, in SSRN Electronic Journal, 2009.
[7] A. Leander, The privatization of international security, capitolo in Dunn Cavelty, M., & Mauer, V, The Routledge Handbook of Security Studies, 2010.
[8] Religious landscape study, Pew Research Center.
[9] Statistics Poland, Religiousness of Polish Inhabitants.
[10] Alex Isenstadt, Trump drive massive turnout in primaries despite token opposition, Politico, 2020.
[11] Jon Henley, Democratic leaders win surge of approval during Covid-19 crisis, The Guardian, 2020.
[12] Ibidem.
[13] Raymond Boudon, Declino della morale? Declino dei valori? il Mulino, 2003.
[14] Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli Editore, 2007.
[xv] Massimo Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli Editore, 2013.
[16] Olivier Roy, Who are the new jihadis?, The Guardian, 2017.