Scritto da Mario Caligiuri
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Alle prime serie avvisaglie della pandemia, il filosofo Slavoj Žižek aveva lucidamente argomentato che sarebbe stato possibile il crollo del sistema capitalistico, aprendo uno spiraglio per “reinventare la società”[1]. Sta succedendo esattamente l’opposto. Infatti, l’organizzazione Oxfam nel recente vertice di Davos ha evidenziato che ogni trenta ore si registra un nuovo miliardario in più a fronte di un milione di persone che scivolano verso la povertà assoluta[2]. Pertanto, tutto induce a ritenere che il liberalismo globale si stia fortemente consolidando, con quello di Stato in vantaggio su quello di mercato. In ogni caso, non si esce fuori dallo schema, confermando che la visione di Francis Fukuyama non era poi sostanzialmente errata, poiché la bandiera del capitalismo sta sventolando ormai incontrastata sul pianeta[3]. E nonostante innumerevoli e autorevoli affermazioni di senso contrario, niente affatto dissimile potrà essere la configurazione assunta dall’ordine mondiale alla fine del conflitto in corso, nel senso che potrebbe confermare le tendenze dello spostamento degli equilibri in direzione del Beijing Consensus rispetto al Washington Consensus. La guerra in atto sembra già essere stata vinta dall’Occidente sul piano dell’aspra lotta della disinformazione, cifra distintiva dello spirito del tempo, ma probabilmente, in una qualche ragionevole misura, sul campo prevarrà la Russia di Putin[4]. Appare quindi determinante il confronto dell’efficienza dei sistemi di governo, sperimentata nella gestione della pandemia. Non a caso, i primi decenni del XXI secolo hanno evidenziato come la globalizzazione crei asimmetrie che di fatto favoriscono i sistemi autoritari, criminali e finanziari[5], rispetto alle democrazie[6], che si identificano sempre di più in procedure elettorali condizionate dai media e dall’estremismo[7].
In tale quadro, il ruolo della disinformazione diventa centrale nell’orientare il comportamento dei cittadini e dell’opinione pubblica[8], come, al di là di ogni ragionevole dubbio, dimostrano gli eventi degli ultimi mesi. Polibio, cento anni prima di Cristo, era stato illuminante nel sostenere che in guerra la prima vittima è la verità. Perciò, il ruolo dei social network diventa decisivo, spostando il campo di battaglia dal controllo dei mari, del centro della terra, dell’aria e dello spazio direttamente alla mente delle persone[9]. Questa tendenza a mio giudizio è ormai molto chiara, ma è diventata evidente solo dopo che l’ideologia progressista del politicamente corretto nel 2016 era stata imprevedibilmente sconfitta nelle consultazioni presidenziali americane e nella Brexit. A mio giudizio non c’è nulla di misterioso, di complottista o di oscuro. La realtà è sempre davanti agli occhi di tutti, ma non vi si presta sufficiente attenzione. Notava John le Carré: «Viviamo in un’epoca di straordinario autoinganno dove la verità sta da una parte e la percezione pubblica della verità esattamente dall’altra». Di riflesso, la dialettica tra verità e menzogna diventa ancora più fluida, poiché il vero può diventare un momento del falso e ogni decisione può produrre contemporaneamente il vero e il falso[10]. Infatti, con i deep fake neanche quello che si vede può essere attendibile, prescindendo dalle parole, che sono ambigue per definizione. Quindi, la tendenza costante nella storia del mondo, ma adesso più pervasiva e manifesta, è la manipolazione permanente che avviene attraverso il sistema mediatico che rende credibili i sistemi politici, che in Occidente sono in gran parte subordinati alle logiche economiche.
La guerra in Ucraina potrebbe non rappresentare alcuna linea di faglia o punto di svolta sostanziale. Per certi versi, quanto sta accadendo era altamente prevedibile. Tra gli altri, con grande lucidità, lo avevano anticipato Henry Kissinger[11] e Lucio Caracciolo[12]. Lo stesso Lucio Caracciolo, con la solita acutezza, ha recentemente illustrato le tensioni e le incognite che sono collegate con l’attuale conflitto[13]. Dal mio punto di vista, ci saranno inevitabili scosse di assestamento nell’ambito di dinamiche preesistenti, ma in ogni caso non assisteremo ad una “caduta del muro di Berlino”, cioè a cambiamenti strutturali. Si potrebbe dunque ritenere che le vicende dei due ultimi anni si inseriscano all’interno di scenari che si stanno rafforzando: lo sfondo è il capitalismo che, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e l’entrata della Cina nel WTO nel 2001, ha vinto su tutta la linea, con la differenza sostanziale che in Occidente l’economia prevale sempre di più sulla politica mentre nei sistemi autoritari – non solo Cina e Russia, ma anche i Paesi arabi e democrazie formali come la Turchia e l’India –, è la politica a essere ancora determinante sull’economia[14]. Come si è visto, la globalizzazione moltiplica le disuguaglianze[15], comportando precarietà sociale ed esistenziale con il rischio di minare la stabilità delle democrazie[16].
C’è da chiedersi allora quali strumenti possano adesso essere messi in campo per ridurre le distanze sociali, aumentare il benessere e ridurre i rischi di un collasso globale, che può essere determinato, come aveva previsto Hans Rosling, prima di tutto da una pandemia globale e poi dal crac finanziario, dalla guerra mondiale, dal cambiamento climatico e dalla povertà estrema[17]. La guerra ha messo di nuovo in primo piano il tema fondamentale dell’energia e quindi della transizione energetica. Si tratta di un tema centrale da sempre, con interessi giganteschi e a volte inconfessabili, come abbiamo ben constatato con la vicenda di Enrico Mattei che pagò con la vita il suo impegno per far diventare l’Italia una grande potenza industriale[18]. E certamente non c’era bisogno della crisi in Ucraina per sapere quanto tale aspetto incida profondamente nelle relazioni internazionali e di conseguenza negli equilibri dell’ordine mondiale. Nella mia opinione, la politica energetica pone strategie differenziate per i vari Paesi. Per quanto riguarda l’Italia, a fronte del prevedibile aumento dell’uso dell’energia, abbiamo davanti due strade possibili: essere sempre più dipendenti dall’estero oppure assumere una maggiore autonomia, affrontando temi controversi come l’uso delle centrali nucleari – già numerose a poche centinaia di chilometri dai nostri confini – e dell’estrazione delle risorse energetiche che si trovano sul suolo e nei mari della nostra nazione. Come si vede è un tema squisitamente politico, che richiede precise scelte da parte di classi dirigenti pubbliche in grado di perseguire l’interesse nazionale. È specialmente in un simile ambito che si fa sempre più stridente la diversità nella selezione delle élite tra Stati democratici da una parte e stati autoritari, organizzazioni criminali e multinazionali economiche dall’altro. Ciò mette a confronto dirigenti individuati tramite il voto e i concorsi, e dirigenti selezionati in base a esperienze, competenze, risultati, sebbene ovviamente assai discutibili. Dal mio punto di vista, tale aspetto è centrale, poiché se i sistemi democratici sono in crisi una delle cause principali è rappresentata dai meccanismi di formazione e selezione delle élite pubbliche, che risultano sempre più inadeguate nel mutato quadro della globalizzazione[19].
Questo tema si collega direttamente alle sfide dell’intelligence, che sono politiche poiché l’intelligence orienta le attività e fornisce gli esiti direttamente al decisore pubblico. Appare quindi evidente come le agenzie di intelligence rispondano agli indirizzi dei rispettivi rappresentanti governativi, dimostrando, almeno da tale punto di vista, nessuna differenza tra Stati democratici e Stati autoritari. Ridiamo la parola alla letteratura. Alec Leamas, protagonista del capolavoro di John le Carré La spia che venne dal freddo ricordava nelle atmosfere plumbee della Guerra fredda: «Siamo tutti uguali, sapete: ecco dove sta la beffa». Tanto più che i fallimenti dell’intelligence sono i fallimenti della politica. Con riferimento al nostro Paese, spiegava Giuliano Amato: «In tutte le grandi crisi dei Servizi verificatesi nel nostro Paese queste hanno sempre interessato più la classe politica che non i Servizi che ne sono stati travolti»[20]. Mai come nella guerra in Ucraina si sta facendo riferimento all’intelligence, come strumento che può decidere l’esito del conflitto. E si tratta di una situazione inedita, poiché non era mai accaduto con tale intensità e frequenza. All’intelligence vengono attribuite operazioni triangolari, come per esempio l’uccisione dei generali di Putin da parte dei servizi segreti americani[21] in un quadro composito di previsioni e paradossi[22]. Infatti, non trascorre giorno in cui sui media non venga evocata la parola intelligence sulla manipolazione delle informazioni, sull’individuazione di obiettivi sensibili, sull’influenza cognitiva dei cittadini, sulla deception verso i decisori. La parola intelligence sembra conferire credibilità alle notizie, circostanza che rappresenta un enorme salto culturale rispetto al passato nella percezione da parte delle opinioni pubbliche. Pertanto, l’intelligence non viene più generalmente considerata come ambito oscuro ma al contrario come strumento decisivo per affermare le ragioni degli Stati e illuminare le scelte dei decisori pubblici. E ciò, come afferma il capo dello spionaggio siriano Hani Salaam, nel film Nessuna verità diretto da Ridley Scott, nonostante «le vere operazioni di intelligence, rimangono segrete per sempre».
Non a caso, i dettagli delle attività dei Servizi non si possono ascoltare nei telegiornali e i cittadini ignorano le effettive informazioni che l’intelligence invia ai decisori pubblici così come l’utilizzo che questi ultimi poi realmente ne fanno. Nello stesso tempo, l’intelligence riveste pure l’ingrato compito di rappresentare un comodo capro espiatorio, come ha dimostrato l’anno scorso il ritiro delle truppe statunitensi da Kabul. E almeno in tale caso specifico, contraddicendo clamorosamente i fatti perché, come svelato da WikiLeaks, l’intelligence da anni aveva informato Washington che l’intervento in Afghanistan era “un fallimento”[23]. In definitiva, l’intelligence è uno strumento assai duttile poiché può essere considerata alternativamente come “deviata”, come alibi, come arma segreta, come “grande fratello”, come fabbrica della manipolazione, come capro espiatorio e in molte altre declinazioni, oppure come elemento determinante nella soluzione dei conflitti e nella comprensione delle reali dinamiche del potere. L’intelligence può essere dunque identificata in tanti aspetti, diventando però soprattutto alibi quando non si comprendono i fatti o c’è la necessità di ricercare i responsabili delle vicende, alimentando le nostre menti inevitabilmente complottiste[24]. E vivendo nella società della disinformazione, occorre affinare il pensiero critico per avvicinarsi alla sempre difficile comprensione della realtà. Allora sarebbe più utile porre domande che dare risposte, anzi si dovrebbe partire dalle domande e non dalle risposte.
Tirando le fila, non penso che quello che sta accadendo in Ucraina possa provocare cambiamenti sostanziali rispetto alle linee di fondo che si stavano delineando ben prima della pandemia e del conflitto, in quanto la guerra è tre le condizioni ordinarie del mondo. Ne è la riprova che oggi nel pianeta si registrano guerre di varia entità in settanta Stati di quattro continenti diversi, con quasi 900 milizie e gruppi armati coinvolti[25]. Di sicuro dovremo confrontarci sempre di più con un fenomeno e una necessità sociale. Il fenomeno è rappresentato dalla disinformazione la cui storia è lunga, interessante e complessa[26]. La necessità sociale è costituita appunto dall’intelligence[27], che è chiamata a svolgere un ruolo sempre maggiore nel XXI secolo, ma più che per gli Stati lo sarà per i cittadini, per usarla come legittima difesa nella società della disinformazione e per combattere la guerra delle intelligenze che è in atto tra umani e algoritmi[28]. Riteniamo di aspettare lo scoppio della battaglia, ma in realtà la stiamo già combattendo. In definitiva, lo scenario che si svela davanti ai nostri occhi è colmo sia di rischi mortali che di opportunità spettacolari. L’impegno dei cittadini e delle istituzioni andrebbe rivolto verso la comprensione dei segnali deboli, a cominciare dalle forze occulte del visibile impegnate nella conquista delle menti. Pertanto i parlamenti, più che occuparsi di economia, dovrebbero prioritariamente occuparsi di educazione, per fornire strumenti critici fondamentali, poiché la migliore arma di una nazione è rappresentata da una cittadinanza istruita[29]. Non a caso, il premio Nobel Joseph Stiglitz dimostra che lo sviluppo della società deriva dalla capacità di apprendimento e la crescita economica ne è solo la conseguenza[30].
[1] N. Di Francesco, Il filosofo Slavoj Zizek: “Il Coronavirus è la morte del capitalismo e un’opportunità per reinventare la società”, «TPI», 21 marzo 2020.
[2] Oxfam Italia, 573 nuovi miliardari in tempo di pandemia, www.oxfamitalia.org, 23 maggio 2022.
[3] F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano 1992.
[4] M. Caligiuri, Putin perde la guerra, ma solo quella dell’informazione, «Formiche.net», 30 marzo 2022.
[5] M. Naím, Illecito. Come trafficanti, falsari e mafie internazionali stanno prendendo il controllo dell’economia globale, Mondadori, Milano 2006.
[6] A. Baldassarre, Globalizzazione contro democrazia, Laterza, Roma-Bari 2002.
[7] F. Zakaria, Democrazia senza libertà in America e nel resto del mondo, Rizzoli, Milano 2003.
[8] M. Caligiuri, Introduzione alla società della disinformazione. Per una pedagogia della comunicazione, Rubbettino, Soveria Mannelli 2018; M. Caligiuri, Come i pesci nell’acqua. Immersi nella disinformazione, Rubbettino, Soveria Mannelli 2019.
[9] M. Caligiuri, La mente come campo di battaglia, «Formiche.net», 19 marzo 2022.
[10] B-C. Han, Nello sciame. Visioni del digitale, Nottetempo, Milano 2015, p. 68.
[11] H. Kissinger (2014), To settle the Ukraine crisis, start at the end, «The Washington Post», 5 marzo 2014.
[12] L. Caracciolo, 1914-2014: cent’anni dopo, 23 maggio 2014, disponibile su Youtube.
[13] L. Caracciolo, Il silenzio di Puśkin, «Limes – Rivista Italiana di geopolitica», La Russia cambia il mondo, n. 2/2022.
[14] G. Galli e M. Caligiuri, Il potere che sta conquistando il mondo. Le multinazionali dei paesi senza democrazia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2020.
[15] T. Piketty, Disuguaglianze, Egea, Milano 2018; E. Ferragina, Chi troppo chi niente. Perché l’Italia non può più permettersi i costi della disuguaglianza, BUR, Milano 2013.
[16] M. Caligiuri, La rivoluzione dietro l’angolo. Come il disagio sociale minaccia la sicurezza nazionale, Allegato a «Formiche», dicembre 2019.
[17] H. Rosling, Factfulness. Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo. E perché le cose vanno meglio di come pensiamo, Rizzoli, Milano 2018, pp. 259-260.
[18] B. Amoroso e N. Perrone, Capitalismo predatore. Come gli USA fermarono i progetti di Mattei e Olivetti e normalizzarono l’Italia, Castelvecchi, Roma 2014.; V. Calia e S. Pisu, Il caso Mattei. Le prove dell’omicidio del presidente dell’Eni dopo bugie, depistaggi e manipolazioni della verità, Chiarelettere, Milano 2017.
[19] M. Caligiuri, La formazione delle Élite. Una pedagogia per la democrazia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008; M. Caligiuri, L’insostenibile leggerezza delle élite democratiche, in «Gnosis», n. 1, marzo 2017, pp. 164-173.
[20] F. Martini, Nome in codice: Ulisse. Trent’anni di storia italiana nelle memorie di un protagonista dei servizi segreti, Rizzoli, Milano 1999, pp. 16-17.
[21] P. Mastrolilli, Gli 007 americani dietro l’uccisione dei generali di Putin, «la Repubblica», 6 maggio 2022, pp. 1-3.
[22] L. Bozzo, Ucraina prima e dopo. Il duplice paradosso dell’analisi d’intelligence secondo Bozzo, «Formiche.net», 23 maggio 2022.
[23] Redazione esteri, Wikileaks svela la ‘vera’ guerra in Afghanistan. Casa Bianca: “Minacciata sicurezza nazionale”, «la Repubblica», 26 luglio 2010.
[24] R. Brotherton, Menti sospettose. Perché siamo tutti complottisti, Bollati Boringhieri, Torino 2017.
[25] Guerre nel mondo, Conflitti attualmente in corso, 11 maggio 2022, www.guerrenelmondo.it
[26] T. Rid, Misure attive. Storia segreta della disinformazione, Luiss University Press, Roma 2022.
[27] M. Caligiuri, Intelligence, in Enciclopedia Italiana, X Appendice, Volume I, Istituto Treccani, Roma 2020, p. 791.
[28] M. Caligiuri, Intelligence: una storia di frontiere, «Pandora Rivista», n. 1/2021, pp. 88-93.
[29] R. D. Steele, Intelligence. Spie e segreti in un mondo aperto, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, p. 34.
[30] J.E. Stiglitz e B. Greenwald, Creare una società dell’apprendimento. Un nuovo approccio alla crescita, allo sviluppo e al progresso sociale, Einaudi, Torino 2018.