Recensione a: Gian Mario Anselmi, White Mirror. Le serie TV nello specchio della letteratura, Salerno Editrice, Roma 2022, pp. 168, 18 euro (scheda libro)
Scritto da Andrea Germani
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Marcel Proust inizia così À la recherche du temps perdu, la sua opera maggiore, pubblicata in sette volumi fra il 1913 e il 1927: «Longtemps, je me suis couché de bonne heure», «per molto tempo, mi sono coricato presto la sera». Con queste poche e semplici parole l’autore avvia la gigantesca operazione che si appresta a compiere: interrogare la propria memoria per analizzare i tratti salienti della sua esistenza. Nel film di Sergio Leone del 1984 C’era una volta in America, il protagonista David “Noodles” Aronson / Robert De Niro, quando l’amico “Fat” Moe Gelly / Larry Rapp gli chiede di raccontare come abbia condotto i tanti anni che i due hanno passato separati, risponde laconicamente «sono andato a letto presto». Come scrive Gian Mario Anselmi: «l’incipit memoriale di Proust serve appunto a Sergio Leone per condensare in una risposta lapidaria il senso banale e tragico al tempo stesso di interi anni di vita del protagonista» (p. 15). Facciamo un salto al 2013 e guardiamo al protagonista de La grande bellezza di Paolo Sorrentino; Jep Gambardella / Toni Servillo, cento anni dopo Proust e trenta dopo Noodles, liquida chi gli ha chiesto perché ha scritto un solo romanzo rispondendo «sono uscito troppo spesso la sera». Tre nette e concise sentenze sulle abitudini serali di tre uomini distinti, vissuti in epoche e luoghi diversi, sarebbero sufficienti a rendere conto dei loro personaggi, entrati a pieno titolo nell’immaginario collettivo, e delle azioni per cui verranno ricordati da generazioni di lettori e spettatori.
I collegamenti tra la grande narrativa occidentale e i prodotti cinematografici e televisivi, come in questo caso magistrale, sono il cuore della ricerca condotta da Gian Mario Anselmi, già ordinario di Letteratura italiana all’Università di Bologna, nel suo ultimo volume White Mirror. La serie TV nello specchio della letteratura, edito da Salerno Editrice. Lo studio di Anselmi supera i confini della sala cinematografica per “osservare” dentro le case dei cittadini di tutto il mondo, sia che essi guardino le fiction in televisione o che abbiano sottoscritto un abbonamento a qualcuna tra le numerose piattaforme di streaming. Quasi trent’anni dopo la pubblicazione del dibattuto libro di Harold Bloom[1], Anselmi recupera il concetto di “canone occidentale” – il complesso delle opere letterarie che definiscono i fondamenti della letteratura europea, americana e oceanica – e descrive il particolare legame fra la grande letteratura e le fiction televisive, scorto in anni di studi della serialità televisiva e, in particolar modo, della scrittura e dello storytelling dei prodotti seriali cinematografici. «[…] C’è un filo rosso che lega la serialità televisiva e gli scrittori del canone occidentale, un filo seguendo il quale è possibile risalire da Netflix ai classici o, per dirla in altri termini, da Black Mirror – lo schermo nero dei nostri dispositivi video – alle pagine dei libri, ovvero lo specchio bianco della nostra civiltà» (quarta di copertina).
La scelta di invertire la definizione di black mirror – nota ai più grazie alla fortunata serie inglese di cinque stagioni uscite fra 2011 e il 2019 – facendo uso del colore bianco, white, non è casuale. È la linea del colore su cui si sviluppa la continuità che il docente ricostruisce nel corso delle centocinquanta pagine che compongono questo volume. La pagina bianca del libro è tutt’uno con lo schermo nero della televisione; nell’epoca del binge watching e della bulimia di contenuti mediali è fondamentale saper distribuire prodotti di altissima qualità, contenuti all’altezza delle aspettative di un pubblico di consumatori/produttori[2] sempre più informati, sempre più interconnessi, sempre più coscienti del ruolo delle fiction nella costruzione dell’immaginario.
Si è passati rapidamente dalle sit-com anni Novanta, che si limitavano a creare delle maschere operanti in uno spazio limitato e soggette a una lenta e graduale evoluzione che non tradiva mai il personaggio a cui il pubblico si affezionava, a lavori di grande fattura dal punto di vista dei dialoghi, della psicologia dei personaggi e della ricerca dell’estetica complessiva del prodotto. «Provate ad ascoltare con attenzione il “dialogato” delle serie anche più popolari: il livello è in genere molto alto sul piano sia letterario sia drammaturgico […] Raramente si scade nella banalità e ripetitività che erano invece proprie di molte sceneggiature televisive novecentesche» (p. 45). La letteratura, così come il teatro e «la ripresa dei classici, il dialogo con la grande narrativa romanzesca hanno fondato un nuovo modo seriale di raccontare. La letteratura è la vera vincitrice: le sceneggiature e le trame delle serie più popolari e di alto livello se ne nutrono in un interscambio che ha mutato per sempre il nostro modo di percepire la realtà» (p. 8).
Quale miglior palestra per gli sceneggiatori della grande letteratura? La narrativa, fino all’avvento del cinema, si era assunta l’onere e l’onore di descrivere l’universo concettuale e immaginativo che faceva da sfondo a una storia facendo uso solamente delle parole impresse su carta. Alcuni autori hanno optato per seguire fedelmente il testo, limitandosi a trasporre sullo schermo i grandi classici – si veda il paragrafo I classici della letteratura in Televisione (pp. 71-73) – o dell’utilizzo di romanzi talmente idonei alla messa su pellicola da sembrare delle vere e proprie sceneggiature in potenza – si guardi ai racconti di Stephen King o di George R.R. Martin, autore della saga A Song of Ice and Fire, adattato da HBO come Game of Thrones – o delle grandi storie che non sono mai state scritte ma sempre raccontate come fatti di cronaca, come la serie The Crown, che segue le vicissitudini dei reali britannici.
Fa parte di questa reinvenzione della fiction, tanto nel suo concetto quanto nella sua dimensione narrativa e filmica, la costruzione di un medioevo fantastico ad opera di un popolo, quello americano, che non ha mai avuto un’età di mezzo e ha dovuto pescare dalla tradizione europea e asiatica per costruire universi alternativi a quello che realmente fu il medioevo mediterraneo, germanico o nipponico. Gli esempi più interessanti di questa medievalizzazione in salsa fantasy riguardano la grande fortuna avuta nel contesto statunitense dalla serie di romanzi di Harry Potter e dalla sua trasposizione su pellicola dal 2001 al 2011; dai tre film ispirati alla leggendaria opera di J.R.R. Tolkien Il Signore degli Anelli, diretti da Peter Jackson e usciti fra il 2001 e il 2003; da ultimo, caso più curioso, dall’epopea di Star Wars. «Nel 1977 Guerre Stellari di George Lucas traduce in chiave di fantascienza i protocolli fondamentali del ciclo arturiano e dei suoi eroi mescolandoli a forme del Medioevo giapponese (armature, spade/spade laser, arti marziali, massime zen dei Samurai/Maestri Jedi) in una delle saghe più fortunate dell’età contemporanea» (p. 31).
Anni dopo il capolavoro di Lucas, Game of Thrones, una delle serie di maggior successo mai andate in onda, riuscirà nell’impresa di rieducare i suoi fan alla paziente attesa dell’uscita del nuovo episodio fino a notte fonda: «in un’epoca di possibilità pressoché infinite di visione (scelgo quando, quanto e dove voglio guardare; pratico il binge watching; mi compongo un personalissimo e organizzato palinsesto settimanale), la serie ha imposto, lei e solo lei – soprattutto nella sua ultima stagione [n.d.r. 2019] – di puntare la sveglia nel cuore della notte e sincronizzarsi con il resto del mondo. […] fenomeno che è stato addirittura paragonato all’allunaggio»[3]. È proprio analizzando questi punti focali della serialità contemporanea che si capisce come lo studio della grande letteratura, che sia Dante, l’Antico Testamento o Ernest Hemingway, sia un’azione imprescindibile per chiunque voglia raccontare storie di efficacia e, soprattutto, di successo. D’altronde, secondo lo stesso Anselmi, «forse, non si può comprendere il successo di Squid Game senza la Poetica di Aristotele».
[1] Harold Bloom, Il canone occidentale. I libri e le Scuole delle Età, Bompiani, Milano 1996.
[2] Prendo in prestito la definizione prosumer coniata dal futurologo Alvin Toffler nel volume La terza ondata. Il tramonto dell’era industriale e la nascita di una nuova civiltà, edito in Italia da Sperling e Kupfer nel 1987.
[3] Luca Barra e Fabio Guarnaccia (a cura di), SuperTele. Come guardare la televisione, Minimum Fax, Roma 2021, pp. 203-204.