Scritto da Lorenzo Cattani
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Negli ultimi anni il Welfare State è stato oggetto di molte critiche e riforme restrittive. In quello che sembra essere diventato il paradigma dominante, globalizzazione ed efficienza economica sono diventati i pilastri dell’attacco al Welfare State, considerato ormai un costo che appesantisce l’economia. I tagli al welfare sono visti come necessari per stimolare la crescita economica e raggiungere la piena occupazione. Inoltre il mondo sempre più globalizzato e senza confini in cui viviamo ha fatto si che il Welfare State, insieme alla social-democrazia, debba essere sacrificato per via di una mobilità dei capitali che mette seriamente in crisi le capacità fiscali dello stato nazione.
Ora che i capitali hanno possibilità di muoversi liberamente attraverso le frontiere, non solo i governi sono costretti a tagliare i programmi di welfare, ma possono spostarsi verso paesi dove la tassazione è minore o il costo del lavoro più basso. I governi, se non vogliono affrontare il rischio di un’emorragia determinata dal flusso di capitali in uscita, devono dimostrare che percorreranno la via della prudenza fiscale.
Dal lato economico, soprattutto da parte del pensiero neo-liberista, sono state mosse due critiche fondamentali al Welfare State. La prima è che la spesa pubblica riduce gli investimenti privati tramite un processo di spiazzamento. Questo abbassa i livelli di crescita e rende completamente vane politiche di sostegno all’occupazione tramite programmi finanziati pubblicamente. La seconda critica è la diretta conseguenza della prima: il Welfare State fornisce disincentivi alla crescita e incoraggia gli individui ad uscire dal mercato del lavoro e vivere a spese dello Stato.
Col passare del tempo tali critiche si sono talmente radicate che anche la sinistra, che come suggerisce Salvatore Biasco nel suo libro “Regole, Stato, Uguaglianza” (già recensito da Pandora), non ha saputo creare “un formidabile apparato di pensiero” con cui opporsi al neo-liberismo optando per una postura difensiva, ha accettato tale realtà più o meno a malincuore. Tuttavia, queste critiche ignorano le condizioni storiche che hanno portato all’affermazione del Welfare State dopo la seconda guerra mondiale e gli obiettivi che il Welfare State si proponeva di raggiungere. Per poter capire quale debba essere il destino dello stato sociale non si può prescindere dall’analisi della sua dimensione storica e anche di quella politico-economica, prendendo in esame le strutture istituzionali con cui il Welfare State ha interagito nel corso del tempo. È opinione di chi scrive che, una volta condotta una simile analisi, si possa concludere che vivere in un mondo globalizzato sia possibile solo tramite un’espansione, e non un taglio, delle reti di protezione che adattino il Welfare State alle nuove sfide della globalizzazione e della nuova fase storica che le economie europee stanno affrontando.
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Indice dell’articolo
Pagina corrente: C’è un futuro per il welfare europeo?
Pagina 2: La prospettiva storica
Pagina 3: Welfare e crescita
Pagina 4: La liberalizzazione del welfare in Europa
Pagina 5: Pubblica istruzione e politiche di attivazione “human capital”: due possibili inizi per un nuovo welfare?