Scritto da Enrico Cerrini
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Continua la serie di articoli sulla storia delle acciaierie di Piombino, iniziata con il contributo riferito alla produzione dell’acciaio. Questo articolo si prefigge di evidenziare i più importanti avvenimenti nella storia dell’assetto societario dello stabilimento siderurgico fino al 2008, prendendo ancora spunto e valorizzando quanto scritto da Pier Luigi Panciatici in “La siderurgia a Piombino. Uno stabilimento e una città”, pubblicato da una casa editrice locale nella prima metà degli anni Novanta. Per gli avvenimenti successivi a quelli narrati da Panciatici, l’articolo prende spunto dal volume “Radici di Ferro e Futuro d’Acciaio. Uno Sguardo Comunicativo sull’Identità di Piombino”, di Marco Bracci pubblicato da Liguori editore nel 2012, oltre che da alcuni articoli di quotidiani locali tra cui un’intervista all’ex segretario FIOM Giuseppe Bartoletti apparsa su “Il Tirreno”.
La città di Piombino si affaccia all’Unità d’Italia come un borgo di circa 3.300 anime che si occupano di agricoltura e pesca, mentre nel resto del paese, grazie all’antica tecnica dei forni alimentati a carbone di legna, si producono 25.000 tonnellate di ghisa all’anno. Pochi anni dopo, nascono i primi due stabilimenti siderurgici piombinesi, ovvero la Magona d’Italia e la Ferriera Perseveranza.
Quest’ultima viene istituita nel 1865 su iniziativa di Iacopo Bozza e vi lavorano circa 70 operai, per lo più detenuti del carcere cittadino. Dieci anni dopo, il Credito Mobiliare Italiano ne acquista la proprietà e ne cambia la denominazione in Stabilimento Metallurgico. In questo momento appare una delle figure chiave nella vita dell’acciaieria, l’Ingegner Dainelli, il quale mette a punto le prime svolte tecnologiche e concorda con la pubblica amministrazione le prime opere funzionali alla crescita dello stabilimento.
Dainelli, stimolato dalle decisioni del governo di collegare la maggior parte dei centri urbani tramite ferrovia e di considerare l’acciaio come un prodotto strategico, progetta la costruzione di uno stabilimento a ciclo integrale che possa produrre rotaie. Inizialmente non ottiene i necessari finanziamenti, ma più tardi lo stesso ingegnere sfrutta un nuovo cambio societario per realizzare il grande stabilimento che ha in mente. Nel 1897 si forma la società Altiforni e Fonderie di Piombino con sede a Firenze, mentre il ciclo integrale entra in funzione nel 1908.
Dall’ILVA alla statalizzazione
In occasione del cambio societario del 1910, la fabbrica piombinese confluisce nella società Altiforni e Acciaierie d’Italia, la quale avvia un altro stabilimento a ciclo integrale ovvero quello di Bagnoli, nel golfo di Napoli. Pochi anni dopo, la stessa società entra a far parte di un consorzio che raggruppa tutti i produttori di ghisa d’altoforno e almeno la metà dei produttori d’acciaio. Si crea l’ILVA Altiforni e Acciaierie d’Italia e lo stabilimento toscano diventa parte integrante di un grande sistema di fabbriche.
ILVA è l’antica parola romana con cui veniva denominata l’isola d’Elba, uno dei luoghi di nascita della fusione del ferro nella penisola italiana. La società è costituita a Genova da un gruppo di finanzieri e industriali locali nel 1905 e vi confluiscono alcune società liguri oltre che l’acciaieria umbra di Terni, a cui si aggiunge la società Elba legata allo sfruttamento delle miniere elbane. Dopo alcuni anni difficili per il mercato dell’acciaio italiano, nel 1911 gli industriali si accordano con le banche creando il Consorzio ILVA.
Due crisi successive stravolgono gli assetti societari. Negli anni Venti la Banca Commerciale Italiana (COMIT) rileva la proprietà dell’ILVA in quanto maggior creditore di una società con un valore azionario in discesa e in stress da sovrapproduzione. Durante la crisi mondiale del 1929, la COMIT inizia a vendere i pacchetti azionari all’ente pubblico IRI, il quale diviene il principale azionista di ILVA nel 1934. La guida è assunta dal presidente Oscar Sinigaglia, il quale crede nel ciclo integrale e nel futuro di quegli stabilimenti la cui vicinanza ai porti facilita le importazioni di materie prime. La sua presidenza è breve perché viene estromesso dalla vita pubblica a seguito della promulgazione delle leggi razziali.
Il passaggio dell’ILVA sotto il controllo pubblico segna la fine della storia privata dello stabilimento toscano. L’imprenditoria privata lascia alla città un retrogusto amaro, perché gli imprenditori che hanno guidato questa fase, anche se lungimiranti, si sono mostrati poco legati al territorio. Le conoscenze della classe dirigente non sono state trasmesse alla cittadinanza e conseguentemente non è stato creato un tessuto di imprenditorialità locale che avrebbe garantito un certo grado di differenziazione economica.
Si deve tener conto che le scelte effettuate durante questa prima fase hanno caratterizzato la gestione futura dello stabilimento. La grande crisi del 1929 ha solo certificato come fabbriche di tale dimensione e complessità non potessero essere gestite da un gruppo privato durante la fase embrionale del capitalismo. Al contrario, l’imprenditoria privata è fiorita nelle fabbriche bresciane, dove si scelse di produrre acciaio utilizzando il rottame con impianti caratterizzati da minori costi, minori dimensioni e minore qualità.
L’IRI inquadra lo stabilimento piombinese nella società finanziaria volta a elaborare programmi di sviluppo per la siderurgia nazionale, la Finsider. La gestione pubblica continua fino al 10 settembre 1943, quando la popolazione piombinese si rifiuta di essere assoggettata dalle forze tedesche a seguito dell’armistizio, innescando quella battaglia di Piombino per cui è stata riconosciuta la medaglia d’oro al valore militare alla città. Dopo la battaglia, la fabbrica viene occupata dai tedeschi e pesantemente bombardata dalle forze alleate, fino ad essere quasi completamente distrutta.
La gestione pubblica di Finsider
La guerra danneggia gravemente tutti gli stabilimenti Finsider, tanto che si rende necessario un grande piano che preveda sia la ricostruzione che il rinnovamento e lo sviluppo della siderurgia italiana. Il piano che prende il nome di Oscar Sinigaglia, ritornato come presidente Finsider, presuppone di sfruttare l’elevata domanda internazionale di acciaio in modo da valorizzare una risorsa strategica in grado di accrescere i livelli occupazionali. I finanziamenti del piano Sinigaglia attingono al piano Marshall e sono volti ad investire in stabilimenti considerati strategici oltre che creare il terzo polo a ciclo integrale a Cornigliano, alle porte di Genova.
Grazie a questi sforzi nel 1957 viene completata la nuova acciaieria all’interno dello stabilimento toscano, ormai trasformatosi in una città nella città, la quale si estende su una superficie di 900.000 mq, di cui 11.200 al coperto, dispone di una rete ferroviaria lunga circa 45 km e una rete stradale di 10, per un’occupazione totale di circa 2.500 unità, di cui 2.200 operai, 100 intermedi, 200 impiegati e 10 dirigenti. Al di fuori dello stabilimento, si contano circa 30.000 abitanti.
Nel 1961 si fondono le due aziende controllate da Finsider, l’ILVA e la Cornigliano, e si istituisce la società Italsider Altiforni e Acciaierie riunite ILVA e Cornigliano SpA. Continuano gli investimenti e salgono i livelli occupazionali non tanto per necessità produttive quanto per la consapevolezza che l’impiego nelle industrie statali abbia anche un’importante funzione sociale. A decisioni economicamente poco razionali ma mosse da nobili principi, la politica alterna scelte meno oculate e si presentano quelle inefficienze che sanciscono il lento declino dell’imprenditoria pubblica. Ad esempio, i prezzi di produzione lievitano perché a Piombino si produce l’acciaio grezzo che viene lavorato a Bagnoli per essere poi trasformato in tubo di nuovo a Piombino.
Negli anni Settanta la Finsider concentra i suoi sforzi nella creazione del quarto e ultimo stabilimento a ciclo integrale, quello di Taranto, e la fabbrica di Piombino sente il bisogno di un supporto privato. A questo scopo si utilizza un ramo del gruppo Finsider per creare una società ad hoc, le Acciaierie di Piombino SpA, la quale ha sede sociale a Piombino ed è partecipata da FIAT con il 49% delle azioni. La nuova gestione installa una seconda colata continua con cui produrre piani larghi per il socio Italsider e piani stretti per il socio FIAT.
La seconda colata continua introduce l’ultima lavorazione di prodotti piani nella vita dello stabilimento, visto che continua la specializzazione nei prodotti lunghi, che nel resto del paese sono per lo più fabbricati da privati a mezzo di forni elettrici. Sebbene l’acciaio prodotto dal ciclo integrale abbia una qualità superiore, lo stabilimento toscano deve competere con i costi minori dei privati. Iniziano allora a pesare le scelte politiche che hanno aggravato i costi e si sceglie di implementare una strategia incentrata sulla differenziazione facendo ingresso nel mercato degli acciai speciali, caratterizzati da una componente chimica diversa rispetto agli acciai comuni.
Ma l’era siderurgica volge al termine e gli anni Ottanta rappresentano la fine del successo del settore dato che si intravedono le problematiche ambientali e la domanda di acciaio non appare più illimitata. Le aziende del gruppo Italsider subiscono un repentino peggioramento dei conti e alcune vengono messe in liquidazione. Il governo decide di ritornare al vecchio nome di ILVA.
Inizialmente, l’autorità politica ha in mente una strada diversa per quanto riguarda le Acciaierie di Piombino SpA, ovvero il raggruppamento degli stabilimenti che producono acciai speciali. Nel 1984, sotto la guida dello stabilimento toscano, che ha già acquisito il controllo delle fabbriche di Porto Marghera e San Giovanni Valdarno, si forma il gruppo Deltasider SpA, il quale assorbe l’ex Breda Siderurgica e l’ex Acciaieria FIAT. Ma la crisi in atto evidenzia sia i problemi di sovrapproduzione che lo scarso interesse del sistema industriale italiano per la qualità dell’acciaio. Nel 1988, la fabbrica di Piombino viene reintegrata nell’ILVA.
La privatizzazione dell’acciaio
Inizia l’ultima e dolorosa ristrutturazione della siderurgia statale, condotta con l’intento di diminuire i costi e renderne l’acquisto appetibile ai clienti. La ristrutturazione consiste nell’ottenere un assetto occupazionale simile a quello dei concorrenti privati attraverso lunghe trattative e un forte ricorso ai prepensionamenti che fa diminuire la manodopera di più di 2.000 unità rispetto al picco di 7.000 addetti raggiunto nel 1983. Nel 1992, l’ILVA crea la società Acciaierie e Ferriere di Piombino per vendere lo stabilimento separatamente alle fabbriche di Taranto e Novi Ligure, le quali possono interessare acquirenti diversi dato che producono prodotti piani. La nuova società è partecipata dal gruppo Lucchini presieduto dal cav. Luigi Lucchini, imprenditore bresciano. Nel 1995 la società vede la completa cessione dell’azionariato pubblico e cambia nome in Lucchini Siderurgica, per poi diventare Lucchini SpA nel 1998.
Il 1992 rappresenta l’anno più drammatico per la città perché la gestione pubblica decide di effettuare l’ultimo taglio occupazionale. L’azienda invia 780 lettere di licenziamento e i sindacati proclamano uno sciopero generale caratterizzato da una dura protesta durata 38 giorni, che coinvolge blocchi sia ferroviari che stradali e ottiene la solidarietà della cittadinanza. Lo sciopero si risolve con la ripresa delle trattative e la ripresa della cassa integrazione a rotazione a cui seguono i contratti di solidarietà e infine nuovi prepensionamenti.
La privatizzazione rappresenta la riscossa della piccola imprenditoria bresciana sulla grande impresa pubblica. Un imprenditore definito il re del tondino, proprietario di fabbriche che producono acciaio a basso costo, compie una serie di acquisti nella siderurgia pubblica, dei quali lo stabilimento toscano è il fiore all’occhiello. Nel 1992 Lucchini acquisisce infatti la polacca Huta Warszawa, nel 1993 è la volta della Ferriera di Servola a Trieste e nel 1999 della francese Ascometal. Il fatturato del gruppo cresce passando dai 25 miliardi di lire degli anni Settanta agli oltre 3.000 degli anni Novanta, mentre l’occupazione raggiunge i 10.000 addetti.
Nel 2002 inizia la crisi finanziaria del gruppo Lucchini, il quale trova difficoltà ad importare materie prime in dollari quando il prezzo del biglietto verde è più alto. Le banche creditrici, timorose dell’insolvibilità del gruppo, incaricano il noto manager Enrico Bondi di ristrutturare la società. Bondi trasforma l’assetto societario di Lucchini SpA creando numerose Business Unit operative, tra cui la Lucchini Piombino SpA, facenti capo ad una holding finanziaria. Ma la crisi non è risolvibile con la semplice ristrutturazione finanziaria e il cav. Lucchini nel 2005 effettua un aumento di capitale sociale che consente a Severstal di acquisire il 62% della società.
Severstal è una società russa guidata dal magnate Alexei Mordashov e rappresenta uno dei più grandi complessi siderurgici mondiali. Al netto della facile ironia circa il destino di una città dal passato comunista che vende il suo gioiello ai compagni russi, l’ingresso della nuova dirigenza è ben visto dalla popolazione. Si sentono i benefici di far parte di un gruppo internazionale dotato di immense risorse, il quale avvia un’interazione positiva con l’amministrazione pubblica completamente assente nell’era Lucchini. Allo stesso tempo, l’amministrazione comunale chiude gli impianti più inquinanti tramite un’ordinanza e sembrano aprirsi prospettive concrete di ammodernamento.
La crisi economica del 2008 rivela invece le problematiche di far parte di un grande gruppo internazionale le cui decisioni essenziali sono prese ben lontano dalla fabbrica. Ai primi venti di crisi, il magnate Mordashov si mostra intenzionato a fuggire col malloppo degli utili accumulati negli anni di bonaccia, lasciando la città al suo destino. Un destino, che ad oggi sembra ancora lontano dall’essere compiuto.