Scritto da Anna Salfi
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Il progetto “Adotta un sovversivo dell’Archivio di Stato di Bologna” permette di consultare le carte della Questura di Bologna relative ai fascicoli dei “Sovversivi” e raccogliere nuove e più dettagliate informazioni su donne e uomini oggetto di attenzione da parte delle forze di polizia. Grazie a ciò le informazioni su Argentina Bonetti in Altobelli (1866 – 1942) si sono ulteriormente arricchite.
Ma lei chi era? Una testolina vivace e una lingua sciolta quelle della piccola Argentina. Nata a Imola in una famiglia dai sentimenti patriottici, nel suo girovagare tra Parma e Bologna con gli zii cui era stata affidata si era sin da subito dimostrata assetata di libri, per lei una passione da preferire a ogni altra cosa. La sua era, così divenuta una biblioteca “babilonica” ed eterogenea, tanto da interessare una beghina che riuscì a insinuare negli zii preoccupazioni circa la salute della piccola e a indurli a dar fuoco a quel suo tesoro. Il primo grande dolore della sua vita! Ma non si arrese e, ancora giovanissima ebbe il suo battesimo come conferenziera. Giovanissima affrontò in pubblico un tema impegnativo: “L’emancipazione della donna”, si era nell’anno 1884 e, di lì in avanti, Argentina continuò a leggere, parlare, scrivere e, più tardi, organizzare la gente dei campi. Un impegno che l’accompagnò lungo l’arco della vita sempre e comunque «dalla parte dei più deboli», vivace, generosa, battagliera eppure profondamente umile.
L’attivismo di Argentina e la sua capacità di convincere e trascinare le folle presto suscitarono l’interesse delle autorità di pubblica sicurezza. Sin dal 1894 i rapporti della polizia si susseguirono fornendo informazioni dettagliate, a tratti curiose «era … di corporazione complessa» (!?). Di certo la seguirono ovunque, nei comizi e negli incontri avuti per promuovere l’organizzazione sindacale nelle campagne, atti che riempiono di informazioni i vuoti dovuti alla distruzione delle carte della Federterra, la Federazione dei lavoratori della terra da lei diretta, durante l’assalto squadrista avvenuto nel 1921 a Bologna[1]. Perché spiata? Non poteva dirsi eversiva in senso stretto per il senso istituzionale che manterrà tutta la vita. Certo era propugnatrice di un’idea, quella socialista, evidentemente considerata in sé sovvertitrice dell’ordine stabilito. La sua fu una vita dedicata all’affermazione di una società più giusta ed equa, alla causa femminile intesa non solo come eguaglianza delle condizioni di lavoro e/o salariali, ma come emancipazione civile.
Quando, in Italia, la rivendicazione del diritto di voto femminile ebbe come capofila Anna Maria Mazzoni, un’altra donna di rilievo, Maria Montessori incitò le maestre a iscriversi alle liste elettorali argomentando come le maestre disponessero di un sostentamento economico e un livello culturale congruo, elementi che attribuivano agli uomini il diritto all’elettorato che neanche per loro era universalmente riconosciuto. Argentina entrò da nel dibattito chiedendo esplicitamente anche per le donne dei campi – sicuramente prive di istruzione se non di reddito – il diritto al voto in quanto totalmente consapevoli e in grado di esprimersi nel voto per essersi formate in quell’agone che era la vita dei campi.
La vita di Argentina si intrecciò con le vicende del movimento socialista di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento quando andavano formandosi anche le prime organizzazioni sindacali nei campi e l’agricoltura era il perno dell’economia nazionale. La permanenza a Parma fu l’occasione che per incontrare giovani mazziniani che facevano riferimento a Guido Albertelli e per rivelare una spiccata attitudine a comizi e conferenze. Tuttavia, era stata già conquistata, si definiva «infatuata”, dagli scritti e dall’azione di Andrea Costa: «abbracciai il socialismo come una religione», parole che definiscono lo slancio col quale Argentina si avvicinò al pensiero socialista. Eppure, Andrea Costa, apostolo imolese del socialismo che all’epoca non aveva ancora scelto di abbandonare la visione anarchica[2], incontrandola, non fu generoso con lei[3] «… io mi aspettavo (da Andrea Costa) una parola di elogio o, meglio, di incoraggiamento per l’opera che davo con tanta fede al socialismo. Egli, invece, guardandomi mi sorrise e mi disse: Una figliola come te deve fare all’amore e non occuparsi di politica perché essa è pericolosa e chissà dove potrebbe trascinarti …».
Nella sua militanza nel Partito Socialista si schierò con Filippo Turati anche in occasione del Congresso di Livorno e, con lui, seguì, nel 1922, Giacomo Matteotti quando quest’ultimo diventò Segretario del PSU – Partito Socialista Unitario, fondato dopo il Congresso di Roma che espulse dal PSI la corrente riformista e gradualista. Argentina condivise tale scelta con Filippo Turati, Claudio Treves e Lina Merlin. E tuttavia l’adesione alla corrente riformista, non le impedì di scontrarsi apertamente con Rinaldo Rigola l’allora Segretario generale della CGdL – la Confederazione Generale del Lavoro entrando in aperto contrasto con la posizione assunta da quest’ultimo rispetto all’avanzare del fascismo e alla visione corporativa del regime. Sotto la sua guida, la Federazione dei lavoratori della terra risorse e, arrivò a contare a quasi un milione di iscritti all’epoca del suo scioglimento a opera del fascismo.
Occorre fare un passo indietro per comprendere l’evoluzione del movimento contadino, le sue forme di aggregazione e il ruolo che riguardo a ciò svolse Argentina. Dalle società di mutuo soccorso sorte tra fine Ottocento e inizio Novecento per fornire solo ai propri soci misure di autotutela, socialità o di educazione civica e politica, si era passati alla nascita delle leghe definite per singolo mestiere e, quindi, alle Federazioni di categoria (la Federterra, la Federazione metallurgica, la Federazione muraria). Un processo evolutivo volto a creare un movimento di massa utile a pesare maggiormente nei confronti dei datori di lavoro e che andava acquisendo caratteristiche più rivendicative e contrattuali. Argentina contribuì in maniera determinante alla formazione di tale coscienza collettiva – di classe – non limitata a ottenere migliori condizioni di lavoro, ma che sapesse tenere insieme le differenti aspettative ed elevare la condizione di lavoro, soprattutto, quella delle donne dei campi.
La Federazione nazionale dei lavoratori della terra si costituì proprio a Bologna il 24 e 25 novembre del 1901, a presiederla Carlo Vezzani di Mantova e Argentina partecipò in rappresentanza della Lega di Malalbergo. Il Congresso aveva chiamato alla Presidenza dell’assise Andrea Costa, a lui Argentina avanzò la richiesta di integrare la Presidenza del Congresso con una mondina di Molinella: Adalgisa Lipparini e l’esplicita esortazione alle contadine e alle mondine presenti a prendere parola sui temi a loro cari. Adalgisa, a chiusura del Congresso, grazie anche al sostegno di Argentina, entrò a far parte del Consiglio Nazionale della Federterra[4] e Mantova fu fissata come sede nazionale. Furono anni non facili dovuti anche a un fatto eccezionale. Le migliaia di iscritti della prima ora si ridussero drasticamente a causa della disoccupazione indotta dalla crisi di vendita del grano italiano dovuta al minor costo del grano proveniente dall’America. Ne seguirono conflitti interni e fratture tra le correnti di diverso indirizzo politico e, per la riduzione del numero degli aderenti, la Federazione assunse la forma più leggera di Segretariato. Nel 1905 la sede fu spostata a Bologna e Argentina ne assunse la direzione. Nel 1906 il Segretariato riprese la forma di Federazione nazionale eleggendo Argentina come Segretaria.
Intanto a Bologna il 12 gennaio del 1902 era già stata costituita anche la Federazione provinciale dei lavoratori della terra a seguito del primo Congresso nazionale del 1901. Tale Federazione provinciale ebbe la sua sede bolognese in una stanzina della Camera del Lavoro in via Marsala e registrò come affiliate 37 leghe per un totale di 9.000 aderenti. Già al 2° Congresso del 1906 la Federazione provinciale avrebbe contato 23.000 iscritti, al 3° Congresso del 1908 34.000, al 4° del 1911 gli iscritti erano saliti a 35.000 per scendere nel 5° Congresso a 20.000 a causa della Grande Guerra e risalire nel 1921 al 6° Congresso a 71.000 unità[5] e, nello stesso anno Argentina vide approvare dal Consiglio Nazionale dei Lavoratori della Terra tenuto a Milano dal 10 al 12 febbraio, la sua proposta di adesione all’Internazionale delle Federazioni dei Lavoratori della Terra[6].
Argentina consapevole di dover toccare sia la mente che il cuore dei lavoratori dei campi seppe scegliere di volta in volta gli strumenti più utili ed efficaci: articoli sui giornali (La Difesa delle Lavoratrici, La Lotta, La Squilla …) ma anche pièce teatrali come La zappa sui piedi[7] o raggiungendo direttamente nei campi chi voleva convincere e mobilitare. Voleva unire chi sino ad allora era stato diviso. Nel 1904, nei confronti delle krumire, ingaggiate per sostituire le mondine di Molinella (Bologna) in sciopero, seppe avere parole argomentate anche se non divisive, con l’intento di convincerle delle ragioni e del grande valore della solidarietà da opporre all’arroganza degli agrari. Questi, contro chi scioperava avevano chiesto l’intervento del Prefetto e delle forze dell’ordine e ingaggiato manodopera sostitutiva a chi chiedeva solo una conferma dei patti contrattuali. Sua la Lettera aperta alle krumire pubblicata sul giornale socialista di Bologna, La Squilla[8].
In quel tempo, le conferenziere erano figure femminili diffuse anche nell’ambito sindacale, deputate a diffondere idee nuove verso una popolazione prevalentemente analfabeta. Erano vere e proprie figure incaricate di tenere comizi e conferenze, ma la capacità organizzativa di Argentina la portò molto presto a uscire da tale orbita ristretta per acquisire incarichi di direzione come poche donne, all’epoca riuscirono a fare. Se Argentina fu Segretaria generale della Federterra per anni e con risultati di altissimo livello, anche lei, dovette continuamente combattere contro i pregiudizi di un mondo che confinava le donne a ruoli marginali e muliebri. Ma se l’umiltà fu una caratteristica propria di questa donna, non era disgiunta da un carattere volitivo e determinato e Argentina fu una delle uniche tre donne che tra il 29 settembre e il 1° ottobre del 1906 a Milano firmarono il Patto che diede i natali alla Confederazione Generale del Lavoro – la CGdL. Una visione inclusiva e completa del mondo del lavoro e dei bisogni materiali e immateriali delle masse operaie fu ciò che la contraddistinse e che la portò a essere tra i fondatori della Cassa Nazionale Infortuni.
Testimone del suo sguardo largo sui problemi del lavoro nei campi e della condizione più privata e personale di chi viveva del proprio lavoro sta la Relazione della Commissione italiana su la Emigrazione agricola in Brasile del 1912, che indagò sulle effettive condizioni dei connazionali emigrati per finalizzare le successive norme in relazione alle correnti migratorie dei lavoratori italiani. A tale opera di ricerca aderì e contribuì come Federterra poiché «… in uno Stato ove centomila lavoratori emigrano ogni anno, giunga la nostra voce incoraggiatrice, il nostro ausilio, la nostra solidarietà per l’opera che noi intendiamo, e auspichiamo mondiale, di emancipazione proletaria»[9]. Questa visione competente e aperta rendeva Argentina interlocutrice assidua di istituzioni pubbliche e anche di personalità di spicco come Anna Kuliscioff che a lei si rivolgeva chiedendo informazioni e ragguagli sulla vita concreta delle donne de campi. Proprio con la Kuliscioff operò per una regolamentazione legislativa del lavoro delle donne. Ancora più tardi, nell’agosto del 1920, si recò ad Amsterdam per partecipare al Congresso che fondò l’Internazionale dei Lavoratori della Terra dove illustrò dettagliatamente la situazione italiana e del movimento contadino sia dal punto di vista politico, che sindacale e organizzativo.
Nell’arco della sua vita dovette affrontare un altro tema scottante: cosa pensare e quale atteggiamento assumere nei confronti della guerra. Il Partito Socialista Italiano, nato nel 1892 si fondava su di una chiara impronta internazionalista. Tuttavia, ben presto e più volte, si ritrovò ad affrontare il dilemma della pace, che fu motivo di accese dispute, di dibattiti e di posizioni contrastanti sia nel 1911 in occasione dello scoppio della Guerra italo-turca, più comunemente conosciuta come Guerra di Libia e, ancor più, in occasione dello scoppio del primo conflitto mondiale con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915. Nel settembre del 1911 Argentina espresse esplicitamente sulla stampa i motivi della Federazione contrari alla spedizione di Tripoli asserendo come il proletariato agricolo dovesse ripetere ogni giorno il grido «né un uomo, né un soldo per la guerra». Tale «spreco delittuoso» – così lo definì – non poteva essere consentito quando urgevano «… misure contro la malaria, bisogni di bonifica e di rimboschimento e dormono le leggi sociali …» e anche: «l’Italia è schiava del capitale straniero, mentre è esportatrice di braccia e presenta la desolazione delle folle incolte, ignoranti, superstiziose …» [10].
Ancora una volta è dalle carte di polizia che emerge come Argentina si fosse recata a Berna nel 1915 per incontrare Angelica Balabanoff altra socialista, di origine ucraina, che come lei aveva espresso la sua contrarietà alla guerra, ma che non aderiva alla corrente politica turatiana di Argentina, bensì a quella intransigente di Enrico Ferri. Le due donne si incontrarono. Argentina, sorvegliata, confermò la sua contrarietà al conflitto, ma le due donne si trovavano, tuttavia, in condizioni e ruoli molto diversi. La prima politica e giornalista, la seconda dirigente di un’enorme organizzazione sociale che, in quanto tale, non poteva di certo scegliere da sola come Angelica invece era libera di fare se rappresentanza significa sia esprimere il pensiero dei rappresentati che dar loro conto. Argentina si espresse, certamente, contro la guerra, definendo la Federazione come «antiguerresca», ma lo fece con le armi sue proprie «… contro la guerra, per il lavoro! … » . Stilò un manifesto che smascherava la posizione guerrafondaia del Governo e incitò alla mobilitazione, comprendendo che le ragioni del patriottismo celavano ben altri interessi, ma ne era sfiduciata e mortificata, comprendendo quanto il dado fosse stato ormai tratto. La guerra ci sarebbe stata, come poi regolarmente ci fu.
Ormai la Federazione contava migliaia e migliaia di iscritti ed era radicata in oltre venti territori provinciali. C’erano da arginare gli effetti della guerra sulla vita dei lavoratori dei campi e da gestire la loro molteplice e complessa rappresentanza. Dopo la guerra gli anni che precedettero la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922 furono segnati da violenze e aggressioni alle sedi sindacali, alle Camere del Lavoro, alle Case del Popolo. La dimensione crescente dei fatti violenti e degli assalti squadristi rendeva evidente il pericolo che la dimensione della rappresentanza del movimento contadino aveva assunto e la notte tra il 25 e 26 gennaio del 1921 i fascisti assaltarono la Camera Confederale del Lavoro di Bologna, sita in Via D’Azeglio e lo stesso 26 gennaio 1921 invasero e distrussero la Società Operaia e l’attigua sede della Federazione Nazionale dei Lavoratori della Terra. Il 1921 fu anche l’anno di nascita del sindacalismo fascista corporativo cui avevano spianato la strada gli assalti squadristi agli uffici di collocamento, fulcro della gestione del mercato del lavoro da parte del sindacato e della capacità contrattuale delle leghe.
Nel 1924 Giacomo Matteotti venne assassinato. Il parlamentare aveva puntato il dito contro le violenze e i roghi fascisti. Aveva svelato le collusioni economiche e politiche che sorreggevano l’impianto politico ed economico del fascismo ormai prossimo alla dittatura. Era solo l’inizio. Argentina, si ritirò dalla vita sindacale attiva nel 1924[11] e si trasferì a Roma, continuando a essere sorvegliata e vivendo anni di miseria, di riflessioni e di rimpianti.
Le giunse da parte di Benito Mussolini la proposta di collaborare con il regime che rifiutò decisamente. Fuori dall’impegno sindacale diretto, le fu anche impedito di assumere alcun impiego pubblico fino a quando, ricevette un incarico di collaborazione da parte della Cassa Nazionale delle Assicurazioni dove lavorò come bibliotecaria per spegnersi a Roma, solo qualche anno prima della fine della Seconda guerra mondiale.
[1] Fascicoli dettagliati di polizia sono presso l’Archivio di Stato di Bologna e il Casellario Politico Centrale dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma.
[2] Andrea Costa Lettera agli amici di Romagna.
[3] Argentina Bonetti Altobelli, Manoscritto, Ediesse, Roma.
[4] “Adalgisa Lipparini”, Biografia in Profili biografici di Sindacaliste emiliano romagnole 1880-1980, Fondazione Argentina Bonetti Altobelli.
[5] Luigi Arbizzani, Sguardi sull’ultimo secolo. Bologna e la sua provincia 1859-1961, Edizioni Galileo, Bologna 1961.
[6] «La Terra», Milano, 15 febbraio 1921.
[7] Manoscritto originale de La zappa sui piedi, presso l’Archivio comunale di Imola (BO).
[8] Argentina Bonetti Altobelli, Lettera aperta alle krumire, «La Squilla», Bologna, 20 agosto 1904.
[9] Argentina Bonetti Altobelli, Alle organizzazioni operaie di resistenza e cooperazione, Premessa alla pubblicazione della Relazione della Commissione italiana 1912 – Emigrazione agricola al Brasile, Casa Editrice U. Berti, Bologna 1912.
[10] Argentina Bonetti Altobelli, «La Squilla», Bologna, 23 settembre 1911.
[11] ACS, Mi, DGPS, CPC, Argentina Altobelli, b.723.