Recensione a: Giovanni B. Andornino (a cura di), Cina. Prospettive di un paese in trasformazione, il Mulino, Bologna 2021, pp. 352, euro 25 (scheda libro)
Scritto da Clara Galzerano
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La proliferazione di pubblicazioni riguardanti la Repubblica Popolare Cinese (RPC) negli ultimi due anni, soprattutto in seguito al diffondersi dell’epidemia da Covid-19, sottolinea l’urgenza registrata dal pubblico di comprendere una realtà che è percepita come lontana e di difficile comprensione. Guardando velocemente alle tendenze delle nuove uscite risulta infatti chiaro che l’audience italiana avverte la necessità di cogliere i cambiamenti di una realtà complessa e sfaccettata[1], che, d’altro canto, viene avvertita come una minaccia per l’Occidente e per l’ordine internazionale[2].
Oggi la Cina è dunque sempre più spesso al centro del dibattito pubblico e, di conseguenza, le dinamiche che avvengono nel Paese asiatico rischiano di rimanere in balia di una narrazione semplicistica e monodimensionale. Alcune delle pubblicazioni citate pocanzi cercano proprio di scardinare alcune letture aprioristiche legate alla permanenza di stereotipi orientalistici che pervadono sia il discorso politico che l’immaginario collettivo occidentale. Anche Cina. Prospettive di un paese in trasformazione a cura di Giovanni B. Andornino raccoglie questa sfida, studiando i cambiamenti che stanno avvenendo in Cina con rigore scientifico. A differenza delle opere precedentemente citate, però, Andornino chiama in campo una serie di esperti che, attraverso un’ampia gamma di saggi brevi, approfondiscono i diversi ambiti in cui sta avvenendo questo cambiamento. Il volume cerca di fornire risposte alle seguenti domande: in cosa consistono concretamente i mutamenti che si stanno verificando all’interno della RPC e nella sua posizione sullo scacchiere internazionale? Perché negli ultimi dieci anni si parla di una Cina più assertiva?
Andornino introduce il complesso dei contributi soffermandosi proprio sul vivo interesse che gli osservatori internazionali nutrono verso la RPC e il contrasto USA-RPC. L’autore sottolinea che l’accesa rivalità tra le due potenze sarebbe da considerarsi non solo in termini di «primato economico ed egemonia politica», ma, piuttosto, come uno scontro a livello sistemico. La competizione a cui si assiste è dunque ideologica prima che economica e geopolitica. Pechino tende verso la realizzazione di una formula di «modernizzazione autoritaria accelerata»[3] e punta alla promozione di un modello politico, economico e sociale alternativo a quello occidentale. La rotta intrapresa dalla leadership cinese ha portato all’irrigidimento degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, che dopo la crisi finanziaria del 2008 e la problematica gestione della pandemia da Covid-19 hanno visto minata la credibilità della propria proposta politica, ossia il binomio democrazia liberale-capitalismo.
Il quadro interno
La Cina di Xi Jinping nutre dunque ambizioni di «proiezione internazionale sia di carattere materiale che simbolico-discorsivo»[4] e mostra un volto nuovo, segnato da una serie di cambiamenti avvenuti nella politica interna ed estera del Paese negli ultimi dieci anni. A livello interno, in particolare in campo politico-istituzionale, si è verificato un consolidamento del Partito-Stato, che ha portato ad una transizione di stampo neo-autoritario, segnala Andornino. La leadership cinese considera il sistema democratico-liberale vulnerabile e inefficace, mentre ritiene che il proprio regime politico costituisca quello più adatto per la realizzazione del progetto di «grande rigenerazione della nazione cinese»[5].
Parallelamente, sotto l’attuale leadership si sta assistendo ad una forte accelerazione del processo di modernizzazione delle forze armate cinesi, come spiega Simone Dossi. Sul piano della dottrina militare hanno acquisito nuova centralità le tecnologie e il concetto dell’integrazione delle diverse forze, che hanno determinato l’ampiamento degli orizzonti spaziali delle stesse verso nuovi ambiti, come quello marino, extra atmosferico e cibernetico. Questa riforma è stata accompagnata dalla ristrutturazione delle forze armate a livello organizzativo e dalla modernizzazione dei sistemi di difesa[6].
Più in generale, a livello interno, l’ecosistema dell’innovazione tecnologica è quello verso cui la RPC sta dirigendo i propri sforzi. Attraverso la pianificazione centralizzata degli obbiettivi di sviluppo e un massiccio finanziamento statale, osserva Francesco Silvestri, la leadership cinese sta dando una nuova spinta al settore. Gli investimenti nella e-governance, in particolare, hanno consentito l’estrema rapidità dello sviluppo e delle sperimentazioni in questo ambito[7].
Negli ultimi anni, le nuove tecnologie sono state, inoltre, impiegate nella risoluzione dei problemi legati all’inquinamento e al degrado ambientale, come spiega Daniele Brombal. L’autore sottolinea che la visione antropocentrica cinese del rapporto tra esseri umani e natura è stata messa in discussione nell’ultimo decennio. Esso è stato infatti caratterizzato da un’intensa produzione di leggi e regolamenti mirati alla prevenzione e al controllo dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, dall’irrigidimento dei meccanismi sanzionatori in materia e dallo stanziamento di investimenti nel settore del monitoraggio ambientale. Il contributo di Carlotta Clivio approfondisce, parallelamente, il quadro normativo vigente riguardo alla lotta contro il cambiamento climatico e le ripercussioni che esso ha sugli obiettivi a lungo termine della classe dirigente cinese. Nonostante le premesse sembrino aprire a considerazioni ottimistiche, rimangono numerosi ostacoli nell’applicazione della legislazione ambientale, nonché alcune contraddizioni[8].
Martina Poletti e Virginia Mariano dedicano il loro saggio ad alcune trasformazioni che stanno investendo, invece, la società civile cinese. Le autrici sottolineano come il sistema autoritario di Xi Jinping non abbia precluso lo sviluppo di una società civile attiva, sebbene comunque la sua funzione sia da considerarsi complementare rispetto a quella del Partito-Stato, che esercita funzioni di controllo su di essa. Ad esempio, si sono registrate novità positive nel settore delle ONG straniere, che sono state oggetto di studio e regolamentazione, e nel settore filantropico cinese, che risulta ora in espansione. La RPC negli ultimi anni ha anche visto un miglioramento dei livelli di disparità di genere, ma il tasso di questa evoluzione rimane molto lento, come osserva Arianna Ponzini. Il perpetuarsi delle disparità all’interno del Paese è sintomo di una tradizione patriarcale che continua a giocare un ruolo importante in alcuni divari significativi, come il divario di genere alla nascita, quello salariale e quello della partecipazione politica.
Edoardo Agamennone si sofferma invece sull’accelerazione dei processi di riforma cinese in campo economico. La revisione delle normative in questo settore è avvenuta alla luce dell’aumento del debito pubblico e dei tassi di crescita più modesti registrati negli ultimi anni, nonché delle contestazioni mosse dalla comunità internazionale riguardo al sistema economico cinese. In particolare, le imprese pubbliche, segnate da un decennio di declino, hanno registrato un netto recupero in termini di quote di mercato e di utili grazie a «piani di concentrazione forzata»[9]. Lo Stato-Partito però esercita oggi il proprio controllo anche sul settore privato e soprattutto sulle maggiori imprese tecnologiche, grazie alla Legge sulla cybersicurezza emanata nel 2017. Un’importante svolta si è verificata anche sul piano degli investimenti stranieri nella RPC: la Legge sugli investimenti esteri entrata in vigore il 1° gennaio 2020 riduce sensibilmente la differenza di trattamento tra le imprese cinesi e quelle straniere, facilitando le attività di queste ultime.
La Cina popolare nel contesto internazionale
Pechino ha adottato una nuova postura anche all’interno dello scenario globale. Anna Caffarena e Giuseppe Gabusi analizzano il valore attribuito al multilateralismo da parte della Cina, che oggi occupa posizioni di rilievo in diverse organizzazioni, come l’ONU, la FAO, l’OMS, e l’ICAO. Questo crescente attivismo permette alla RPC di perseguire la propria agenda internazionale, ma anche di dimostrare che le idee dei Paesi occidentali «non hanno valenza universale nel nuovo mondo plurale»[10]. Questa nuova tendenza preoccupa l’UE e gli USA, poiché Pechino si presenta come un rivale sistemico, sottolinea Caffarena. Infatti, il multilateralismo europeo differisce in maniera sostanziale da quello cinese. Se il primo si presenta come una forma organizzativa rigida, indivisibile e volta a valorizzare l’interesse collettivo, Pechino riconosce piuttosto un ordine mondiale inteso come struttura leggera e sensibile, di supporto agli obbiettivi dei singoli Paesi. Per questo, la RPC preferisce utilizzare il termine plurilateralismo, che costituisce di fatto un modello alternativo di governance al multilateralismo europeo. Nel suo contributo, Gabusi getta luce su come questa diversità si rifletta sulle relazioni sino-europee e sulle dinamiche che avvengono all’interno di due contesti multilaterali, la Banca asiatica per investimenti in infrastrutture (AIIB) e l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO).
Anche la componente economica costituisce una parte importante delle relazioni sino-europee. Le esportazioni cinesi sono oggi in competizione con quelle dei paesi occidentali, soprattutto per quanto riguarda i prodotti a contenuto tecnologico. A questo proposito, Giorgio Prodi osserva come la RPC compaia solo al nono posto come mercato di sbocco per le esportazioni italiane, ma, al tempo stesso, sia il terzo fornitore per importazioni nel nostro Paese dopo Germania e Francia. In generale, negli ultimi cinque anni il commercio bilaterale è passato dal 4,7 al 4,9% del totale del commercio italiano, dati che riflettono una situazione in linea con quella della maggior parte dei partner europei. Daniele Brigadoi Cologna studia invece un altro aspetto cruciale delle relazioni sino-italiane: la presenza di un’ampia comunità di cinesi d’oltremare in Italia, che fino ad oggi hanno avuto la tendenza a mantenere la cittadinanza cinese.
Una nuova fase dei rapporti tra la RPC e la Santa Sede è invece stata sancita dallo storico Accordo sulla nomina dei Vescovi del 2018, affrontato dal contributo di Elisa Giunipero. L’Accordo avviene in un più ampio contesto di promozione del concetto di «sinizzazione politica» della religione[11], inaugurato durante la Conferenza nazionale sul lavoro religioso del 2016. L’adozione di questo nuovo indirizzo da parte di Pechino è finalizzata al mantenimento della stabilità e dell’ordine sociale interno. Più in generale, l’apertura alla Santa Sede conferma il proseguimento da parte della Cina di una politica estera ambiziosa, che è riscontrabile anche nella sua attività in altre zone geografiche del mondo.
Il lancio della Belt and Road Initiative (BRI) nel 2013 costituisce la cornice istituzionale attraverso la quale Pechino intende armonizzazione il suo progetto politico e commerciale all’estero, nonché l’emblema di questo nuovo attivismo sull’arena internazionale[12]. Ad esempio, nel corso degli ultimi dieci anni la presenza cinese si è rafforzata nella regione del Mediterraneo allargato, come osservato da Enrico Fardella, Andrea Ghiselli, Valeria Garbui e Maria Grazie Giuffrida[13], e nell’area dell’Europa centro-orientale e sud orientale, come sottolinea nel suo contributo Anastas Vangeli[14].
Raimondo Neroni analizza invece i rapporti di crescente collaborazione e integrazione economica tra la Cina e il Sud-est asiatico, zona che rappresenta il teatro dove si consuma più visibilmente la competizione Cina-Stati Uniti sia a livello economico che militare[15]. Le relazioni tra la RPC e Taiwan, osservano Giovanni B. Andornino e Simona Grano, viaggiano invece in una direzione di crescente tensione dopo la rielezione della presidente Tsai Ing-wen e la crisi che si è registrata a Hong Kong in seguito all’emanazione della Legge sulla tutela della sicurezza del giugno del 2020[16].
Questa espansione della Cina a livello internazionale in ambito politico/economico è supportata, come già evidenziato, da una strategia di promozione del modello cinese. All’interno dei vari ambiti in cui si esplica il soft power cinese, il tema della diplomazia culturale costituisce una parte importante dell’agenda politica di Pechino. Nel volume viene riconosciuto il ruolo fondamentale che i media cinesi giocano in questo contesto[17]: essi hanno registrato un periodo di accresciuta espansione al di fuori dei confini nazionali grazie ad una precisa politica messa in atto dalla RPC, analizzata da Emma Lupano nel suo contributo[18]. L’obbiettivo ultimo del Partito-Stato è quello di riappropriarsi dell’agenda informativa sulla Cina e, in particolare, influenzare la costruzione dell’immagine del Paese all’estero.
Conclusioni
La pubblicazione esplora le trasformazioni che hanno interessato il “dragone asiatico” nell’ultimo decennio con «l’intento di ricostruire le basi dell’influenza che la Cina della “nuova era” potrà esercitare […] sul resto del mondo»[19]. La celerità con cui si sono verificati questi cambiamenti e la nuova assertività del Paese asiatico generano sconcerto. I timori e il disorientamento dell’Occidente sono però in parte frutto di un’ipocrisia di fondo: in che modo l’espansionismo e l’assertività cinese risultano essere diverse o più pericolose di quelle statunitensi? Sarebbe utile riflettere su questo punto, in quanto il ritorno della retorica del “pericolo giallo” rischia di ingenerare una risposta più emotiva che logica ai cambiamenti che stanno investendo la Cina e il mondo.
L’epidemia di Sars del 2002-2003, la crisi finanziaria mondiale del 2008 e, infine, la pandemia da Sars-Covid-19 costituiscono delle sfide che hanno richiesto alla Cina delle risposte concrete ed efficaci, e l’hanno costretta dunque ad un cambiamento repentino. Dal 2013, esso è stato portato avanti dalla leadership decisa di Xi Jinping, che ha ottenuto risultati notevoli, come il graduale superamento del differenziale tecnologico con l’Occidente, e persegue progetti ambiziosi, come quello della Nuova Via della Seta. Ciò è stato possibile grazie ad un sistema politico svincolato dalle prassi tipiche degli ordinamenti democratici, che permette la pianificazione a lungo termine in vari ambiti. A livello sociologico, le cause di questa evoluzione possono essere rintracciate nell’espansione della classe media cinese, nonché nel processo di inurbamento della popolazione, che ha portato all’addensamento nelle grandi metropoli cinese di capitale umano, fisico, finanziario e intellettuale.
Il modello cinese sembra dunque essere capace di adattarsi agli sviluppi del Ventunesimo secolo, ma queste trasformazioni stanno facendo emergere nuovi problemi, e il Paese rimane caratterizzato da profonde contraddizioni, come quelle che riguardano le libertà individuali e i diritti umani. Il libro curato da Andornino riesce a mettere in luce sia le potenzialità che i problemi della realtà cinese, offrendo al lettore una trattazione lucida ed esaustiva. La pubblicazione è consigliata in particolare agli addetti ai lavori, ma, nonostante il taglio accademico, costituisce un’opera interessante e fruibile anche per coloro che siano intenzionati a dipanarsi tra i vari volti di una Cina «in continua trasformazione».
[1] G. Messetti, Nella testa del dragone. Identità e ambizioni della nuova Cina, Mondadori, Milano 2020; F. Santelli, La Cina non è una sola. Tensioni e paradossi della superpotenza asiatica, Mondadori, Milano 2021; S. Pieranni, La Cina nuova, Laterza, Roma-Bari 2021.
[2] F. Rampini, Fermare Pechino. Capire la Cina per salvare l’Occidente, Mondadori, Milano 2021; G. Drobot (a cura di), La Cina nel mondo di oggi. Le pretese di leadership globale della Cina. Raccolta di articoli 2021, Edizioni Sapienza, Roma 2021; M. Dian, La Cina, gli Stati Uniti e il futuro dell’ordine internazionale, il Mulino, Bologna 2021.
[3] G. B. Andornino, «Introduzione», in Cina. Prospettive di un paese in trasformazione, p. 20.
[4] Ivi, p. 21.
[5] G. B. Andornino, «Il Profilo politico istituzionale della RPC sotto Xi Jinping», in Cina. Prospettive di un paese in trasformazione, p. 39.
[6] Sebbene gli interessi di Pechino rimangano localizzati nella periferia del Paese, questi sviluppi hanno portato al potenziamento della capacità di proiezione cinese a più lungo raggio. Un altro elemento di novità è costituito però proprio dall’impegno dell’Esercito popolare di liberazione al di fuori del territorio nazionale: si veda la nota n. 13.
[7] Silvestri analizza accuratamente i diversi campi in cui Pechino ha ottenuto risultati significativi: i pagamenti mobili e i big data; le smart city; la sanità; la valuta digitale e la piattaforma Blockchain Service Network; il sistema giudiziario; la sorveglianza; il sistema di credito sociale. F. Silvestri, «L’ecosistema dell’innovazione», in Cina. Prospettive di un paese in trasformazione, pp. 127-167.
[8] La centralità riposta sul consumo interno e sul raggiungimento del benessere materiale del Paese da parte della leadership si scontra con il raggiungimento degli obbiettivi in ambito ecologico. Inoltre, nota Brombal, la società civile, che funge spesso da motore trainante in materia ambientale, in Cina ha spazi molto ristretti. D. Brombal, «Ambiente, ecologia e cambiamento istituzionale», in Cina. Prospettive di un paese in trasformazione, p. 216.
[9] Si tratta di piani di fusione delle stesse e di creazione di oligopoli. E. Agamennone, «Trasformazioni e prospettive dell’economia cinese», in Cina. Prospettive di un paese in trasformazione, p. 78.
[10] A. Caffarena, «Cina, multilateralismo e ordine internazionale», in Cina. Prospettive di un paese in trasformazione, p. 46.
[11] Il concetto di “sinizzazione politica” lascia spazio a diverse interpretazioni. Tuttavia, esso fa riferimento al processo di adeguamento delle comunità religiose presenti in Cina alle direttive del Partito. E. Giunipero, «La politica religiosa della RPC e le relazioni con la Santa Sede», in Cina. Prospettive di un paese in trasformazione, p. 248.
[12] Per un approfondimento sulla BRI, si veda: G. B. Andornino, Cina: le nuove Vie della Seta, approfondimento 140 per l’osservatorio di politica internazionale, ottobre 2018.
[13] In questo arco temporale si è assistito all’aumento del volume delle esportazioni cinesi nell’area, ma anche all’evoluzione della presenza militare del Paese asiatico. Fino al 2013, l’impegno cinese si era limitato alle missioni di peacekeeping, ma, in seguito, Pechino ha inviato diverse unità da combattimento all’interno dei contingenti dei caschi blu in Mali e nel Sud Sudan, fino ad arrivare all’apertura della prima base militare nel Gibuti nel 2017. E. Fardella, A. Ghiselli, V. Garbui, M. Giuffrida, «La presenza cinese nella regione del Mediterraneo allargato», in Cina. Prospettive di un paese in trasformazione, pp.257-287.
[14] L’istituzione della piattaforma 17+1 ha determinato un aumento della quantità di prestiti e progetti finanziati dalla Cina nella regione, nonché l’intensificazione della cooperazione di infrastrutture sino-balcaniche. A. Vangeli, «L’impatto della piattaforma 17+1 in Europa centro-orientale e sud-orientale», in Cina. Prospettive di un paese in trasformazione, pp.289-301.
[15] La partecipazione di Biden al summit dei Paesi dell’Asean, appuntamento a cui Washington mancava da quattro anni, sottolinea l’importanza rivestita dalla regione anche per gli Usa. T. Hunnicutt, D. Brunnstrom, A. Bandial, Biden joins U.S.-ASEAN summit Trump skipped after 2017, «Reuters», 26 ottobre 2021.
[16] Nel mese di ottobre 2021, si è assistito ad una nuova escalation delle tensioni con la dichiarazione da parte di Xi Jinping che l’annessione di Taiwan alla Cina popolare sarà inevitabile: L. Lamperti, La riunificazione con Taiwan “se pacifica conviene a tutti”, «Il Manifesto», 10 ottobre 2021.
[17] In seguito alla Seconda Guerra Mondiale, anche gli Stati Uniti, leader delle nuove tecnologie della comunicazione e rappresentanti di un modello economico potente e in espansione, si impegnarono in una campagna di egemonizzazione culturale a livello internazionale attraverso la gestione del sistema di circolazione mondiale delle notizie. Si vedano, ad esempio: N. E. Bernhard, U.S. Television News and Cold War Propaganda, 1947-1960, The Press Syndicate of the University of Cambridge, Cambridge, 1999; T. Doherty, Cold War, Cool Medium: Television, McCarthyism, and American Culture, Columbia University Press, New York 2003.
[18] Più in generale, a livello di governance globale, la RPC invoca un nuovo ordine mediatico mondiale per limitare il predominio anglofono nella proposta di ideali e di modelli di giornalismo nella gestione dei media. Questa istanza riporta a simili battaglie portate avanti da attori diversi (e in contesti diversi) durante il XX secolo. La promozione del concetto del “free flow of information” da parte dei media statunitensi avvenne nel primo dopoguerra al fine di rompere il dominio dei Paesi europei sul sistema internazionale dell’informazione. Anche la denuncia dello “squilibrio dell’informazione” portata avanti da parte dei paesi del Terzo Mondo negli anni Settanta sottolineò la necessità di un nuovo ordine mondiale in questo ambito. H. I. Schiller, Genesis of the free flow of information principles: the imposition of communications domination, «Instant Research on Peace and Violence», Vol. 5, No. 2, 1975, pp. 75-86; S. Macbride, Many Voices One World. Towards a new more just and more efficient world information and communication order, UNESCO Press, New York 1980.
[19] G. B. Andornino, «Considerazioni conclusive: oltre l’ “America First” », in Cina. Prospettive di un paese in trasformazione, p. 331.