Scritto da Gabriele Sirtori
10 minuti di lettura
Il viaggiatore che arrivi d’estate nel Kurdistan iraniano, superata la città di Mahabad e diretto a Sud, è facilmente tentato dal pensiero d’esser giunto nel paradiso terrestre. La macchina avanza su strade tortuose e dissestate in mezzo a strette valli dai biondi pendii e si inerpica – con una certa fatica considerata l’arretratezza dei veicoli – tornante dopo tornante su monti che paiono antichissimi, popolati solo da qualche sporadico albero solitario.
I paesi che si incontrano, coi tetti piatti, adagiati a mo’ di enormi scalinate sui fianchi dei monti, hanno la splendida semplicità dei paesi di montagna. Le città principali – come Sanandaj o Marivan – non hanno nulla delle metropoli ma, frequentate da gente che pare appena scesa dalle valli lì attorno, ricordano le città pedemontane del Nord Italia, come Bergamo o Brescia.
Paesaggi diversissimi – pensa il viaggiatore – rispetto a quelli sconfinati e secchi visti in Iran, così come a un primo superficiale impatto appaiono diversi i curdi rispetto agli iraniani, più europei nei visi, ugualmente ospitali, di una gentilezza meno invadente.
A colpire poi sono gli abiti. Gli uomini indossano – soprattutto nei centri minori – i tradizionali pantaloni larghi curdi chiamati chokoraneh, cinti in vita da una fascia detta shal. In testa portano un copricapo (jamana) dei colori della propria tribù. Le donne invece, figure importanti nella gerarchia sociale curda, vestono in modo tendenzialmente più colorato e fantasioso rispetto alle connazionali persiane, anche se pur sempre nei limiti delle rigide regole statali. Un momento di deroga è costituito dai matrimoni: in queste occasioni è concesso loro di vestire in colori sgargianti e stare a capo scoperto. Le cerimonie sono accompagnate da musiche tradizionali e balli di gruppo in cui uomini e donne danzano insieme.
Azerabaijan-e Gharbi, Kordestan, Kermanshah, Ilam. Sono queste le regioni iraniane in cui si concentra la maggior parte del popolo curdo, 8 milioni in tutto, ovvero circa il 10% della popolazione totale della Repubblica Islamica. Sono le regioni più occidentali, situate lungo il confine con l’Iraq. Un’eccezione è data dai curdi del Khorasan: circa 500mila persone che abitano le valli al confine opposto del Paese, vicino al Turkmenistan, e sono gli eredi di tribù originarie delle regioni a Ovest del lago di Urmia. Nel 1610, a seguito di una guerra tra l’allora impero Safavide e i curdi, è stata imposta loro la migrazione forzata. Dopo quattro secoli ancora conservano alcuni tratti culturali delle loro origini: parlano il dialetto curdo Kurmanji e hanno mantenuto alcuni canti e danze folkloristiche. Tuttavia, a differenza della quasi totalità dei curdi dell’Ovest, aderiscono alla corrente sciita dell’Islam e non hanno mai dato voce a particolari insofferenze nei confronti del governo di Tehran.
Una lunga tradizione di instabilità è invece legata ai territori occidentali. Si è trattato quasi sempre di rivolte locali, legate ai villaggi più periferici e vicini al confine iracheno, ma in alcuni casi si sono rivelate una seria minaccia per la sicurezza e l’integrità nazionale. Di seguito gli episodi principali.
Le istanze di autonomia o indipendenza sono state di fatto abbandonate da quel momento. Tuttavia, negli ultimi due anni il contesto internazionale è di nuovo radicalmente cambiato. Il popolo curdo, non solo iraniano, nella generale situazione di instabilità che regna nel mashreq oggi, gode di una situazione estremamente favorevole:
Ma cosa fanno in tutto questo i curdi in territorio iraniano?
Il 2015 ha visto un riaccendersi degli scontri tra polizia e milizie indipendentiste. Tutto è iniziato a Mahabad i primi giorni di maggio: una giovane ragazza curda ha perso la vita cadendo dal quarto piano dell’hotel per cui lavorava. Secondo fonti locali non ufficiali ciò sarebbe accaduto nel tentativo di respingere uno stupro da parte di un militare iraniano. Le proteste, iniziate nella città di Mahabad il 7 maggio, hanno portato all’incendio dell’hotel e si sono presto diffuse in città vicine.
Un anno dopo, nel maggio 2016, sono iniziate vere e proprie azioni di guerriglia, se pure a bassa intensità, mirate a colpire le forze iraniane dei Pasdaran. Sono in corso ancora oggi e sono guidate da due partiti: il KDPI e il PAK (Partito del Kurdistan Libero). A questo link si può vedere una mappa degli scontri aggiornata al 26 settembre 2016: come nel passato riguardano soprattutto aree periferiche al confine con l’Iraq.
“È giunto il momento – si potrebbe pensare – anche per i curdi iraniani della resa dei conti contro il governo di Tehran”.
D’altronde sarebbe più che comprensibile: ai curdi è negata una rappresentanza sia in parlamento (riservata ai fedeli sciiti) sia nei piani alti del governo delle loro regioni e i movimenti politici regionalisti sono da tempo costretti alla latitanza. Inoltre i loro territori sono tenuti in uno stato di sottosviluppo, ignorati dal governo centrale nei suoi progetti di grandi infrastrutture, scolarizzazione universitaria e sviluppo industriale.
“Studio a Tehran – mi raccontava nell’agosto 2016 Matin, 22enne di Paveh, città nella regione di Kermanshah – perché qui nel Kurdistan iraniano non ci sono università di medicina. Alcuni anni fa non c’erano neppure medici iraniani. Eravamo costretti a importare dottori dall’India. A chi di noi volesse tentare una carriera di studi nella capitale erano semplicemente sbattute le porte in faccia”. La ratio di queste politiche è evidente: creare dipendenza dal governo di Tehran per minare derive indipendentiste.
Ma adesso? È giunta l’ora della secessione dunque? No. Allo stato dei fatti i curdi persiani non ne hanno alcun interesse. E questo per tre motivi che esporremo.
Il Kurdistan iraniano confina con la regione autonoma del Kurdistan iracheno. Tra le due regioni vige libertà di movimento per gli individui. Non viene richiesto il passaporto e quasi tutti gli abitanti di quelle zone sono stati almeno una volta dall’altra parte della frontiera.
In pochi però abbandonano l’Iran. Le limitate libertà politiche sono infatti bilanciate da un prezioso grado di sicurezza.
“Il servizio di informazione iraniano – dicono – sa tutto, è il migliore al mondo”.[2] Ma se da una parte questo tronca sul nascere qualsiasi movimento indipendentista, dall’altra è una delle armi di punta del sistema di sicurezza interno dell’Iran: grazie ad esso infatti l’anno scorso pare sia stato sventato un grande attentato e viene assicurata, ad esempio, l’assenza di qualsiasi tipo di infiltrazione dell’IS nello stato sciita.
Non si può dire che lo stesso accada in Iraq. Qui, come molti giornalisti occidentali hanno raccontato, i curdi attraverso la propria milizia, i peshmerga, affrontano autobombe e attentati piuttosto frequenti, e a Sud sono ancora impegnati nella guerra per la liberazione di Mosul dalle forze dello Stato Islamico.
Dal Mediterraneo alle montagne iraniane, da Mosul all’Anatolia, lo spazio abitato dai popoli curdi è piuttosto esteso. Credere che sia un popolo unito è un errore.
L’aspetto più evidente è la lingua. Non esiste una lingua curda, ma almeno tre varietà molto diverse tra loro:
Come si vede, in Iran sono presenti tutte e tre le varianti. Secondo lo studioso P.G. Kreyenbroek[3] “Da un punto di vista linguistico o grammaticale il Kermanji e il Sorani differiscono tra loro tanto quanto l’inglese e il tedesco. […] Anche se differenze nel lessico e nella pronuncia non sono così accentuate, restano comunque notevoli”. Ma se come via di comunicazione tra i curdi siriani e iracheni, o all’interno dello stesso Kurdistan iracheno, sussiste sempre l’arabo, lo stesso discorso non si può fare per i curdi persiani, che l’arabo non lo conoscono e tra le varie aree linguistiche del Kurdistan iraniano comunicano in persiano, lingua ufficiale dell’Iran. Da sempre ne è stato infatti imposto l’utilizzo a scuola, nei luoghi pubblici e in qualsiasi documento ufficiale. In Iran tuttavia il curdo sopravvive come forma orale dialettale[4]: nella comunicazione di tutti i giorni praticamente nessuno utilizza il persiano.
Nel caso di una scissione dall’Iran per confluire in un ipotetico Stato curdo indipendente, ai curdi iraniani mancherebbe quindi una lingua comune che permetta a tutti i cittadini di comunicare tra le aree linguistiche diverse.
Il secondo aspetto è quello del tribalismo. La società curda si struttura principalmente su base clanica e tribale. Nel Kurdistan iraniano le principali tribù sono quattro[5], da Nord a Sud: i Shekkaki, i Sorani, i Jaff e i Feyli. Queste trovano corrispondenze culturali e linguistiche con le popolazioni al di là del confine, in Iraq, ma non tra di loro. Questo rende debole la loro capacità di coalizione per un obiettivo comune.
Bassorilievi di Taq-e Bostan, di età Sasanide. L’iscrizione recita “Bassorilievo di Ardashir II” – Sulla destra si trova Ahura Mazda (massima divinità zorastriana) e Ardashir riceve da lui il titolo di Re dei Re. Alle spalle del re è rappresentato Mithra che poggia i piedi su di un fiore di loto e nelle mani regge un “barsam” (fascio di rami secchi usato nei rituali zoroastriani). Sotto i piedi del Re e di Ahura Mazda giace i corpo del imperatore romano Giuliano sconfitto e ucciso nel 363 d.C da Ardashir II.
La terza ragione riguarda il nazionalismo iraniano in generale. La “comunità immaginata” su cui si basa oggi il senso di appartenenza alla nazione iraniana, si struttura principalmente su due aspetti: da una parte lo sciismo, dall’altra l’idea di appartenenza ad uno stato che è erede della “Grande Persia”, ovvero quell’enorme impero che andava dalle sponde orientali del mediterraneo fino all’Afghanistan e che fu sotto il controllo dei sovrani delle dinastie Achemenidi e Sasanidi in epoca pre-islamica. Quest’ultimo elemento era costitutivo dell’ideologia di Stato durante l’epoca di Shah Mohammed Reza Pahlavi, rovesciato dalla rivoluzione khomeinista. Durante l’epoca di Khomeini infatti questa ideologia lasciò il passo ai miti fondanti dello sciismo (ad esempio il martirio e lo scontro del debole contro l’oppressore, da cui consegue l’antiimperialismo e l’anticolonialismo) e a un’idea di Iran guida e protettore delle altre nazioni islamiche oppresse. Tuttavia la Repubblica Islamica nei suoi simboli non ha mai rinunciato alla propria rappresentazione “imperiale”, e questo è evidente soprattutto nella monetazione[6]. Questa idea di Iran infatti appare come l’unica, oltre a quella di comune appartenenza all’islam, in grado di tenere insieme uno Stato che vede al suo interno tante comunità sub-nazionali diverse: oltre ai curdi ci sono infatti gli azeri, i baluchi, gli arabi, alcune tribù turche.
Un popolo che desideri l’indipendenza non tenta di fare proprio il patrimonio ideologico, mitologico, storico e nazionalista dello stato da cui vorrebbe distaccarsi. Sorprendentemente, in Kurdistan, le stesse persone che fino a poco tempo prima si lamentavano della loro privazione di diritti politici, mi dicevano con orgoglio che “la più grande dinastia di re persiani aveva un’origine per metà curda” e mi raccontavano delle rovine sasanidi di Uraman-e Takht, poco distanti da lì, e delle origini curde per parte di madre di Ardashir I, fondatore della dinastia Sasanide. Subito dopo il loro dito era puntato verso le montagne. “vedi – mi dicevano – là in cima ci sono ancora le rovine di antichi templi del fuoco zoroastriani. Sono stati qui in Kurdistan i centri più importanti della vera religione dell’Iran”.
I curdi iraniani, a differenza dei loro omologhi negli altri stati arabi, hanno davvero delle forti radici in comune con la cultura del proprio paese di appartenenza. La lingua curda è una lingua iranica. La letteratura curda classica [7] in tutte e tre le varianti linguistiche ha forti influenze persiane, e per lungo tempo ha avuto la letteratura persiana come riferimento. Due dei siti archeologici più importanti del periodo pre-islamico dell’Iran, ovvero Taq-e Bostan e Bisotun, sasanidi, si trovano nella provincia curda di Kermanshah. Oltre ai Sasanidi, anche i sovrani Safavidi, ovvero quella dinastia che diede forma nel 1501 per la prima volta ad un impero unito della dimensione dell’attuale Iran e che introdusse lo sciismo su larga scala, giunsero dal Kurdistan. Anche per questo la maggior parte della popolazione curda non ha nessun interesse nell’indipendenza. [8]
In conclusione, lo scontento degli abitanti di questi territori verso il governo teocratico di Tehran, sebbene si strutturi su discorsi nazionalisti e identitari e conduca a degli scontri con le forze statali iraniane, non trova la sua origine in essi, ma è piuttosto legato ad un senso di mancata rappresentanza e di disuguaglianza all’interno di un comune contesto di “grande Iran”. Dal punto di vista identitario la “iranicità” dei Curdi iraniani non è per nulla messa in discussione. Sono stati attori, tanto quanto i persiani, di un comune glorioso passato, come viene ricordato loro ogni giorno dall’ideologia statale. La contestazione quindi si rivolge non contro la loro appartenenza all’Iran, ma contro un establishment che da quasi 40 anni governa il paese. Anche le proteste e gli scontri, laddove ci sono, chiedono autonomia, non secessione.
[testo e foto dell’autore]
[1] Habeeb, W.M.; Frankel, R.D.; Al Oraibi, M.; “The middle East in turmoil: conflit, revolution and change”(2012) p. 46.
[2] G. Acconcia, il Grande Iran, ed. Exorma 2016, pp. 175-180.
[3] Kreyenbroek; Sperl; “The Kurds, a contemporary overview” (1992) traduzione e riadattamento miei dal seguente passo: “From a linguistic or at least a grammatical point of view, however, Kurmanji and Sorani differ as much from each other as English and German, and it would seem appropriate to refer to them as languages. For example, Sorani has neither gender nor case-endings, whereas Kurmanji has both…. Differences in vocabulary and pronunciation are not as great as between German and English, but they are still considerable”.
[4] G. Acconcia, il Grande Iran, ed. Exorma 2016, pp. 175-180.
[5] Ibidem.
[6] Nail Elhan; “Banal Nationalism in Iran: Daily Re-Production of National and Religious Identity”, (2016).
[7] Vd. alla voce “Kurdish written literature” nell’Encyclopedia Iranica Online.
[8] Kreyenbroek; Sperl; “The Kurds, a contemporary overview” (1992) pp. 17-19.