Melvil Dewey, il sistema di classificazione bibliotecaria e le ragioni di una sua riforma
- 03 Aprile 2019

Melvil Dewey, il sistema di classificazione bibliotecaria e le ragioni di una sua riforma

Scritto da Antonio Iannì

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Melvil Dewey e il sistema di classificazione bibliotecaria ovvero, storia di un tale che organizzò la Conoscenza oltre un secolo prima degli algoritmi di Google.


Se visitando una biblioteca non ci si sente smarriti come all’interno della celebre Babele di Borges, lo si deve soprattutto all’impegno del bibliotecario ottocentesco Melvil Dewey (1851-1931).

Melville Louis Kossuth Dewey nasce il 10 dicembre del 1851 nel villaggio di Adams Center, contea di Jefferson, zona occidentale dello Stato di New York. A quel tempo gli Stati Uniti stavano attraversando il momento più intenso del “Secondo Grande Risveglio”: ossia, un’ondata di fervore protestante che si estese lungo tutta la Nazione, motivata dall’intenzione di recidere i legami con l’anglicanesimo originario, riaffermando anche in tal modo l’indipendenza politica da poco acquisita. Dunque, appare tutt’altro che casuale la scelta del secondo nome di Dewey, chiaramente ispirata al nazionalista ungherese Lajos Kossuth.

Dewey crebbe all’interno del cosiddetto Burned-over District e in epoca di piena ascesa del nuovo evangelicalismo statunitense. Quest’ultimo, durante l’intera seconda metà del Ventesimo secolo rappresenterà una delle matrici principali dell’ordinamento sociale statunitense; un movimento, quello del new evangelicalism, che nelle sue deviazioni più radicali e violente andrà poi a confluire all’interno del recente fenomeno dell’estremismo alt-right.

Tornando a Dewey: all’età di dodici anni venne battezzato secondo la religione battista, ricevette un’educazione scolastica di tipo protestante, e in più occasioni, gli fu concesso di accompagnare il padre alle riunioni cittadine del neonato Partito Repubblicano.

Già al tempo del liceo, Melville cominciò a interessarsi ad alcune proposte di riforma della vita civile delle quali all’epoca si stava discutendo. In particolare, si spese pubblicamente per l’adozione anche negli Usa del sistema metrico decimale: un impegno intellettuale e professionale, quest’ultimo, che lo accompagnerà per tutta la vita.

Nel 1870 s’immatricola presso l’Amherst College (Massachusetts), istituto formativo dalla rigida tradizione protestante. Fu proprio durante i periodi trascorsi all’Amherst che Dewey iniziò col ragionare su di un ulteriore intento di riforma: sviluppando le proposte di Benjamin Franklin e del linguista Noah Webster, pensò di suggerire una parziale rivisitazione dell’ortografia inglese, così da renderla quanto più possibile conforme alla pronuncia.

Tuttavia, per chi come Dewey si era formato nel credo battista, ogni cambio di paradigma non poteva che muovere dalla propria esperienza personale: fu così che, ancora studente universitario, cominciò col firmarsi Melvil Dui, eliminando ogni segno muto e foneticamente incoerente. Dopo che una banca gli rifiutò l’incasso di un assegno, dovette però cedere sul cognome, finendo per ripiegare sul solo Melvil Dewey.

Eppure, l’impresa che più di ogni altra avrebbe animato la sua intera esistenza fu rappresentata dalla rifondazione del sistema bibliotecario: idea che assumerà presto i caratteri di una vera e propria ossessione.

Tutto ebbe inizio con un episodio abbastanza occasionale: costretto a racimolare del denaro per pagare la retta universitaria, Dewey chiese di poter lavorare a tempo parziale come assistente presso la biblioteca del suo College. Fu allora che gli si pose dinanzi uno scenario che, se appare assolutamente in-credibile agli occhi dell’utente contemporaneo, viceversa, era del tutto ordinario per l’epoca: mancava un qualsivoglia schema di classificazione dei volumi, se non forse per quello meramente alfabetico. Pertanto, la collocazione (prima) e la ricerca dei libri (dopo) dipendevano interamente dai bibliotecari: quasi si trattasse di esigere da costoro quell’incredibile capacità mnemonica che nel 1929 Stefan Zweig riservò al suo leggendario “Mendel”, personaggio principale del racconto Buchmendel.

Ma se questi erano i “criteri” utilizzati, non era né immaginabile né tantomeno realizzabile un efficiente sistema a consultazione libera: in altre parole, all’utente non restava che rivolgersi agli addetti della biblioteca e attendere quindi l’esito di una dispendiosa ed estenuante ricerca.

Dewey cominciò allora a studiare quella che oggi chiameremmo la scienza della biblioteconomia (library science). Tra le proposte di riorganizzazione che gli capitarono tra le mani, una più di altre sembrò potergli offrire uno “spunto” per risolvere il problema della catalogazione: si trattava dell’articolo Book Classification, scritto dal bibliotecario della St. Louis Pubblic School William T. Harris (1835-1909). Harris, invertendo l’ordine del trittico con il quale Francis Bacon scompose l’intero sapere umano (storia, poesia e filosofia), confezionò una classificazione con tre matrici fondamentali: A/Science, B/Art, C/History, cui poi accompagnare le diverse sotto-classi (per la prima, ad esempio, a/Social and Political Sciences e b/Natural Science) e ogni ulteriore declinazione (al di sotto di Natural Science si collocavano matematica, fisica, e così via).

 

Il sistema di classificazione decimale: strumento per una biblioteca efficiente e perciò pubblica e democratica

 Una volta recuperato il modello-Harris, per Dewey non restava che combinarlo con altri suoi progetti di riforma. E fu allora che ebbe la geniale intuizione di ripescare il sistema (metrico) decimale.

Nel maggio del 1873, all’età di appena 21 anni, Melvil Dewey presenta una prima bozza del suo progetto alla direzione dell’Amherst College: la proposta viene immediatamente approvata e il College ne prevede l’applicazione presso tutte le sue strutture bibliotecarie. Malgrado questo primo draft apparisse ancora come piuttosto embrionale, al suo interno erano comunque presenti le fondamenta di quello che poi prenderà il nome di Dewey Decimal Classification (DDC).

Il sistema si componeva – e ancora oggi si compone – di dieci matrici principali (classes), progressivamente numerate da 0 a 9, da scomporre in altrettante sotto-sezioni decimali (sub-classes), e così via, attraverso le successive e ulteriori subordinate, con possibilità di estensione pressoché illimitata. Mutuando parzialmente l’ordine già proposto da Harris, dopo una prima classe di carattere generico (000/General), Dewey riservò la matrice iniziale alla Filosofia (100), mentre all’opposto quella finale (900) era occupata dalle Scienze Storiche; nel mezzo tra questi due poli, l’intero “restante” sapere umano.

Perché se mai ce ne fosse ancora bisogno, di questo si sta parlando: ovvero, di ordinare la Conoscenza in comparti e ramificazioni; il che sta a significare mettere in campo una scelta lato sensu politica, e quindi inevitabilmente discrezionale. La discrezionalità di scelta, in prima battuta, si presenta come prerogativa dello stesso ideatore e confezionatore dello schema di classificazione, e quindi, nel nostro caso, di Melvil Dewey: qui molto più simile a un discepolo hegeliano – alle prese con la summa divisio tra spirito soggettivo, oggettivo e assoluto – che a un vero e proprio civil servant. In un secondo momento, quasi si trattasse di un sillogismo (operazione anch’essa tutt’altro che libera da arbitrarismi), la scelta spetterà agli addetti della biblioteca, chiamati a collocare concretamente un certo volume entro le corrispettive classi e sub-classi di “appartenenza”. Un’attività quest’ultima che, all’interno della classificazione Dewey, va orientata secondo l’Index generale che fin dalla prima edizione accompagna ogni pubblicazione-DCC: infatti, tramite l’Indice s’individuano le diverse categorie (classes e sub-classes) entro cui poter ascrivere un determinato soggetto (ad esempio, il tema ‘cavallo’ potrà cumulare la categoria della zoologia con quella dell’allevamento di animali).

Per meglio comprendere il contestualismo che accompagna l’intera operazione, è sufficiente richiamare il caso del tema-adulterio che viene ricondotto dall’ortodosso battista ottocentesco Dewey tanto alla sub-classe dell’Etica sessuale quanto a quella del Diritto penale; e lo stesso capiterà nelle edizioni successive con la “voce” omosessualità.

Nel 1876 Dewey pubblicò una prima versione (operativa) del modello, da lui illustrata attraverso le 44 pagine dello scritto dal titolo A Classification and Subject Index for Cataloging and Arranging the Books and Pamphlets of a Library: accanto alle dieci classes principali e alle loro divisions vi si trovano circa 18 pagine di Indice analitico-tematico (pp. 23-40, ed. I, 1876).

Dewey

Dewey Decimal Classification, prima edizione

Dopo la sperimentazione presso l’Amherst, il Bureau of Education statunitense decise di suggerire l’adozione generalizzata del DCC per l’intero sistema nazionale. Nel frattempo, Dewey si era spostato a Boston per impiegarsi presso la casa editrice Ginn & Co., e fu nella nuova sistemazione che contribuì alla fondazione sia dell’American Library Association sia della correlata American Library Journal.

Sulle pagine del primo numero della rivista, licenziato nel settembre del 1876, con un brevissimo articolo dal titolo The Profession, Dewey così sintetizzò il cambio di paradigma che di lì a breve si sarebbe realizzato, non da ultimo attraverso la diffusione del suo sistema di classificazione: “È oramai passato il tempo in cui la biblioteca era molto simile a un museo, in cui il bibliotecario era un cacciatore di libri ammuffiti, e i visitatori guardavano con occhi curiosi gli antichi tomi e manoscritti”.

Nel 1883 Dewey venne chiamato a New York come Direttore della biblioteca del Columbia College (oggi Columbia University). Grazie al nuovo incarico, si potrà dedicare con grande disciplina alla raffinazione del suo sistema, partorendo nel 1885 la seconda edizione del DCC: una versione più stabile di quella precedente – oltre che molto più corposa (si passa dalle 44 pagine iniziali a quasi 500 facciate), che avrebbe costituito il nucleo essenziale per ogni revisione e aggiornamento futuri.

Nel 1889 Dewey abbandona la biblioteca universitaria della Columbia a favore di quella dello Stato di New York (Albany). L’impegno all’interno di una biblioteca generalista gli darà modo di meglio puntellare le edizioni successive del suo lavoro; edizioni che dal 1890 saranno poi affidate alla curatela di altri maestri biblioteconomi.

 

La diffusione del sistema Dewey: da Harvard a Mosca

Un buon punto di osservazione per saggiare l’impatto che Dewey ebbe sul sistema educativo statunitense è costituito dal caso della biblioteca giuridica di Harvard, e quindi del suo “ideatore” Christopher Columbus Langdell (1826-1906). Nel 1870, l’allora rettore Charles William Eliot si affidò al professor Langdell per rifondare l’intero corso di studi della Law Faculty di Harvard. Per completare il suo programma di innovazione, Langdell aveva in mente anche un profondo ripensamento del sistema bibliotecario di Facoltà. In particolare, bisognava introdurre una classificazione (secondo matrici generali e particolari) che potesse creare una correlazione tra le categorie giuridiche presenti nei nuovi volumi di studio (c.d. casebooks) e quelle nelle quali erano suddivisi gli scaffali che li avrebbero accolti. Se questo era l’obiettivo, per Langdell fu piuttosto naturale affidarsi alla classificazione coniata dal giovane bibliotecario Melvil Dewey.

È pur vero che l’utilizzo del DDC, anche a distanza di decenni dalla sua formulazione, non mancò di suscitare resistenze e malumori. Da questo punto di vista, abbastanza significativo fu il caso dell’adattamento del DDC in ambito socialista: in Unione Sovietica inizialmente si optò per l’adozione della Classificazione Dewey. Tuttavia, in un secondo momento, l’intelligencija espresse una dura critica nei confronti del modello di Dewey: a essere messo sotto accusa fu l’intero impianto filosofico-ideologico del DDC, a detta dei sovietici ispirato da canoni esclusivamente occidentali, borghesi e capitalistici. In particolare, non si accettava l’idea che il pensiero marxista fosse degradato a livello di sotto-classi, per di più messo assieme con altri sottoargomenti appartenenti alla macro-categoria dell’Economia (ancora adesso il riferimento è quello dei numeri 335 e ss.).

 

Viva Dewey … a morte Dewey!

 Lungo l’intero Novecento la Classificazione decimale Dewey ha comunque goduto di un ampio successo, tanto da essersi diffusa a livello globale in modo piuttosto capillare, talvolta anche attraverso l’impiego “propagandistico” della cultura popolare (sia cinematografica sia musicale). Eppure la diffusione della tecnologia informatica e della rete ha profondamente mutato il rapporto tra il lettore e le biblioteche: da una parte, l’accesso al materiale è sempre più spesso digitale e im-mediato, dall’altra, la disponibilità dei cataloghi bibliotecari del tipo OPAC (On-line public access catalogue) permette una ricerca sganciata dalle classi e sotto-classi del DDC, e improntata semmai all’utilizzo degli operatori booleani (al pari di quanto accade con l’interfaccia-utente dei più comuni motori di ricerca web). Da questo punto di vista, guardando all’ambito nazionale, si può ulteriormente ricordare l’accordo del 2012 tra MIBAC e Google per la digitalizzazione di circa un milione di volumi cartacei non più coperti da copyright, e quindi la loro libera consultazione attraverso la piattaforma Google Books, all’interno della quale scompare la stessa idea di indicizzazione per categorie e sub-categorie.

Dewey

Melvil Dewey con la classe del 1888 della School of Library Economy del Columbia College di New York

In ogni caso, in attesa di conoscere quale sarà il futuro delle biblioteche, al momento non si può comunque prescindere da un dato: pur essendo arrivata alla sua ventitreesima edizione, la Classificazione Dewey soffre ancora di parecchie “criticità”, principalmente dovute alla coscienza storico-ideologica del suo autore originario. Si pensi all’asimmetria (geografica, geopolitica e geoculturale) che pervade l’intero Sistema, nel quale si preferisce il solo mondo occidentale-anglofono-cristiano. Al riguardo, tra gli esempi che paiono maggiormente significativi, e che permangono tutt’ora nonostante le modifiche alle versioni DDC più recenti, si fa il “caso” della classe “Religione” (200 DDC – Theology nella versione originaria) che, a fronte di ben nove sezioni per la storia e la teologia cristiana, all’opposto riserva una sola e unica sub-classe (ossia 290 e ss. DDC) a quelli che il regime fascista etichettò come culti “ammessi” (i.e. l’insieme delle religioni non-cristiane).

A ciò si aggiunga che mentre per la letteratura anglofona, quantomeno nelle edizioni successive a quella iniziale, si distingue chiaramente tra letteratura “inglese” e “americana”, ancora oggi spagnolo e portoghese condividono indistintamente la matrice-base numero 860. D’altro canto, così come già osservato per il fenomeno religioso, le decine di migliaia di pagine della letteratura non-occidentale rimangono confinate nell’unica sub-classe delle “Altre Letterature” (890 e ss. DDC).

E ancora: non si può pensare di ricondurre la tematica del corpo alla sola anatomia tradizionale (611 DDC), negando l’apporto, tra le altre, dell’ingegneria bio-medica; così come, nell’epoca del c.d. Antropocene, non pare più tollerabile lo specismo che domina l’intera architettura del modello-Dewey. Tali suggestioni – e altre se ne potrebbero accompagnare – servono a dimostrare la valenza tutt’altro che neutrale di ogni categoria conoscitiva, non ultime quelle in esame: una valenza dai tratti squisitamente prescrittivi.

Similmente a quanto accade con le architetture digitali (algoritmi, protocolli IT, etc.), anche quelle della biblioteconomia tradizionale finiscono per esprimere forza normativa, conformando il pensiero in misura forse più incisiva di quanto si verifichi con altre regole sociali. Quasi si trattasse di mettere in campo una riforma legislativa, s’impone l’esigenza di rivedere il sistema DDC fin dalle matrici fondamentali: soltanto così facendo si potranno eliminare alcuni dei suoi anacronismi.

Il che, attenzione, non sta a significare che si debba tendere a un’irrealistica neutralità di classificazione, quanto semmai l’opposto: la riorganizzazione e la riforma del Codice Dewey, al pari di quanto accadrebbe e accade con i codici e le costituzioni legislative (le loro modifiche e interpretazioni evolutive), devono rappresentare una scelta di carattere politico (nel senso di policy e non di politics) e dunque, anch’essa, tutt’altro che obiettiva; una scelta attraverso la quale una società adatta le sue convenzioni (categorie, nozioni, linguaggi, leggi) a quelli che sono i caratteri di volta in volta espressi dal sottostante ordinamento sociale della convivenza comune (espressi dai suoi conflitti e compromessi), evitando così quelle idiosincrasie che talvolta rischiano di essere tanto discriminatori quanto stigmatizzanti. E il tutto in attesa di ulteriori mutamenti sociali, e quindi e per conseguenza di altrettante riforme. Le attività di classificazione e categorizzazione non possono e non dovrebbero rappresentare un evento, ma piuttosto un processo suscettibile di una continua messa in discussione, Dewey compreso.

Scritto da
Antonio Iannì

Laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dove collabora in qualità di Cultore della materia di Sistemi Giuridici Comparati (Dipartimento di Giurisprudenza). Dottorato di ricerca in Diritto Privato Comparato (corso “Diritto, mercato e persona”) presso l'Università Ca’ Foscari di Venezia, in cotutela con l’Università Humboldt di Berlino. Attualmente, accanto all’attività universitaria di studio e ricerca, svolge la professione di Avvocato presso il Foro di Firenze. È membro della redazione della rivista on-line Cyberlaws.it.

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