Scritto da Giacomo Bottos
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Nell’attuale fase di transizione tecnologica diventa ancora più centrale la riflessione sulle strategie di istruzione e formazione professionale che mirino a contrastare i fenomeni di disoccupazione giovanile e skill mismatch legati alla crescente specializzazione del mercato del lavoro, che sempre più richiede profili dotati di formazione qualificata e specifica.
Per approfondire questi temi – a partire dal ruolo degli Istituti Tecnici Superiori, prima esperienza in Italia di offerta formativa di alta specializzazione tecnologica post-secondaria non universitaria, sul modello di sistemi di grande successo diffusi in altri Paesi europei – abbiamo intervistato Ormes Corradini, Presidente dell’Associazione Scuola Politecnica ITS Emilia-Romagna che riunisce le sette Fondazioni ITS della regione Emilia-Romagna e Presidente della Fondazione ITS MAKER – Istituto tecnico superiore meccanica, meccatronica, motoristica, packaging.
Cosa sono gli ITS e come sono strutturati? Quali sono le loro finalità principali?
Ormes Corradini: Gli ITS (Istituti Tecnici Superiori) sono un percorso post diploma biennale, con 1.000 ore di formazione annuali di cui 400 in stage, strutturati in fondazioni di partecipazione con cinque tipologie di soci: aziende, scuole superiori, università e centri di ricerca, enti di formazione, enti locali. Si tratta di enti leggeri, organizzati per rispondere ai bisogni formativi dei territori con una finalità fondamentale: formare tecnici superiori – un livello intermedio tra periti e laureati, una fascia di specializzazione che in Italia è molto ricercata ma che spesso manca –, per supportare lo sviluppo delle imprese. Non a caso nascono proprio su impulso del territorio, dei soggetti che si occupano di formazione, ma soprattutto dal fabbisogno delle imprese.
Qual è la situazione negli altri Paesi europei per quanto riguarda l’istruzione tecnica superiore? Quali sono i principali modelli?
Ormes Corradini: Gli ITS italiani sono modellati sia sull’esperienza francese (i percorsi chiamati BTS – Brevet de Technicien Supérieur) sia, almeno in parte, su quella tedesca della Fachschule, un modello che è molto consolidato in Germania come sistema duale, dove in alternanza/apprendistato ci si può formare e poi anche laureare in ingegneria. In Francia e Germania i numeri sono importanti, tra 400.000 e 800.000 allievi tecnici post-secondari l’anno; in Italia siamo in crescita, ma siamo ancora a quota 20.000, anche se con i fondi dedicati del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza i numeri dovrebbero salire.
Per quanto riguarda un territorio come l’Emilia-Romagna, quando hanno preso avvio i diversi ITS e quali caratteristiche principali presentano? Come appare oggi l’ecosistema regionale degli ITS riuniti nell’Associazione Scuola Politecnica?
Ormes Corradini: I primi ITS sono nati nel 2011, hanno già quindi più di un decennio di storia. Molti di essi sono fortemente partecipati dalle imprese e lavorano in stretta sinergia con queste ultime per definire i profili formativi e i contenuti, e per organizzare gli stage obbligatori che occupano circa il 40% delle ore. A seconda delle fondazioni ITS, una percentuale tra l’80% e il 95% degli allievi trovano un lavoro coerente con gli studi. Senza contare chi prosegue con l’università. In regione ci sono sette fondazioni per altrettanti settori (meccatronica e veicolo, logistica, agroindustria, biomedicale, ICT, turismo, costruzioni e ambiente). L’Associazione Scuola Politecnica le riunisce da febbraio 2021 per assicurare una rappresentanza unica e coordinare in modo puntuale l’attività delle singole fondazioni.
Quali risultati sono stati raggiunti? Può riportare alcuni dati?
Ormes Corradini: Siamo in costante crescita, possiamo dire che l’Emilia-Romagna ha un ruolo guida in questo processo. Quest’anno abbiamo avuto 1.500 preiscrizioni per inserire 800 allievi nei 33 corsi delle 7 fondazioni. Ancora 5 anni fa i corsi ITS in regione erano 18, poco più della metà rispetto ad oggi. Come dicevo, l’occupazione coerente con gli studi fatti, a un anno dal termine del percorso, si attesta in media sul 90%. Inoltre, circa il 20% dei nostri iscritti viene da fuori regione e molti si stabiliscono in Emilia-Romagna. I soci delle 7 fondazioni sono attualmente 265, la metà imprese, 30 scuole, 20 enti locali, 10 dipartimenti universitari: una vera rete radicata sul territorio. Un dato su cui vogliamo lavorare è incrementare la presenza femminile, che oggi è in media del 30%: sulle professioni industriali ci sono ancora troppi pregiudizi, bisogna superare l’idea che il lavoro nella metalmeccanica sia sinonimo di un lavoro interamente basato sulla forza fisica, e che per le sue caratteristiche escluda automaticamente le donne.
Quali sono le condizioni e i fattori che consentono la nascita di un ITS efficace?
Ormes Corradini: Chiariamo che parliamo di nascita di corsi, non di fondazioni, perché da tempo la Regione ritiene che il sistema si sia stabilizzato sulle effettive necessità del nostro sistema produttivo. Un nuovo corso ITS nasce “bene” quando siamo in presenza di un forte pool di imprese di un territorio che certifica la necessità di determinate figure, che fa squadra con la fondazione corrispondente al tema per progettare insieme il corso, che struttura i laboratori, che “presta” docenti (che spesso sono tecnici aziendali e quindi portano competenze specifiche). Poi è indispensabile la collaborazione con la scuola per l’orientamento: il calo demografico dei giovani è una sfida per tutti, è sempre più importante orientare bene, evitare la dispersione e soprattutto aiutare i ragazzi a capire che gli ITS corrispondono a settori trainanti dell’economia regionale, con sbocchi lavorativi certi. Da tempo sollecitiamo le imprese a contribuire alla diffusione delle nostre proposte attraverso i dipendenti. In sostanza si tratta di creare una rete di informazioni che si diffondano dalle imprese verso le famiglie, nel comune interesse, ma soprattutto per favorire la grande opportunità per i giovani, a partire proprio dai figli dei dipendenti delle imprese, di trovare un impiego coerente con le proprie aspirazioni.
Qual è il grado di consapevolezza della presenza di questo tipo di percorso formativo? Quali iniziative sono state messe in campo e quali potrebbero essere adottate per quanto riguarda l’orientamento?
Ormes Corradini: La consapevolezza è in forte e costante crescita, ma la strada da fare è ancora lunga. Talvolta incontriamo ancora imprese e scuole che non sanno bene che cos’è e come funziona un ITS, nonostante da anni investiamo in comunicazione sociale. Il sito www.itsemiliaromagna.it e i profili social sono visibili e promossi; la Scuola Politecnica ITS e le singole fondazioni attivano decine e decine di open day e incontri di orientamento ogni anno; lavoriamo con Informagiovani, scuole, Camere di Commercio, Confindustria e altre associazioni datoriali, centri per l’impiego: tutto per far conoscere la nostra realtà. Anche il MIUR fa campagne promozionali o trasmissioni tv, e dopo il discorso del Presidente del Consiglio Mario Draghi durante la visita ad un ITS di Bari la notorietà è cresciuta. Ma dobbiamo ancora lavorare sodo: solo crescendo e confermando il forte messaggio qualitativo dei nostri corsi si arriverà a essere conosciuti in un mercato, quello della formazione, ancora nebuloso e fuorviante.
Che rapporto c’è tra sistema degli ITS e formazione universitaria? Qual è il ruolo della Fondazione per la Formazione Universitaria a orientamento professionale (FUP – SUPER)?
Ormes Corradini: In Emilia-Romagna la collaborazione è buona da sempre. La novità dello scorso anno è che sono stati individuati sistemi di crediti per passare da alcuni ITS (non tutti, per ora soltanto quelli convenzionati con le università) ad alcune lauree professionalizzanti. Si tratta di corsi universitari triennali senza accesso diretto alle magistrali, organizzati da FUP (ora SUPER), la fondazione che riunisce gli atenei regionali e la Scuola Politecnica ITS. I crediti per i passaggi entreranno a pieno regime dal 2022/23, speriamo funzionino in modo efficace. Per noi è importante se i ragazzi si rimotivano allo studio e proseguono in ambito universitario. Lo scopo di Fondazione SUPER è anche di lavorare sull’orientamento, ci sta a cuore che ragazze e ragazzi possano arrivare a concludere il percorso formativo, anche passando dall’università agli ITS e viceversa.
In che modo viene realizzata la coerenza tra obiettivi delle imprese e percorsi formativi?
Ormes Corradini: Attraverso comitati tecnico-scientifici composti da rappresentanti delle imprese, dove venga assicurato che ogni progetto sia certificato dalle imprese socie. Perfino la prova di esame finale del biennio viene garantita dal CTS rispetto a ciò che i futuri lavoratori dovranno affrontare entrando in azienda. Inoltre, le imprese partecipano con loro docenti (oltre il 50% delle ore, in alcuni ITS come il Maker si arriva al 70%), vi è inoltre una collaborazione strettissima per gli stage. Insomma, agiamo insieme alle aziende, noi ascoltiamo loro e viceversa, il confronto è costante.
Se da un lato c’è un problema di mismatch tra competenze richieste dal sistema produttivo e sistema formativo, al tempo stesso il tessuto economico deve esso stesso evolvere, sia per rispondere ai grandi cambiamenti in corso sia per aumentare la propria produttività e il proprio contenuto tecnologico, di conoscenza e innovazione. È possibile tenere in considerazione anche questa dimensione?
Ormes Corradini: Nel nostro caso, più che di mismatch tra figure formate e figure cercate dalle imprese, parlerei proprio di numeri insufficienti: noi formiamo le figure che ci chiedono le imprese, il problema è che non ci sono abbastanza ragazze e ragazzi. In tutto questo, ovviamente, la formazione non ha solo compiti di “servizio” alle imprese, è anche un fattore di sviluppo umano e di cittadinanza: per questo da un lato investiamo sempre più su competenze trasversali, come quelle linguistiche (facendo Erasmus all’estero, ad esempio) e alcuni dei nostri corsi guardano in modo particolare alle imprese del futuro. Penso ai tanti percorsi che abbiamo sul digitale, digital industry 4.0 o sulle produzioni ecosostenibili: cerchiamo di anticipare i temi su cui le imprese cominciano a muoversi.
Qual è il valore della gratuità di questi percorsi formativi? In che misura gli ITS – e insieme a quali altri strumenti – possono essere uno strumento di una strategia di creazione di opportunità di lavoro di qualità per le nuove generazioni?
Ormes Corradini: In Emilia-Romagna gli ITS sono sostanzialmente gratuiti, grazie alla Regione che li finanzia con risorse europee oltre ai fondi nazionali del Ministero. Agli allievi costano solo 200 euro di iscrizione (questo per chi accede effettivamente, mentre l’iscrizione alle selezioni è totalmente gratuita). In pratica gli ITS rappresentano un ascensore sociale, perché con 200 euro si accede a un corso che sul mercato, o in altre regioni, può costare anche 3-4.000 euro l’anno. Attraverso un corso ITS uno studente può potenziare fortemente la propria forza sul mercato del lavoro e aumentare occupabilità e salario di ingresso rispetto al diploma che possiede. Inoltre, migliorano i contratti di accesso al lavoro: in alcune fondazioni il 15% dei ragazzi entra direttamente a tempo indeterminato (cosa rarissima nel nostro Paese) e più del 50% fa apprendistati lunghi, cioè contratti veri.
Quali sono, a suo avviso, le principali criticità e questioni aperte? Quali prospettive vede per il futuro?
Ormes Corradini: Il problema essenziale è essere conosciuti ed esser visti come una opportunità da famiglie, giovani e orientatori scolastici. In una regione come la nostra, troppe poche persone scelgono carriere tecniche rispetto alla grande richiesta di personale qualificato e tecnico inevasa. Per gli ITS questo vuol dire crescere non solo captativamente, ma soprattutto qualitativamente: abbiamo bisogno di passare dalla fase “pionieristica” ad essere realmente parte del sistema educativo nazionale. Occorrono sedi fisse, laboratori, personale… oggi queste realtà sono il più delle volte provvisorie. Se, come dimostrato dai numeri, il modello funziona, abbiamo fatto molto con poche risorse. Ora ci aspetta un salto avanti con quelle del PNRR: un salto di qualità che andrà a vantaggio delle giovani e dei giovani, oltre che delle imprese del nostro territorio.