Geopolitica dello spazio: un estratto dal libro di Emilio Cozzi
- 13 Novembre 2024

Geopolitica dello spazio: un estratto dal libro di Emilio Cozzi

Scritto da Emilio Cozzi

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In Geopolitica dello Spazio. Storia, economia e futuro di un nuovo continente (il Saggiatore 2024) Emilio Cozzi – giornalista, divulgatore e autore di programmi e podcast di approfondimento – racconta la corsa, invisibile ma ininterrotta da più di mezzo secolo, per il predominio strategico ed economico nello spazio. Pubblichiamo di seguito, per gentile concessione dell’autore e dell’editore il Saggiatore, un estratto del libro.


La nostra nuova El Dorado

Via da ipotesi fantascientifiche o da scenari modello James Bond, mentre un secolo fa la terra si controllava dominando il mare, come sosteneva il genio della geopolitica Nicholas John Spykman, oggi il pianeta lo si domina dallo spazio.

Lo testimoniano investimenti, attività e programmi di chiunque, pubblico o privato, partecipi alla conquista del nuovo El Dorado siderale. Soprattutto, però, è il legame fra quello che succede oltre l’atmosfera e le nostre attività quotidiane, qui sulla Terra, a dimostrarlo. Un legame così stretto da giustificare un’affermazione solo all’apparenza roboante: la nostra vita, nel senso della qualità del nostro vivere collettivo, oggi è (e sempre più sarà domani) space based, fondata cioè sui pilastri spaziali del pianeta.

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Partiamo, allora, dal postulato iniziale: dall’evidenza che lo spazio è diventato da mezzo secolo strategico. Iniziata nel pieno della Guerra Fredda la prima space race declinò oltre l’atmosfera la contrapposizione ideologico‐sociale, oltre che strategico‐militare, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. A sessant’anni di distanza, la centralità del settore spaziale è aumentata e i suoi attori si sono moltiplicati: lo spazio si è rivelato un driver per ambiti all’apparenza lontani, se non slegati. È attraverso lo sviluppo della tecnologia spaziale – cioè di quanto in queste pagine abbiamo annoverato fra i “pilastri della Terra” – che vengono offerti servizi innovativi all’agricoltura, alle borse e alle banche di tutto il mondo, al monitoraggio delle infrastrutture, all’osservazione dei cambiamenti climatici e dei loro effetti.

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Incontrata la tecnologia spaziale, i processi di digitalizzazione ne stanno ridefinendo modi, potenzialità e ambizioni. Uno dei due pilastri della space economy contemporanea, in effetti, è proprio la convergenza fra industria spaziale ed economia digitale. Di quest’ultima, insieme con i capitali e gli imprenditori, la nuova concezione del “fare spazio” ha assorbito anche la propensione al rischio e l’approccio nello sviluppo dei programmi. Quindi, ha modificato la funzione e il valore di alcuni elementi che fino a pochi anni fa non avevano alcuna relazione con l’extra‐atmosfera: i social network, per esempio, i quali, essendo tra i depositi più massicci di dati in tempo reale, possono contribuire alla gestione delle emergenze o alla stima degli effetti di un grande fenomeno, come i terremoti o i crimini ambientali – per esempio le attività minerarie illegali, monitorate da EO4Security, un progetto dell’ESA guidato dalla società italiana e‐Geos che interfaccia i dati spaziali con le informazioni cosiddette di open source intelligence (OSINT) ricavate dai social e da altri canali.

Detto altrimenti, i settori a tenuta stagna non esistono più. La complementarità dei servizi cresce con l’intelligenza delle macchine. Nel mentre le tecnologie, di origini diverse, convergono stimolandosi l’un l’altra. Gli ingegneri la chiamano “integrazione dei domini”: i tre spaziali (telecomunicazione, osservazione e navigazione), i sistemi di terra e il dominio virtuale, che viaggia in rete ed è perciò ovunque.

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Space democratization

Nulla di tutto ciò sarebbe tuttavia possibile senza l’altro pilastro dell’approccio contemporaneo al settore: la sua maggiore accessibilità. La riduzione dei costi di lancio, ottenuta in particolare grazie alla riusabilità delle tecnologie abilitanti – i razzi –, si combina con la miniaturizzazione della componentistica, spesso sfruttata senza la stringente abilitazione all’utilizzo extra‐atmosferico. Alla massima affidabilità e alla lunga durata operativa, via via si preferiscono l’economicità e la sostituzione frequente delle tecnologie in orbita, spesso costituite da oggetti di dimensione e massa ridotte (per esempio mini o microsatelliti). Servizi di ride sharing – come i già testati SmallSat Rideshare Program di SpaceX o lo Small Spacecraft Mission Service delle italiane Avio e SAB Aerospace – consentono di portare oltre il cielo decine di carichi paganti tutti insieme, abbattendo i costi per singolo cliente. Mentre fino a pochi anni fa spedire qualcosa in orbita era una prerogativa di un governo o di un colosso industriale, oggi anche una piccola‐media impresa, un ente di ricerca o un’università possono ambire ad avere un proprio asset al di là del cielo.

Servizi prima accessibili solo alle istituzioni adesso vengono orientati direttamente alle persone e, dal 2009, gli investimenti azionari nelle attività spaziali sono cresciuti in modo esponenziale, insieme con il numero di aziende. Già un decennio dopo, nel 2019, il 41% dei top 100 venture capitalist (ossia delle istituzioni che investono in startup caratterizzate da un elevato potenziale di sviluppo) aveva uno o più investimenti nel settore spaziale. Da notare come i pur tanti esempi fatti fino a qui, dall’agricoltura al monitoraggio infrastrutturale, costituiscano solo una frazione di un business dalle potenzialità ancora inespresse.

In sintesi, il paradigma spaziale originario, che durante la Guerra Fredda era completamente pubblico, orientato al raggiungimento di obiettivi strategico‐militari e caratterizzato da un’evoluzione tecnologica lenta e guidata dall’alto, è stato stravolto: oggi il settore privato stimola lo sviluppo, il processo di innovazione parte dal basso e l’attività spaziale, così democratizzata, viene svolta soprattutto a fini di profitto. “Soprattutto”, però, non significa “solo”.

In effetti, le conseguenze economiche della space democratization ridisegnano gli equilibri politici globali e quanto scritto fino a qui vorrebbe averlo ricordato: la natura del viaggio cosmico dell’umanità è duplice.

Lo spazio cristallizza meglio di qualsiasi altra cosa l’essenza più profonda del genere umano: la sua connaturata e inscalfibile pulsione esplorativa. La progressiva scoperta dell’universo, non a caso “l’ultima frontiera”, come direbbero i fan di Star Trek, rappresenta la manifestazione suprema della tensione verso l’ignoto della nostra specie. Si traduce in accelerazione tecnologica, scientifica ed economica, in un’integrazione sempre più pervasiva delle capacità spaziali con l’economia mondiale.

In quest’ottica, lo spazio è un ambito di attività composito, l’accesso al quale è via via più ampio e a basso costo. La democratizzazione alimenta l’estensione degli ambiti applicativi, a beneficio di tutti (o almeno di tanti).

 

… E il suo lato oscuro

Una lettura che però ignorasse la dimensione conflittuale del concetto stesso di frontiera o della storia della sua “conquista” corrisponderebbe a una visione parziale della realtà.

Il primato spaziale si è sempre alimentato, come scrivono Alessandro Aresu e Raffaele Mauro in I cancelli del cielo, «dalla volontà umana di guardare senza essere visti, di ascoltare senza essere ascoltati, di condizionare gli altri senza essere condizionati, per acquisire vantaggi strategici o tattici»[1]. E mentre è vero che la percezione della Terra acquisita dagli astronauti in orbita, l’overview effect, fa apparire «incomprensibili e dissennate le inimicizie, le contrapposizioni e le violenze in un pianeta sempre più piccolo e raccolto» per citare il discorso fatto il 31 dicembre 2019 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è altrettanto incontestabile che «tali inimicizie, contrapposizioni e violenze hanno contribuito a inviarli lassù [gli astronauti], poiché la corsa spaziale è figlia della contrapposizione tra le potenze e della volontà di acquisire vantaggi sugli altri»[2].

 

Masters of the Universe

La si è chiamata geopolitica dello spazio, anche se con qualche pudore. Perché la geopolitica, è stato notato, porta con sé un sapore intenso di gioco alla guerra. E perché lo spazio è, per antonomasia, un luogo senza γῆ (ghé, “terra”»), privo di terra e quindi orfano di confini e politica. Nel senso che, nonostante la presenza di trattati, non tutti firmati dalle principali Nazioni spaziali, e di un corpus di regole definito space law, nessuno può imporre in via definitiva quali siano e come si compongano le relazioni tra gli Stati‐nazione (e sempre di più con enti e operatori privati) al di fuori dall’atmosfera terrestre, né sanzionare eventuali trasgressori.

Ecco perché si preferisce parlare di astropolitica, l’estensione delle relazioni internazionali e delle loro conseguenze (terrestri) nello spazio[3]. È una disciplina relativamente nuova, seppur non scevra di visioni e pensatori ascrivibili ai filoni teorici della geopolitica terrestre, compresa la scuola del “realismo” nelle relazioni internazionali definita da Everett Dolman, nei primi anni Duemila, come astropolitik[4]. Quella dell’astropolitica, dicevamo, è una storia recente, l’evoluzione della quale è però accelerata con l’avanzamento della tecnologia spaziale. Il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale è stato caratterizzato da una crescente importanza dello spazio come arena di conflitto e di cooperazione tra le Nazioni. La prima space race ha portato alla creazione di numerosi programmi spaziali, come il programma Apollo degli Stati Uniti e il programma Soyuz dell’Unione Sovietica, i quali erano, ictu oculi, strumenti politici prima che scientifici, operazioni di proiezione istituzionale prima che spedizioni esplorative.

La fine della Guerra Fredda, negli anni Novanta, ha sancito in questo senso un cambiamento significativo: per quanto mai avulsa da interessi nazionali specifici, la cooperazione nello spazio è diventata un obiettivo rilevante. Da allora, la space diplomacy ha corroborato o fatto da viatico a (più) proficui rapporti terrestri. Anche per questo le Nazioni hanno cercato di collaborare a programmi come la Stazione Spaziale Internazionale. In più, non pochi Paesi emergenti hanno iniziato ad alimentare ambizioni spaziali proprie, un processo concretizzatosi nella creazione dell’ESA in Europa, dell’Agenzia Spaziale Cinese, di quella Giapponese (la JAXA) e di quella Indiana (la ISRO), tutte con progetti di portata non così distante da quelli delle consolidate superpotenze extraterrestri, Stati Uniti e Russia. Anzi, almeno nel caso cinese, ormai quasi alla pari.

Negli anni recenti, però, la dimensione strategica dello spazio è tornata ad assumere un’importanza centrale, addirittura preminente secondo alcuni osservatori[5]. Per di più, emerse cavalcando – e non di rado innescando – gli sviluppi tecnologici e la maggiore accessibilità del settore, diverse aziende private hanno guadagnato ruoli di primo piano nell’arena cosmica. È indicativo, in questo senso, che saranno le stazioni spaziali commerciali a sostituire la ISS dai primi anni Trenta del Duemila, per diventare hub industriali, scientifici o ludici a uso e consumo di chiunque sia disposto a pagarne l’affitto, istituzioni e compagnie terze comprese.

[…] 

Sempre più potenti, sempre più vulnerabili

In questo clima di competizione economica crescente e di proliferazione degli attori in scena, lo spazio registra anche un’accelerazione nello sviluppo e nel dispiegamento di tecnologie a scopo prevalentemente militare. Il connubio sembra inevitabile, perché, se la vita sulla Terra è sempre più space based, compromettere i pilastri spaziali di un Paese equivale a colpirne i punti nevralgici fino a metterlo in ginocchio. Oggi le operazioni marittime, aeree e terrestri di Stati e organizzazioni internazionali, ma anche l’economia e il benessere dei cittadini, fanno affidamento su risorse e servizi extraterrestri in misura così elevata da trasformare gli asset spaziali nell’obiettivo più conveniente per una forza ostile: perché accanirsi contro una fortezza se è possibile farla crollare demolendone solo le fondamenta, i pilastri? Compromettere le infrastrutture spaziali critiche di un paese avverso, ossia attuare il cosiddetto space block, ha ripercussioni inevitabili sugli altri domini geopolitici.

[…]

Il corollario è che lo spazio è diventato tanto importante da aver generato, insieme con una nuova declinazione di potenza nazionale, anche delle vulnerabilità inedite.


[1] Alessandro Aresu e Raffaele Mauro, I cancelli del cielo. Economia e politica della grande corsa allo spazio 1950-2050, Luiss University Press, Roma 2022, p. 15.

[2] Ibidem.

[3] Così la descrive in sintesi il saggista britannico Tim Marshall: Eleonora Barbieri, “Il futuro è astropolitica. Si lotterà per il controllo delle risorse lunari”, «Il Giornale», 25 aprile 2023.

[4] Everett C. Dolman, Astropolitik. Classical Geopolitics in the Space Age, Routledge, Londra 2003.

[5] Si legga a questo proposito il numero monografico dedicato allo spazio e pubblicato da Limes il 31 dicembre 2021: Lo Spazio serve a farci la guerra.

Scritto da
Emilio Cozzi

Giornalista, autore e divulgatore scientifico specializzato in spazio, tecnologia e gaming, temi di cui scrive per diverse testate nazionali. Collabora regolarmente con ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, con «Il Sole 24 Ore», «Wired Italia» e «Forbes». È coautore e conduttore di programmi di approfondimento come “Countdown - Dallo Spazio alla Terra” (Sky Tg24) e “Space Walks” (Rai 4) e di podcast come “La geopolitica dello spazio” e “Videogame - Molto di più in gioco” di Radio 24 e “AstroWired” di Wired Italia. È autore di: “Geopolitica dello spazio. Storia, economia e futuro di un nuovo continente” (il Saggiatore 2024), “Spazio al futuro” (BFC Books 2021) e “Io sono Pow3r” (con Giorgio Calandrelli, Salani 2020).

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