“Il punto d’incontro. Il negoziato nell’Unione europea” di Nicola Verola
- 06 Novembre 2020

“Il punto d’incontro. Il negoziato nell’Unione europea” di Nicola Verola

Recensione a: Nicola Verola, Il punto d’incontro. Il negoziato nell’Unione europea, prefazione di Sergio Fabbrini, LUISS University Press, Roma 2020, pp. 240, 22 euro (scheda libro)

Scritto da Nicola Dimitri

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Come funziona l’Ue? Che posto occupa la logica negoziale nei processi decisionali europei? Il punto d’incontro, l’ultimo libro di Nicola Verola, diplomatico di carriera e Direttore Centrale per l’Integrazione Europea al Ministero degli Affari Esteri, è anzitutto una cartina geografica che, rispondendo ai suddetti quesiti, permette al lettore di orientarsi e muoversi con cognizione di causa nel territorio spesso impervio e labirintico delle istituzioni dell’Unione europea.

All’interno del volume l’autore illustra con dovizia di particolari gli strumenti, le regole, i meccanismi che si celano dietro i processi decisionali europei e, in particolare, pone l’accento sulle tecniche negoziali che si sviluppano a più livelli all’interno dell’Unione.

Ad avviso di Verola, infatti, per comprendere le logiche europee è anzitutto dall’analisi del negoziato – inteso come l’insieme di attività preordinate alla definizione di un accordo comune – che si deve partire. Questo si pone non solo alla base del funzionamento quotidiano dell’Ue ma permea tutte le procedure decisionali che si articolano tra Stati membri, tra Stati e istituzioni e tra le istituzioni stesse.

Al riguardo, spiega l’autore, è importante porre in evidenza che l’Unione vive di un negoziato permanente che permette agli attori comunitari – che operano in una costante mediazione tra interessi particolari tra loro in conflitto – di addivenire alla conclusione di accordi positivi per tutte le parti in causa.

Proprio per questo, per cogliere fino in fondo le logiche decisionali europee, il libro propone di leggere i processi euro-unitari da un punto di vista inedito, vale a dire attraverso lo strumento del negoziato. In questo modo, sostiene Verola, è possibile raggiungere una comprensione più consapevole delle dinamiche europee, degli iter decisionali, dei limiti che impediscono agli Stati nazionali di dotarsi di una strategia istituzionale e culturale comune e delle ormai ordinarie fragilità politico-istituzionali che caratterizzano l’Unione e che ne frenano il processo di integrazione.

Verola, sin dal primo capitolo, ci avverte che il ricorso sistematico alla strategia negoziale ha avuto un ruolo essenziale nella perimetrazione dell’orizzonte unionale e nella costruzione dello stesso progetto europeo. Il negoziato, infatti, ha permesso nel tempo agli Stati membri di mitigare tensioni, instaurare relazioni di dialogo e supporto, costruire alleanze ed emanciparsi dalla tendenza a tutelare, in seno alle istituzioni europee, esclusivamente gli interessi nazionali.

Dalla lettura del volume comprendiamo, quindi, che la logica del negoziato intergovernativo alimenta da sempre il motore burocratico, organizzativo e decisionale dell’Ue. Spiega l’autore che, a differenza dei procedimenti decisionali legati ai gruppi di maggioranza o minoranza (come nel caso della democrazia parlamentare), il negoziato consente di raggiungere accordi o intese a somma positiva, vale a dire in grado di soddisfare, contemporaneamente, tutti gli interessi in gioco. Al riguardo, citando Charles Dupont (politico e primo ministro francese di fine Ottocento), Verola afferma che il negoziato consiste in «un’attività che prevede l’interazione di più attori che, a fronte di una serie di divergenze e interdipendenze, scelgono di cercare volontariamente una soluzione che sia mutuamente accettabile».

Ebbene, gli attori europei che partecipano ai negoziati partono proprio dal postulato secondo cui la ricerca volontaria di una soluzione comune, di una soluzione adatta a rappresentare gli interessi di tutti, è di per sé «preferibile ad un non-accordo». È proprio attraverso il negoziato che gli attori europei, benchè in competizione tra loro, lavorano per avvicinare istanze e posizioni contrapposte e riescono così a collaborare, comunicare e rassicurarsi a vicenda, immunizzando le insidie proprie dell’essere in comunità: il conflitto, l’egoismo, la minaccia.

È grazie alla logica negoziale che l’Europa è cresciuta, allargando le proprie sfere di competenza e rinforzando i meccanismi di cooperazione tra Stati membri; anzi, il negoziato, spiega l’autore, ha pervaso la dialettica politico-istituzionale europea al punto da divenirne elemento centrale. Al punto che l’Europa stessa può essere definita una “grande machine a négocier”.

In altre parole, sostiene Verola, si può affermare che in Europa il negoziato ha funzione costituente e salvifica: da un lato, il ricorso a questo strumento ha permesso di elaborare e ratificare i Trattati tuttora vigenti e le revisioni che ne sono seguite e, dall’altro, la logica negoziale ha consentito di superare passaggi difficilissimi (non senza criticità) come la crisi del 2008 e, da ultimo, la Brexit.

È evidente dunque che parlare di negoziato europeo significa parlare anche di governance dell’Ue e di gestione della politica europea: dunque, delle virtù e delle fragilità proprie di un sistema, quello unionale, fortemente incentrato sulla ricerca del compromesso e attualmente privo di una sfera politica unitaria.

Come spiega Verola, se la legge «rispecchia una razionalità geometrica, l’accordo deve accontentarsi, quando vi riesce, della quadratura del cerchio». In questo senso, quanto alle fragilità di un sistema decisionale basato sul negoziato, ad avviso dell’autore, la ricerca continua del compromesso rende la logica decisionale comunitaria frastagliata e cumulativa. Rende, altresì, difficile definire la stessa natura dell’Ue – che resta sospesa tra il modello federale e quello confederale – e rallenta, se non addirittura ostacola, l’approfondimento del processo di integrazione, soprattutto in settori vitali come la fiscalità, la cooperazione giudiziaria, la politica estera, la difesa, la politica sociale.

Invero, quanto alle virtù, benchè il negoziato determini notevoli appesantimenti amministrativi e burocratici, la trattativa negoziale all’interno dell’Ue è ancora, per certi versi, lo strumento più idoneo per garantire il mantenimento della dialettica intergovernativa e la tenuta degli equilibri politici ed economici tra Stati membri.

La natura pattizia dei processi decisionali e costituzionali europei (basti pensare che gli stessi testi fondamentali dell’Unione sono frutto di negoziati), infatti, benchè caotica giustifica la natura iterativa e graduale dell’integrazione comunitaria. Al riguardo, spiega l’autore, il negoziato a differenza di altri meccanismi decisionali più diretti, assicura una graduale – dunque non repentina – convergenza di posizioni tra attori comunitari. In tal senso, raggiungere un accordo graduale, tramite un lento lavoro di stratificazione del consenso, significa massimizzare i vantaggi che derivano dall’essere in costante dialogo (dunque ridurre l’asimmetria informativa), evitare i costi dovuti alla mancata cooperazione e saldare legami e vincoli relazionali tra funzionari europei. Tutto ciò, sostiene Verola è decisivo per la tenuta della stessa Ue, in quanto solo i meccanismi decisionali di questo tipo permettono di preservare «il patrimonio di fiducia reciproca, cooperazione, aspirazioni e interessi condivisi accumulato in sessant’anni di integrazione».

La natura iterativa delle procedure negoziali, dunque, obbligando gli attori comunitari a sottoporsi a continui confronti, tavoli di lavoro e riunioni, tende a convogliare i singoli interessi nazionali entro più ampi orizzonti. Al riguardo, spiega l’autore, la filiera negoziale, fatta di concessioni incrociate, scambi di informazioni, compensazioni e contropartite, permette fisiologicamente di trascendere le contrapposizioni di interessi e gli stalli, favorendo l’idea che il vantaggio che ogni attore può trarre dal raggiungimento – nel più breve tempo possibile – di un accordo comune è maggiore del vantaggio che gli deriverebbe dal mantenere inalterata la propria posizione.

Ma come si raggiunge il «punto d’incontro»? In altre parole, come si articolano le attività negoziali tra Stati membri, tra Stati e istituzioni e tra le istituzioni stesse? Verola ci spiega che è estremamente complesso raggiungere un accordo in quanto, all’interno di un negoziato comunitario, convivono innumerevoli interessi di cui bisogna necessariamente tenere conto.

Da un lato, il negoziatore – il funzionario – deve tenere conto degli interessi del mandante (vale a dire dei Governi e delle amministrazioni nazionali), dall’altro, gli Stati devono cercare di armonizzazione tra loro le proprie pretese e ridurre atteggiamenti che potrebbero essere considerati sleali e, ancora, le istituzioni – con particolare riferimento alla Commissione europea – devono riuscire a comporre gli interessi nazionali affinchè venga tutelato primariamente l’interesse dell’Europa e vengano adottate soluzioni in grado di massimizzare il benessere aggregato.

Il negoziato, dunque, è affare assai complesso: caratterizzato da un misto di ideologia, expertise tecnocratica, tecniche di persuasione, è imperniato su una serie di procedure articolate e di meccanismi di verifica reciproca e incrociata che, sostituendo i rapporti di forza con un sistema di regole condivise, permettono alle parti coinvolte di rispettare gli equilibri e gli interessi in gioco.

Ad avviso di Verola, dunque, la cultura negoziale europea, la fitta e intricata rete di negoziati continui, ha reso l’Europa un posto più sicuro e ha permesso, nel tempo, all’Unione di allargare la propria membership: «il grande allargamento del 2005 ha portato il numero degli stati da 15 a 25; a questi nel 2007 si sono aggiunti la Bulgaria e la Romania e nel 2013 la Croazia».

Il quadro tratteggiato da Verola all’interno del volume è più che mai esaustivo, in quanto, da un lato consente di cogliere l’importanza che il negoziato ricopre all’interno dei processi decisionali europei ma, dall’altro, mette in luce tutti i limiti della logica negoziale. Al riguardo, ci avverte l’autore, se si può affermare che la logica negoziale ha permesso di addomesticare la propensione di alcuni negoziatori nazionali a far valere, a scapito della più ampia logica comunitaria, esclusivamente i propri interessi domestici, non sempre il negoziato si è rivelato benefico per la tenuta dell’Ue.

Al contrario, lo strumento negoziale ha dato prova di non essere in ogni occasione strumento idoneo per fronteggiare le implicazioni dovute alle numerose «crisi esistenziali» che hanno attraversato e attraversano l’Unione. Su alcuni temi, quali ad esempio la gestione del debito tra Paesi membri e istituzioni europee, la logica gerarchica e la dialettica verticistica – che invece avrebbe dovuto essere sopita dalla ricerca volontaria di una soluzione comune e «mutuamente accettabile» – ha preso il sopravvento, innescando una gestione della politica europea secondo indici di influenza economico-finanziaria: benchè nell’Unione non dovrebbe esistere una gerarchia formale e dovrebbe sussistere un equilibrio tra le parti in quanto «la costruzione europea è nata per sotterrare il bastone del comando» è un dato di fatto pressoché indiscutibile che – ad esempio – negli ultimi anni, soprattutto per ragioni demografiche ed economiche, la Germania ha acquisito un’influenza dominante e preponderante sulla gestione del Mercato unico.

Ad avviso di Verola, dunque, soprattutto su questioni economico-finanziarie il ricorso al negoziato non sempre riesce ad impedire l’affermazione di azioni unilaterali di tipo egemonico da parte di alcuni Stati e ad evitare escalation di accuse reciproche tra membri dell’Ue. Più nel dettaglio, spiega l’autore, nella gestione di problematiche unionali aventi ad oggetto questioni esistenziali (spesso di matrice economica) il negoziato intergovernativo ha dato prova di non «risolvere i problemi che l’integrazione, resa possibile dallo stesso negoziato può generare».

Pertanto, la logica intergovernativa, talvolta, non ha convogliato in un unico accordo – come invece avrebbe dovuto – posizioni apparentemente in contrasto ma, al contrario, ha esacerbato all’interno dell’Ue fenomeni disgregativi già in atto per altre ragioni, conducendo così (soprattutto negli ultimi decenni) ad una crescita impetuosa di segmentazioni politico-territoriali e aggregazioni interstatali. Si pensi al “gruppo di Visegrád” – che aggrega buona parte dei Paesi dell’Europa dell’est – o alla “coalizione anseatica” – che aggrega e rappresenta parte dei Paesi dell’Europa occidentale del nord – e, infine, alle variegate coalizioni del sud, che aggregano i Paesi che gravitano intorno al Mediterraneo.

Il negoziato intergovernativo dunque si è rivelato, in alcuni casi, strumento troppo debole per superare i problemi che implicitamente il processo di integrazione ha posto e tuttora pone. Non ha avuto la capacità di spingere gli Stati membri a compiere il salto nel federale e canalizzare, a fronte di una consistente delega di sovranità, gli interessi domestici entro perimetri comunitari ben più ampi.

In altre parole, la strategia negoziale adottata nei processi decisionali dell’Ue non è stata in grado di garantire la concreta costruzione di una sfera pubblica e di un discorso politico integrato tra Stati e, quindi, autenticamente europeo.

In conclusione, a parere dell’autore, benché siano innegabili i benefici apportati dall’adozione della strategia negoziale per il consolidamento della costruzione europea è arrivato il momento, per l’Ue, di evolvere: vale a dire di affrancarsi dall’idea che solo attraverso il negoziato si possa approfondire il processo di integrazione. Il negoziato, infatti, impone di procedere sempre «per piccoli passi» e, oggi, ad avviso di Verola ricorrere a un iter decisionale così lento, espressione dell’incontro di interessi domestici e tra loro in conflitto, in particolar modo in momenti di crisi e di emergenza, «è un lusso che non ci si può permettere» in quanto, questo metodo, rischia di paralizzare l’intera Ue.

In altre parole, nel volume l’autore sostiene la tesi secondo cui, benché il ricorso al negoziato sia stato benefico per l’Ue, in quanto la strategia negoziale è stata la «principale garanzia di sopravvivenza dell’Unione», oggi questa stessa strategia appare anacronistica e talvolta paralizzante. Ad avviso di Verola se l’Ue vuole risolvere le criticità che l’attraversano – si pensi alla questione dei confini, al deficit democratico e alle crisi migratoria da anni in attesa di una efficace disciplina unionale – e allo stesso tempo sopravvivere alle nuove sfide poste dal processo in atto di riscrittura della globalizzazione, deve mettere in discussione il suo tradizionale modus operandi incrementale, in quanto poco incline a garantire entro tempi rapidi una presa di posizione corale.

Le recenti crisi hanno evidenziato, infatti, la necessità di addivenire ad un’Europa più flessibile, solidale e integrata. Proprio per questo, osserva l’autore con una nota critica, è arrivato il momento di smettere di considerare la strategia negoziale come unica via per giungere a soluzioni condivise a livello europeo, in quanto «il carattere negoziale dei processi decisionali europei impedisce di realizzare un discorso politico autenticamente europeo e ciò minaccia di deteriorare la fiducia tra gli Stati membri e la coesione interna dell’Unione».

Alla luce di ciò, per garantire la sua stessa sopravvivenza, l’Ue deve continuare ad investire sulla costruzione di una sfera pubblica che permetta di garantire una sempre più integrata ed equilibrata partecipazione degli Stati nei processi decisionali e, conseguentemente, un migliore bilanciamento dei poteri tra gli attori europei.

Scritto da
Nicola Dimitri

Dottorando in filosofia del diritto presso l’Università degli studi di Genova, cultore della materia in sociologia del diritto presso la stessa Università, è borsista presso l’Istituto Italiano di Studi Filosofici di Napoli, IISF. È membro di Società Italiana di Filosofia del Diritto, SIFD; Società Italiana Diritto e Letteratura, ISLL; Centro per l’Eccellenza e gli Studi Transdisciplinari, CEST.

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