Accordo iraniano: il discorso di Rouhani in italiano
- 09 Maggio 2018

Accordo iraniano: il discorso di Rouhani in italiano

Scritto da Gabriele Sirtori

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La dichiarazione di Trump è arrivata improvvisa, come sempre cogliendo di sorpresa giornalisti e addetti ai lavori: l’8 maggio, 4 giorni prima della data prevista, ha annunciato il varo di nuove sanzioni contro l’Iran e l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo del JCPOA (acronimo per Joint Comprehensive Plan of Action), ovvero l’accordo sul nucleare iraniano siglato da Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia e Cina con il quale l’Iran si è impegnato a fermare il proprio programma nucleare e ad eliminare le proprie scorte di uranio arricchito autorizzando stringenti controlli da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica.

Per capire quali scenari si apriranno ora bisognerà guardare alla posizione che assumerà l’Europa: se continuerà a sostenere l’accordo o si allineerà sulla linea di Trump. In ogni caso non c’è alcun dubbio che lo Stato che più di ogni altro risentirà di questa decisione sarà proprio l’Iran, un Paese di cui si parla molto nei media ma che resta spesso poco conosciuto nella sua realtà effettiva. Al di là delle immagini che lo rappresentano come potenza regionale nelle guerre per procura del Medio Oriente, oppure come regime oppressore che ignora i diritti civili, l’Iran è un Paese di grande complessità: una nazione di 80 milioni di abitanti che si trova di fronte a sfide enormi: un alto livello di disoccupazione, la scarsità di risorse idriche, una moneta soggetta a fortissime fluttuazioni di valore. Il Barjām, come è chiamato l’accordo sul nucleare in lingua persiana, non ha rappresentato per l’Iran solo l’uscita dal ruolo di paria che ricopriva nella società internazionale specialmente dopo gli anni di Ahmadinejad, ma anche un’occasione, con la fine delle sanzioni, per rilanciare l’economia interna, aumentare le esportazioni e migliorare la qualità della vita dei propri cittadini con l’arrivo dall’Europa di migliori medicinali e tecnologie all’avanguardia.

L’obiettivo di questo articolo è quello di favorire la comprensione dei risvolti interni all’Iran della decisione di Trump, osservando dall’interno il clima con cui la Repubblica Islamica si è preparata ad accogliere la notizia. La figura più attiva in questo senso è stata ovviamente il presidente della Repubblica Hassan Rouhani, uno dei negoziatori dell’accordo. Due giorni prima della decisione di Trump, il 6 maggio, Rouhani ha tenuto a Mashhad un importante discorso. Di fronte al consiglio amministrativo e alle élite della regione del Khorasan-e Rezavi, bastione dei conservatori che si opponevano all’accordo, Rouhani ha difeso la bontà del Barjām e, soprattutto, ha delineato la strategia dell’Iran di fronte alle possibili mosse statunitensi. Si propongono di seguito, come documento per aiutare il lettore a comprendere la situazione attuale, alcuni stralci del discorso, tradotti dal persiano e commentati dall’autore di questo articolo.

 

Rouhani e la difesa dell’accordo sul nucleare

Queste parole sono tratte dalla prima parte del discorso di Rouhani:

Sin dall’inizio dell’11° governo uno dei nostri obiettivi fondamentali è stato eliminare le ingiuste sanzioni internazionali. Alcuni si chiedono: perché l’11° governo fa di tutto per perseguire l’accordo sul nucleare? No, l’11° governo fa di tutto per perseguire l’eliminazione dell’oppressione internazionale sull’Iran. Poi se uno dice: eliminare l’oppressione ingiusta dal popolo non va bene, questo è un pensiero suo. Secondo noi le sanzioni erano il peso maggiore che gravava sul popolo. C’erano perfino sulle medicine, sulle questioni sanitarie! Il ministro dell’agricoltura una volta in una riunione ha detto: “non sapete che servizio avete reso alla salute dei prodotti agricoli con l’implementazione del JCPOA! I diserbanti che venivano importati erano tutti prodotti scadenti e malsani e alcuni di questi erano addirittura illegali. I prodotti agricoli alla fine avevano un effetto nocivo sulla salute delle persone. Fortunatamente la situazione nel post-sanzioni è ben diversa: ora importiamo solo i migliori diserbanti.”

Alcuni dicono: “A che serve l’accordo sul nucleare?”. L’accordo sul nucleare significa benessere per la popolazione. Significa medicinali rari che arrivano tra le mani delle persone. Le strumentazioni mediche che arrivavano erano difettose ma oggi possiamo importare le migliori. Il mondo ci aveva imposto sanzioni inique e ingiuste che abbiamo voluto sollevare dalle spalle della nostra popolazione. Questo è stato il nostro primo passo. Detto questo, Ecco l’ordine delle mosse compiute: nei primi 100 giorni il primo accordo è stato completato. Significa che abbiamo indiziato tra la fine del mese di Mordad e l’inizio di Shahrivar [cioè ad Agosto, NdA] e l’accordo provvisorio era già stato completato per il mese di Azar del 1392 [cioè novembre 2013, NdA]. Con quell’accordo il nostro petrolio è tornato finalmente ad essere libero, così come il nostro settore petrolchimico e la produzione di automobili.

Poi, nei mesi subito successivi abbiamo compiuto i primi passi per rimuovere l’oppressione. Volevamo dire al mondo che la preoccupazione per quanto fa l’Iran è una preoccupazione sbagliata. Ciò che viene detto, cioè che l’Iran sta perseguendo la bomba nucleare, è solo un piano della propaganda anti-iraniana. L’Iran non vuole la bomba. Abbiamo fatto di tutto perché l’iranofobia scomparisse sulla base del fatto che noi, con il resto del mondo, avevamo stretto un accordo. Alcuni dicono: “quanta fiducia avete in quell’accordo e nel mondo?”. Ma non succede forse anche nei matrimoni, che non tutte le coppie durano fino alla fine ma parte finisce per divorziare? Quindi? Forse non ci dovrebbero essere unioni o matrimoni?

Ci chiedono: “Ma quanta fiducia avete del mondo?”. Sicuramente non il cento per cento. L’Iraq è un nostro vicino ma Saddam ha denunciato molti dei patti siglati con noi. La fiducia c’è ovunque, ma è sempre relativa, non è mai al cento per cento. A volte non abbiamo firmato trattati con partner di cui ci fidiamo, ma al tempo stesso abbiamo fatto accordi ratificati dalle Nazioni Unite verso le quali nutriamo una fiducia, diciamo, relativa.

In questa prima parte del discorso Rouhani ha difeso la bontà dell’accordo di fronte a molti suoi detrattori. Si possono leggere implicitamente le principali accuse che sono state rivolte a lui, al suo governo, l’11° a partire dalla Rivoluzione, e all’accordo sul nucleare. È stato detto infatti che la sua squadra di governo si sarebbe disinteressata dei veri problemi interni al Paese concentrandosi invece esclusivamente sulle relazioni internazionali con l’occidente e sul JCPOA. La risposta difende la necessità delle negoziazioni e l’importanza della fine delle sanzioni per l’economia e la qualità della vita degli iraniani.

Un’altra accusa è stata quella di aver stretto un accordo inutile, in quanto, pur garantendo vantaggi economici, non avrebbe permesso all’Iran di acquisire dignità e rispetto nelle sue rivendicazioni internazionali ma, anzi, sarebbe ancora considerato da diversi Stati “lo sponsor del terrorismo mondiale”. Rouhani si difende chiamando in causa l’iranofobia, un atteggiamento attribuito a un complotto internazionale (grande classico nella politica persiana) e spiegando la bontà dell’accordo sul nucleare nel combattere questo fenomeno.

Infine le ultime due accuse a cui risponde sono legate ad un presunto atteggiamento troppo succube e ingenuo che la delegazione iraniana avrebbe tenuto durante i negoziati. Secondo i conservatori, infatti, questa apertura della comunità internazionale verso l’Iran sarebbe servita solo a nascondere qualche stratagemma nascosto per colpire più duramente le sue istituzioni. La risposta di Rouhani è conciliante: la fiducia nell’accordo e nel resto del mondo non è piena, però un accordo che funziona e che è favorevole è meglio che non avere nessun accordo e restare vittime delle sanzioni.

Rouhani poi si è rivolto agli Stati Uniti con queste parole:

Abbiamo detto al mondo: “Se la vostra preoccupazione nei nostri confronti è legata al programma nucleare, noi lo rimuoviamo, anche se sappiamo che questa vostra preoccupazione non è realistica, ma in parte fatta di sospetti, immaginazioni e supposizioni.” Oggi invece diciamo al mondo: “Se la vostra preoccupazione è la bomba atomica, noi con il JCPOA vi abbiamo offerto la più completa garanzia di affidabilità, ma se ancora avete sospetti e preoccupazioni … “mi riferisco agli Stati Uniti ovviamente. Noi con gli altri stati firmatari non abbiamo problemi e sono tutti sostenitori dell’accordo. Anzi, questi si rivolgono a noi e ci dicono: “Dobbiamo salvare il JCPOA!”

Questo mio discorso infatti riguarda solo uno di quei sei Paesi, e cioè gli Stati Uniti. Che cosa vogliono gli americani? È evidente, guardate il profondo del cuore degli Stati Uniti, guardatelo, nel bene e nel male. Loro all’inizio avevano obiettivi molteplici: il primo era che la potenza dell’Iran diminuisse. I governi americani succedutisi dopo la nostra rivoluzione islamica hanno sempre voluto che l’Iran non fosse forte. Anche ora, sia che alla fine decidano di restare nell’accordo, sia che decidano di uscirne, il loro obiettivo principale resta quello.

Un altro obiettivo che perseguono è questo: che l’Iran nella regione abbia poca o nessuna influenza. Il fatto che noi siamo una nazione influente a livello regionale agli americani non sta bene. Sono preoccupati anche per la indipendenza. Persino una grande potenza come la loro non vuole che uno stato sia indipendente e che possa scegliere di non avere a che fare né con l’occidente, né con l’oriente. Prima della rivoluzione islamica loro si erano infiltrati in ogni luogo, persino nelle nostre forze armate e nei servizi di sicurezza: sono stati loro a creare la SAVAK.

L’America ha una serie di obiettivi contro cui l’Iran si opporrà con tutta la sua forza. Per questo motivo, se l’America vuole che l’Iran non sia una nazione indipendente ma una che ubbidisca al loro volere, che non abbia alcuna influenza nella regione e che non sia una nazione forte, il nostro popolo si opporrà a questa oppressione con tutta la sua forza, così come ha fatto anche negli ultimi 40 anni! Ma per quanto riguarda il programma nucleare, in quel caso non ci deve essere alcuna preoccupazione in quanto l’Iran non vuole la bomba atomica.

In quest’ultima sezione ricorrono due temi ricorrenti della politica estera iraniana: il complottismo e la teoria di una possibile iranian way, ovvero l’idea, riconducibile a Khomeini, per la quale lo stato iraniano nei suoi valori, nelle sue istituzioni, nella sua produzione artistica e culturale, nelle sue relazioni internazionali dovesse essere uno stato non identificabile né con l’Oriente, né con l’Occidente, rappresentati all’epoca dalle due superpotenze URSS e Stati Uniti, ma un qualcosa di diverso, una potenza terza, orgogliosamente islamica, in grado di fare da guida per altri stati a predominanza musulmana e reduci da decenni di imperialismo. Questo ruolo egemone che l’Iran rivendicava all’epoca è rimasto invariato nei discorsi ufficiali di oggi, specialmente quelli di area conservatrice, che giustificano l’impiego di fondi e truppe in Siria, Iraq, Libano e in Yemen e il supporto del così detto “asse della resistenza”, dove per resistenza si intende quella combattuta contro quello che viene visto come neo imperialismo statunitense e l’egemonia dei valori occidentali.

Qui Rouhani si sta rivolgendo evidentemente ad un pubblico conservatore, composto da molti principalisti (osul-gerayān), ovvero la frangia di politici più aderente ai principi fondanti della rivoluzione islamica. Lo si evince anche dal riferimento alla SAVAK, la polizia segreta dello Shah che, secondo i report di allora, si rese colpevole di moltissimi omicidi, arresti arbitrari e torture durante gli anni subito precedenti il 1979.

 

L’uscita degli Stati Uniti e le reazioni iraniane

A questo punto Rouhani può arrivare al tema più scottante: la possibile uscita dall’accordo degli Stati Uniti e le eventuali azioni iraniane:

Se l’America non manterrà le promesse uscendo dall’accordo, il pensiero generale dell’opinione pubblica mondiale sarà che l’Iran di questo non ha colpe. Tutti i governi del mondo avranno ben chiaro che sarà l’Iran a essere dalla parte del giusto e chi invece avrà infranto un patto sarà stato il governo degli Stati Uniti. La questione è questa: se escono dall’accordo, questa sarà la mossa di un singolo Stato, e non del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e a quel punto [per indebolirci] gli Stati Uniti dovranno basarsi su risoluzioni ingiuste del Consiglio di Sicurezza che però, al giorno d’oggi, non sono possibili.

Oggi abbiamo un accordo che noi, secondo anche quanto è stato riconosciuto dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, abbiamo pienamente applicato. L’America dice che questo accordo va a detrimento dei suoi interessi, e che è il peggiore trattato internazionale che abbiano mai firmato e che è un documento secondo loro irrazionale. Un governo legittimo degli Stati Uniti ha però firmato quell’accordo ed è molto probabile che la gente avrà questo ben chiaro in mente la prossima settimana, qualsiasi mossa compiranno gli Stati Uniti. Noi in ogni caso abbiamo adottato le misure necessarie per far fronte ai diversi scenari. Gli Statunitensi in questo saranno le principali vittime e subiranno danni, perdite e sconfitte. Noi abbiamo un nostro programma. O ci viene garantito e assicurato dalla componente non statunitense che, anche se gli Stati Uniti usciranno dall’accordo, ciò che noi vogliamo resterà immutato o subirà pochi danni, oppure, se tutto quanto ci riguarda non verrà garantito, noi abbiamo pronta una nostra soluzione legittima e ragionevole e un nostro piano d’azione.

Non è chiaro cosa intenda concretamente Rouhani quando parla di soluzioni o di piani d’azione, ma è evidente come nel riferimento precedente l’Europa sia direttamente chiamata in causa, così come Russia e Cina. L’Europa ha infatti tutto l’interesse a restare nell’accordo: il mercato iraniano, con 80 milioni di abitanti disponibili ad acquistare nuovi prodotti e macchinari all’avanguardia, è estremamente appetibile per gli Stati del Vecchio Continente, mentre lo è molto meno per gli Stati Uniti, troppo lontani per stabilire legami commerciali molto rilevanti.

Il tentativo di Rouhani è dunque quello di spingere l’Europa a differenziarsi dalla posizione statunitense. Al tempo stesso ricorda tutti i presupposti che giustificano una scelta favorevole all’Iran: la Repubblica Islamica non ha mai violato l’accordo. La IAEA ha sempre certificato il buon comportamento iraniano. L’accordo è stato fortemente voluto e firmato anche dagli Stati Uniti stessi, anzi, da un governo “legittimo” degli Stati Uniti, dove l’uso di questa parola vuole forse indirettamente gettare una luce negativa sull’attuale inquilino della Casa Bianca, facendo leva sull’opinione che di lui hanno le varie cancellerie internazionali e soprattutto europee.

Il discorso si conclude con un appello agli iraniani e una rassicurazione sul recente crollo del valore della moneta, dove Rouhani usa le parole più forti:

Alla nazione dell’Iran dico questo: il nostro popolo ha opposto resistenza ad azioni di questo tipo per 40 anni e oggi ancora resiste. Se gli Stati Uniti ci avessero detto: “dismettete la vostra forza militare!” non sarebbe stato possibile acconsentire – vi sembra una proposta accettabile? – Se ci dicessero: “Non ci piace la vostra Repubblica Islamica” noi non potremmo mai accettare. Per questo la nazione dell’Iran oggi, dal nostro punto di vista, dal punto di vista delle idee e degli obiettivi, è unita e compatta e saremo in grado di superare degnamente anche questo breve momento di difficoltà che, ne sono sicuro, non potrà certo durare a lungo.

Se gli Stati Uniti dovessero compiere scelte errate, la conseguenza per loro potrà soltanto essere il pentimento e la consapevolezza di aver fatto un grosso errore strategico. Per questo il nostro popolo deve guardare con serenità e sicurezza al proprio futuro, alla vita, all’economia e ai rapporti commerciali. Il recente programma monetario, una delle cui ragioni è stata il farsi trovare pronti a questo tipo di avvenimenti, da noi ritenuti probabili, è stato realizzato e previsto.

Noi garantiamo la moneta per le importazioni e per le esportazioni del nostro Paese, per gli investimenti, per i malati che hanno bisogno di cure all’estero e per i bisogni fondamentali delle persone.

Se non avessimo attuato questo piano sarebbe stato possibile ogni giorno avere attacchi speculativi nella borsa valori, un qualcosa che non si era mai verificato prima: negli ultimi 4 anni c’era una riserva monetaria sufficiente ad evitare fluttuazioni straordinarie di valore. A questo punto invece è stato necessario controllare la moneta ed è stata, a mio parere, una scelta buona e giusta. Oggi abbiamo riserve monetarie a sufficienza provenienti dalle esportazioni di petrolio e di altri prodotti, che è quanto serve alla Nazione. Per questa ragione oggi, nelle condizioni in cui siamo, il piano che abbiamo approvato per la stabilizzazione della moneta è una mossa ragionevole. Allo stesso modo ci permette di non avere alcuna preoccupazione da parte nostra per le scelte tiranniche degli Stati Uniti e le loro mosse disoneste.

Con queste parole si conclude il discorso di Rouhani. Il richiamo all’unità del Paese, alla resistenza (altra parola chiave della politica estera iraniana), al non perdere la speranza verso il futuro e verso l’economia del Paese sono l’occasione per lodare gli sforzi fatti dal suo governo nel gestire la recente crisi inflazionistica del Rial, la moneta iraniana.

Interessante è il collegamento che Rouhani tratteggia tra la crisi inflazionistica, la riforma monetaria e le minacce statunitensi. A tal proposito può essere utile leggere un articolo recentemente uscito per la rivista americana Foreign Affairs in cui gli autori, Saeed Ghassaminejad e Richard Goldberg, invitano a considerare la possibilità di attacchi sul fronte monetario da parte statunitense per sfiancare la classe media iraniana e alimentare malumori verso il regime.

In ogni caso proponendo la traduzione di questo discorso abbiamo voluto fornire al lettore un ulteriore strumento per comprendere i punti di vista in campo in merito ad una questione cruciale della politica internazionale, drammaticamente messa in discussione in questi giorni.

Scritto da
Gabriele Sirtori

Nato a Lecco nel 1996, studente di arabo e persiano, ha passato gli ultimi 3 anni tra Iran, Egitto, Libano, Kurdistan (iraniano) e il Veneto. Ha seguito corsi presso l'Università Ferdowsi di Mashhad, Iran. È studente del terzo anno presso l'Università Ca Foscari di Venezia.

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