Scritto da Clara Latorraca
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Negli ultimi mesi, la Corea del Sud è stata teatro di una crisi politica senza precedenti, iniziata il 3 dicembre 2024, quando il Presidente Yoon Suk-yeol ha cercato di imporre la legge marziale, provocando una reazione immediata da parte delle istituzioni democratiche e della società civile. L’episodio, che ha portato all’impeachment e all’arresto di Yoon con l’accusa di insurrezione, e che ha prodotto una situazione di stallo nel sistema politico sudcoreano, ha sollevato interrogativi profondi sulla tenuta democratica del Paese e sulle fragilità del suo sistema politico.
Per comprendere le radici di questa crisi e il suo impatto sulla stabilità della Corea del Sud, abbiamo intervistato Antonio Fiori, professore di Storia e Istituzioni dell’Asia all’Università di Bologna. Esperto di politica coreana, Fiori analizza i fattori che hanno spinto Yoon a tentare un colpo di Stato, le reazioni delle istituzioni e della società civile, e le implicazioni storiche e internazionali di un evento che rischia di lasciare un segno profondo nella storia politica del Paese.
Il 3 dicembre 2024 il Presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol dichiara la legge marziale attraverso un discorso trasmesso in diretta al Paese sulle reti televisive nazionali. Quali sono stati i fattori scatenanti che hanno portato a questa decisione? Qual è stata la reazione della politica e a quale risultato si è arrivati?
Antonio Fiori: Non esiste una linea chiara nell’interpretazione di che cosa possa aver convinto Yoon a cercare di implementare la legge marziale. Prima di diventare Presidente, Yoon era un pubblico ministero (si può definire così il suo ruolo, anche se l’accezione è un po’ diversa da quella statunitense) e non aveva nessun tipo di esperienza politica pregressa. Per questo motivo, non era fortemente socializzato all’interno delle istituzioni democratiche del Paese e una possibile chiave interpretativa è quella della scarsa cultura politica democratica. In aggiunta, è un personaggio che è stato travolto da numerosi scandali negli ultimi mesi, sia personali che familiari. Un’altra questione, che io considero forse la più importante, è la frustrazione. Una frustrazione relativa al fatto che gradualmente, e in modo particolare a seguito delle elezioni dell’aprile 2024, Yoon si è visto sempre più impotente nel governare il Paese così come avrebbe voluto. Si è trovato in questa condizione perché l’Assemblea Nazionale – il Parlamento monocamerale della Corea del Sud – gli era contraria. La conseguenza è stata l’impossibilità per il Presidente di attuare le riforme che avrebbe voluto implementare, che lo ha portato all’esasperazione. Anche questo tipo di atteggiamento denota una mancanza di principi realmente democratici radicati nella persona. Ci sono poi anche questioni relative all’instabilità sociale che ha caratterizzato la Corea del Sud negli ultimi anni: disuguaglianze economiche piuttosto marcate e diversi scioperi che si sono susseguiti negli ultimi mesi, soprattutto nei settori strategici come i trasporti, l’industria tecnologica, la sanità. Tutto questo ha portato a una sorta di paralisi istituzionale, anche se non è stata una condizione sufficientemente grave da indurre il Presidente a emanare la legge marziale. A seguito di questo momento di tensione, per la Corea del Sud è iniziata una fase politica di stallo: il Presidente Yoon Suk-yeol è stato sottoposto a impeachment dall’Assemblea Nazionale il 14 dicembre 2024 e poi arrestato con l’accusa di insurrezione. Al momento si sta svolgendo il processo e, in caso di colpevolezza, Yoon potrebbe rischiare anche la pena di morte. L’accusa di aver partecipato all’insurrezione è stata poi estesa anche al Primo ministro di Yoon, Han Duk-soo, che aveva assunto le funzioni di Presidente ad interim. Anche Han Duk-soo è stato quindi a sua volta sottoposto a impeachment da parte del Parlamento. Attualmente, la carica di Presidente ad interim è stata assunta dal già Vice-primo ministro e Ministro delle finanze Choi Sang-mok.
In che modo la Costituzione sudcoreana e il quadro giuridico vigente disciplinano la possibilità di proclamare la legge marziale? Quali sono i limiti, le procedure e le condizioni stabilite per la sua applicazione? Queste disposizioni riflettono in qualche modo la storia politica del Paese e le sue tensioni tra autoritarismo e democrazia?
Antonio Fiori: Dal punto di vista istituzionale, la Costituzione della Corea del Sud attribuisce il potere di attuare la legge marziale al Presidente della Repubblica. Nel caso delle azioni di Yoon, si può parlare senza alcun dubbio di un tentativo di colpo di Stato, e non di imposizione della legge marziale, perché la sua decisione in realtà ha agito contro la Costituzione coreana. La questione sostanziale è che all’interno del dettame costituzionale sono previsti dei vincoli forti a questo potere: secondo l’articolo 77 della Costituzione, la legge marziale può essere emanata soltanto in caso di guerra, insurrezioni o gravi emergenze nazionali che minacciano la sicurezza nazionale. Oltre a questo, la proclamazione della legge marziale va notificata al Parlamento, che ha il potere di revocarne l’emanazione. Come motivazione per l’emanazione della legge marziale, Yoon ha addotto la presenza di “forze antistatali” – così le ha definite nel suo discorso alla nazione – all’interno del quadro politico sudcoreano e all’interno dell’Assemblea Nazionale. Queste forze politiche, secondo Yoon, minacciavano la tenuta del Presidente stesso e la sua possibilità di governare il Paese. Questa motivazione, tuttavia, non bastava a conferirgli il potere di emanare la legge marziale in base alla Costituzione. Tutto quello che è accaduto il 3 dicembre 2024 non soddisfa i requisiti espressi nelle norme costituzionali per questo tipo di azione del Presidente, motivo per cui si è parlato sin da subito di colpo di Stato.
Quali sono le peculiarità istituzionali e strutturali del sistema politico della Corea del Sud, e quali vulnerabilità sono emerse in questo frangente? Quali dinamiche storiche e sociali hanno maggiormente influenzato la trasformazione dalla fase della dittatura militare a un sistema democratico consolidato?
Antonio Fiori: Il fattore più importante da considerare rispetto alle strutture e alle vulnerabilità del sistema politico coreano è sicuramente l’eredità autoritaria della Corea del Sud. Durante gli anni della dittatura, il potere esecutivo era esercitato in modo centralizzato e sostanzialmente abusivo, dove tutta una serie di libertà erano nettamente frustrate: libertà di stampa, libertà di aggregazione, ma anche i diritti civili e politici. Verso la fine degli anni Ottanta inizia però un processo di transizione democratica, che a sua volta caratterizza il Paese in maniera molto forte. Numerose proteste popolari di massa culminano nel cosiddetto Movimento del giugno 1987 e spingono il Paese verso una realtà politica completamente differente. Un elemento importante da sottolineare è che questo passaggio deriva quasi esclusivamente dalla volontà popolare, senza giochi d’élite particolarmente rilevanti o pressioni internazionali. La transizione dal regime autoritario al regime democratico è dovuta principalmente all’attivazione dal basso della popolazione civile – soprattutto della fascia più giovane – disposta anche a sacrificare la propria vita per raggiungere questo obiettivo. Questo quadro storico ha prodotto naturalmente delle peculiarità istituzionali nel sistema politico della Repubblica di Corea. Il passaggio alla democrazia ha permesso lo sviluppo di un sistema politico bilanciato, in cui i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario sono nettamente distinti e separati. Il sistema incorpora, dunque, una serie di meccanismi nati per evitare qualunque tipo di abuso analogo a quelli che avevano caratterizzato i regimi precedenti. Il sistema politico sudcoreano è un sistema presidenziale forte, in cui il Presidente ha poteri molto significativi: è il Capo di Stato, nomina i ministri, ha il comando delle forze armate, gestisce la politica estera. Tuttavia, c’è anche una caratteristica che previene l’eventuale concentrazione di potere nella stessa persona sul lungo termine: la Corea del Sud è un Paese presidenziale in cui il Presidente non può essere rieletto. Il risvolto negativo è però che il mandato presidenziale dura per soli cinque anni, un intervallo di tempo spesso troppo breve per mettere in atto delle politiche a lungo termine. Inoltre, sempre a difesa da una possibile concentrazione del potere, il ruolo dell’Assemblea Nazionale è molto forte. Quest’organo supervisiona il lavoro dell’esecutivo, approva la legge di bilancio e ha il potere di impeachment. Infine, anche la Corte costituzionale svolge un ruolo di chiave nella protezione dei diritti fondamentali e nella difesa del regime democratico. Per quanto riguarda le vulnerabilità, invece, una questione che io ho sempre individuato come particolarmente importante nello spiegare le difficoltà che caratterizzano la democrazia in questo Paese è che il conservatorismo sudcoreano non si è mai nettamente spogliato dei caratteri autoritari che l’hanno contraddistinto, e che hanno quindi ancora oggi un peso significativo nel panorama politico. A questo si aggiunge una tendenza fortissima alla polarizzazione politica, che può portare naturalmente a stalli estremamente acuti e non sempre equilibrati. Inoltre, la tensione tra la sicurezza nazionale e le libertà civili resta ancora oggi molto forte: quanto le libertà civili sono da garantire nel caso in cui ci siano problemi legati alla sicurezza nazionale? Questo è un tema che rimane molto dibattuto nel panorama politico sudcoreano attuale.
Come si inserisce questo recente evento nel più ampio contesto storico dell’evoluzione democratica del Paese, tenendo conto che l’ultima imposizione della legge marziale risale al 1979? Quali sono stati i principali precedenti storici in cui la legge marziale è stata proclamata?
Antonio Fiori: La peculiarità nel tentativo di imporre la legge marziale da parte di Yoon Suk-yeol è che ha provato a farlo svuotando completamente l’Assemblea Nazionale di qualsiasi potere e prevedendo il suo scioglimento. Compiendo questa mossa politica e prevedendo lo scioglimento di questa istituzione, Yoon si è messo sullo stesso piano dei dittatori Park Chung-hee e Chun Doo-hwan. Anche nel momento in cui ci si trovava in un regime dittatoriale, in una fase storica in cui era spogliata di quasi ogni potere, l’Assemblea Nazionale era comunque un’istituzione solida. Il tentativo di abolizione del Parlamento da parte di Yoon durante l’implementazione della legge marziale è stato un passo particolarmente grave. Un’altra importante differenza rispetto alla precedente imposizione della legge marziale, avvenuta nel 1979 a opera di Chun Doo-hwan, è che in quel caso la realtà politica coreana era già molto debilitata, dal momento che il regime era di tipo autoritario. Inoltre, anche per quanto riguarda la libertà di stampa, le informazioni erano fortemente controllate e molti cittadini ignoravano l’entità della repressione. Nel caso recente, invece, il contesto era pienamente democratico e la libertà di stampa ha fornito la garanzia di un coinvolgimento della popolazione da parte dei media. È stato chiaro fin dall’inizio che il tentativo di colpo di Stato di Yoon non fosse sostenuto nemmeno dalle forze che avrebbero dovuto parteciparvi, ovvero i militari e il suo stesso partito, il partito conservatore. Forse questo è avvenuto perché la partecipazione non è stata negoziata ma solo imposta.
Oltre a un’immediata reazione della politica, al momento della proclamazione della legge marziale, c’è stata anche un’immediata reazione della popolazione. Qual è stato il ruolo della società civile durante il tentativo di colpo di Stato? Più in generale, la popolazione sudcoreana è generalmente attenta e attiva rispetto alla politica?
Antonio Fiori: La società civile ha sempre avuto un’importanza fondamentale nella politica sudcoreana. I regimi della Corea del Sud sono sempre stati autoritari, ma non si sono mai configurati come totalitari. La società civile, anche se spesso marginalizzata, ha sempre avuto modo di esprimersi soprattutto nelle sue fasce più giovani, che a un certo punto non hanno più voluto accettare gli autoritarismi e hanno svolto il ruolo importantissimo nella transizione democratica già citato. Il ruolo della società civile è stato tanto importante da poter essere identificato come vero e proprio vettore di cambiamento in senso democratico. E questo è fondamentale anche in riferimento alle tradizioni che si tramandano: le proteste popolari, le espressioni dal basso, e anche la pronta risposta a cui abbiamo assistito nel caso del tentativo di colpo di stato di Yoon fanno parte di questa tradizione. Oltre ai giovani, sono molto attive a livello sociale anche le associazioni per i diritti umani e le organizzazioni religiose, le Chiese cristiane in particolare. La cattedrale di Myeongdong a Seoul, ad esempio, è stata uno dei punti focali dell’organizzazione dei movimenti democratici durante il periodo autoritario. La mobilitazione degli attivisti il 4 dicembre, in particolare, è stata immediata: una folla di persone si è subito radunata nella piazza Gwanghwamun di Seoul, luogo di molte mobilitazioni storiche anche in epoca autoritaria. Esiste una linea di continuità con il passato: i sudcoreani hanno familiarità con questo tipo di attivazione sociale, la conoscono attraverso la lunga lotta per la democratizzazione e per questo hanno prontamente reagito all’eventuale militarizzazione della gestione politica, anche in nome e in ricordo di una tradizione di impegno civico e democratico. Questo tipo di attivazione sociale ha coinvolto moltissimi individui di età diverse, provenienti da differenti estrazioni sociali e politiche. Sono persone che hanno sentito che il mandato politico del Paese era stato violato e che Yoon, la persona che aveva compiuto questa violazione, doveva essere fermato.
Qual è il ruolo che i media svolgono nel contesto della sfera politica sudcoreana, sia in termini di informazione che di influenza sull’opinione pubblica? In che modo i media tradizionali e digitali hanno contribuito storicamente a plasmare il discorso politico e a mobilitare la società civile, e quale impatto hanno avuto nel rafforzare o indebolire la trasparenza e la responsabilità delle istituzioni democratiche del Paese?
Antonio Fiori: In generale, essendo uno dei Paesi più digitalizzati e tecnologicamente avanzati al mondo, la Corea del Sud ha sviluppato un panorama mediatico di estrema complessità, dove ritroviamo simultaneamente l’esistenza di media tradizionali e piattaforme digitali che tendono ad amplificare la partecipazione. Storicamente, i media hanno sempre avuto un ruolo importante nella storia politica della Repubblica di Corea, sia nel rafforzamento degli autoritarismi, sia nella contestazione degli stessi. Negli anni Ottanta i media tradizionali svolsero un ruolo fondamentale nella diffusione delle notizie sulle proteste di massa che portarono poi al processo di transizione democratica. I giornali più progressisti, ad esempio, contribuirono ad ampliare la portata del Movimento del giugno 1987. Ad oggi, nei media tradizionali sudcoreani si può riscontrare ancora una sorta di polarizzazione politica tra giornali e broadcast conservatori e progressisti. Nonostante questo, nel caso delle aspirazioni dittatoriali di Yoon non ho colto voci estremamente dissonanti: quasi tutti i media sono stati concordi nell’affermare che l’azione compiuta dal Presidente era esecrabile e che avrebbe dovuto essere respinta. Per quanto riguarda i media digitali, in particolare, la Corea del Sud è uno dei primi Paesi in cui la comunicazione politica è passata attraverso la rete. Nel 2003 la vittoria delle elezioni da parte del Presidente Roh Moo-hyun è stata ottenuta anche grazie all’attivazione dei netizen, ovvero quelle persone che partecipano attivamente alla vita di Internet. Ci sono stati poi altri episodi recenti, di portata storica, in cui i social media hanno giocato un ruolo essenziale: tra il 2016 e il 2017, quando la Presidente Park Geun-hye venne sottoposta a impeachment, le piattaforme digitali ebbero un ruolo fondamentale nell’organizzazione delle manifestazioni, ma anche nella diffusione delle informazioni. Anche la mobilitazione a seguito del tentato colpo di Stato di dicembre, di cui abbiamo parlato, è passata attraverso le piattaforme e non poteva che essere così per la capillare diffusione della connessione Internet che troviamo nel Paese. I social media hanno immediatamente assunto il ruolo di veicolazione e diffusione delle informazioni, ma anche di piattaforma di organizzazione degli attivisti. Una piattaforma come Kakao è stata utilizzata per coordinare le proteste, condividere documenti, sensibilizzare l’opinione pubblica contro la possibile deriva autoritaria. Ma abbiamo visto anche una mobilitazione digitale di influencer, giornalisti indipendenti, organizzazioni non governative. Tutto questo ha creato una eco molto importante e, di conseguenza, una pressione mediatica rilevante.
Quali implicazioni politiche, sociali e internazionali caratterizzano un episodio come quello del tentativo di colpo di Stato?
Antonio Fiori: Dal punto di vista delle implicazioni politiche interne, il Paese dovrebbe prendere seriamente in considerazione una revisione del quadro costituzionale che renda più difficoltoso il ricorso alla legge marziale o ad altre misure straordinarie. In generale, rispetto alle conseguenze di questo avvenimento sono certo che la Corea del Sud uscirà da questa esperienza negativa, ma allo stesso tempo avrà fortissimi ricadute di tipo economico, riguardanti la credibilità internazionale e probabilmente anche il quadro produttivo. Per quanto riguarda le ricadute internazionali, in particolare, il problema principale credo sarà quello di ricostruire la credibilità, anche perché la situazione politica, in questo momento, è in totale stallo: il Presidente Yoon è stato sottoposto a impeachment e poi arrestato, il Primo ministro, che aveva assunto le funzioni di Presidente, è stato a sua volta sottoposto a impeachment, e al momento il Presidente ad interim è il Vice-primo ministro e Ministro delle finanze. Questo tipo di instabilità rende impossibile per i partner regionali e internazionali fidarsi della situazione politica nella Corea del Sud. Un’altra conseguenza di questa situazione è stato il fatto che, immediatamente dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, momento importantissimo dal punto di vista istituzionale e politico, il Paese non ha potuto farsi rappresentare ai massimi livelli. Sicuramente un avvenimento di questa portata è una macchia nella storia di una media potenza che ha saputo passare da Paese recettore di aiuti a donatore e che ha iniziato recentemente a vendere il proprio modello di sviluppo ai Paesi che volevano giovarsene. Ora il Paese deve dimostrare alla comunità internazionale che questa impasse può essere superata e che può essere superata come una grande potenza democratica.