Scritto da Francesco Nasi
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Tra i dati più interessanti emersi dagli ultimi cicli elettorali c’è il crescente divario ideologico tra giovani donne e giovani uomini. Le prime sarebbero sempre più propense a votare per formazioni e candidati progressisti, mentre i secondi farebbero sempre più riferimento a una politica di stampo conservatore e/o nazionalista. Gli esempi non mancano, e sembrano presentarsi con costanza a ogni appuntamento elettorale di rilievo. Nelle recenti elezioni tedesche, i due partiti più votati dalla fascia tra i 18 e i 24 anni sono stati i due estremi dello spettro politico: Die Link (a sinistra) e AfD (a destra). Ben il 34% delle ragazze ha votato per Die Linke, ma soltanto il 15% dei ragazzi ha fatto la stessa scelta. Specularmente, il 25% degli uomini ha votato per AfD, mentre (solo) il 15% delle donne ha preferito il partito di estrema destra. Uno dei Paesi in cui questo divario è più evidente è la Corea del Sud. Alle elezioni presidenziali del 2022, il 59% degli uomini tra i 18 e i 29 anni ha votato per il candidato conservatore Yoon Suk Yeol, che ha raggiunto però soltanto il 34% delle preferenze nella controparte femminile, con uno scarto di 25 punti. Anche l’Italia, seppur in maniera meno marcata, vede la presenza di questo fenomeno: secondo uno studio recente, il Movimento 5 Stelle raggiungerebbe il 18% delle preferenze tra le giovani sotto i 29 anni, ma arriverebbe appena al 5,1% tra i ragazzi. Dall’altra parte dello spettro politico, Fratelli d’Italia si attesta al 15% tra i ragazzi, e solo al 4,2% tra le giovani donne. A livello più generale, il 41% delle ragazze si auto-collocherebbe nella galassia del centrosinistra, mentre solo l’11% in quella del centrodestra. Una differenza molto meno mercata per la controparte maschile, che si posizionerebbe per il 35% nel campo progressista e per il 34% nel campo conservatore.
Nell’analisi del voto delle elezioni presidenziali statunitensi del 2024 ha fatto particolarmente discutere il recupero di voti di Donald Trump nella fascia di elettorato più giovane. Se nel 2016 il 51% dei giovani uomini si identificava come democratico, nel 2023 questa cifra è scesa al 38%. Al contrario, l’affiliazione politica delle giovani donne ai democratici è intorno al 56%, circa 20 punti in più. Questi numeri hanno poi avuto una conferma al momento della scelta fra Donald Trump e Kamala Harris, nel novembre del 2024: mentre solo il 40% delle donne under30 ha votato per il candidato repubblicano, questa cifra è arrivata al 56% nel caso dei giovani uomini, segnando un divario di 16 punti[1]. In misura più o meno evidente, una tendenza di questo tipo è stata riscontrata in quasi tutte le democrazie occidentali[2].
Quali ragioni ci sono dietro questo fenomeno? Ogni elezione porta con sé elementi contingenti e specifici, sia per il contesto politico in cui svolge, sia per le peculiarità culturali, sociali e geografiche del Paese. Fatta questa premessa, possiamo però ritrovare aspetti comuni a molte democrazie: la centralità dell’identità di genere nell’agone politico con l’ascesa dei cosiddetti valori “post-materialisti”, lo sguardo peculiare della Generazione Z sul mondo, e l’impatto del digitale come strumento principe di comunicazione, socializzazione e informazione. Nell’articolo verranno approfonditi questi tre aspetti, cercando di fornire delle chiavi di lettura per comprendere il crescente divario ideologico tra ragazze e ragazzi.
La centralità del genere nella politica post-materialista
Una prima chiave di lettura si trova nei mutamenti politici degli ultimi decenni, che hanno portato la sinistra ad essere maggiormente identificata con le lotte per l’uguaglianza di genere. Sono anni, ormai, che le questioni legate ai diritti delle donne sono al centro della scena politica. Questi temi erano stati storicamente sottovalutati dalla sinistra materialista del Novecento – si pensi, a titolo di esempio, alle ambiguità del Partito Comunista Italiano sul tema dei diritti durante la Prima Repubblica. La questione di genere ha però trovato una nuova centralità con il mutamento dei valori della cosiddetta “rivoluzione silenziosa”. Secondo il politologo Ronald Inglehart[3], dagli anni Settanta la rivoluzione silenziosa ha portato le opinioni pubbliche dei Paesi occidentali (e conseguentemente, i partiti politici) ad abbracciare valori “post-materialisti” meno legati alla sicurezza economica, come l’autoespressione, i diritti civili e l’ambientalismo. I partiti appartenenti alla galassia progressista, in particolare, hanno fatto del femminismo e della lotta per i diritti delle persone discriminate la loro nuova bandiera. Nel mondo anglosassone non a caso si parla di identity politics, ovvero un tipo di politica che mette al centro le identità dei gruppi sociali e il loro riconoscimento rispetto a questioni che potrebbero riguardare la società nel suo complesso, come la crescita economica. Razionalmente, si potrebbe spiegare l’aumento della propensione delle giovani donne a votare per i partiti progressisti con la maggior capacità di quest’ultimi di rappresentare le loro istanze. Tuttavia, questo argomento da solo non spiega l’altro lato della questione: perché i giovani uomini dei Paesi democratici votano sempre più a destra?
Di fronte all’avvento della politica post-materialista, le formazioni politiche conservatrici non sono rimaste ferme a guardare. Mentre i partiti progressisti hanno iniziato a sostenere le cause delle donne e delle categorie marginalizzate o oppresse (come migranti, persone LGBTQIA+, minoranze religiose), i partiti di destra hanno costruito una loro forma di identity politics. Non con l’obiettivo di promuovere l’identità dei gruppi marginalizzati, ma piuttosto di riaffermare quelle tradizionali della patria, della famiglia, della religione e dei ruoli di genere fissi, percepiti come in pericolo di fronte all’affermazione delle nuove identità. Il celebre «sono una donna, sono una madre, sono cristiana», pronunciato da Giorgia Meloni durante una manifestazione a Roma nell’ottobre del 2019, appare allora particolarmente significativo: non solo riassume la rinnovata importanza delle identità tradizionali per il mondo conservatore, ma implica un bersaglio polemico in quelle nuove identità che, in qualche modo, metterebbero in crisi la tradizione, creando un senso di precarietà e pericolo.
Ma perché un giovane uomo dovrebbe essere più attratto da questa proposta politica rispetto a quella progressista? Per capire questo aspetto, bisogna considerare come la politicizzazione delle questioni di genere abbia portato a ridistribuire colpe e responsabilità all’interno del corpo sociale. Una politica progressista che parla del patriarcato come di un aspetto tutt’ora presente nelle società occidentali implica che essere un maschio sia di per sé una condizione di privilegio, e quindi un elemento potenzialmente problematico. Di fronte a questo tipo di politica si è alleati della causa o nemici, senza sfumature, una posizione esplicitata da un pensatore chiave del movimento afroamericano contemporaneo come Ibram X. Kendi. Nel libro How to Be an Antiracist, Kendi sostiene che di fronte alla discriminazione basata sulla razza bisogna inevitabilmente scegliere: o si è razzisti, o si è antirazzisti, perché il razzismo stesso è un sistema di relazioni di potere che possono essere solo perpetuate o combattute, senza vie di mezzo[4]. Pertanto, scegliere di non scegliere significa stare dalla parte dell’oppressore.
Un discorso simile si può fare riguardo alle questioni di genere, tra uomini e donne. Se la scelta è tra essere femministi e antifemministi, per molti giovani uomini che non sono particolarmente politicizzati e non considerano il tema del genere un aspetto centrale della loro vita, l’essere “antifemministi” può sembrare la scelta più facile. Non tanto per una reale avversione all’uguaglianza di genere, ma perché si ha la percezione che la parte politica che sostiene le battaglie femministe ti abbia ingiustamente etichettato come nemico, attribuendoti colpe che non ritieni di avere. A questo si aggiunge una certa paura, più o meno consapevole, di perdere la propria posizione di privilegio, con la conseguenza di ritrovarsi rassicurato da chi promette di difendere quella posizione. I dati più recenti mostrano bene questa tendenza: secondo una ricerca di Ipsos del 2024 condotta tra Australia, Brasile, Francia, Germania, Giappone, Corea del Sud e Turchia, solo il 34% dei giovani maschi tra i 18 e i 29 anni si definisce femminista, rispetto al 52% delle donne, e il 60% dei giovani uomini ritiene che «si sia andati troppo in là nel promuovere l’uguaglianza delle donne, e che ora si stia discriminando contro gli uomini»[5].
Riguardo la percezione dei giovani uomini di essere “le vere vittime”, ha giocato un ruolo centrale la politicizzazione fatta dai partiti conservatori rispetto al cosiddetto “politicamente corretto”, che negli ultimi anni viene sempre più descritto sotto l’etichetta “cultura woke”. Mentre il riconoscimento (culturale, politico e mediatico) delle donne e di altre minoranze cresceva, parte dell’opinione pubblica e la galassia politica conservatrice hanno iniziato a sostenere che questi mutamenti culturali e politici fossero contro il senso comune. Si stava esagerando con la parità di genere negli organi politici, con la rappresentazione delle persone LGBTQIA+ nelle serie tv, con una visione più critica e globale della storia nei programmi scolastici. Il mutamento culturale è sempre osteggiato, è vero, nuova però è stata la capacità delle forze politiche conservatrici di mettere tutte quelle tendenze culturali finalizzate a incrementare l’inclusione e la rappresentazione delle comunità marginalizzate sotto un’unica etichetta, e a farne un obiettivo polemico. La mera esistenza di un concetto come quello di “cultura woke” – soprattutto nel contesto americano – ha permesso di fare di queste tendenze un nemico eccellente, che proprio per la sua indeterminatezza poteva essere tutto e il contrario di tutto, includendo allo stesso tempo istanze più o meno legittime e più o meno radicali, contribuendo così ad enfatizzare lo scontro politico sulla frattura di genere e dei diritti.
La Gen Z tra politicizzazione del disagio, politica Netflix e immaginari di genere
I cambiamenti sociopolitici degli ultimi decenni, però, non bastano a spiegare perché il divario ideologico tra donne e uomini sia così marcato tra i giovani, mentre risulti molto meno evidente tra gli adulti. Per comprendere questo gap nelle preferenze politiche, è necessario guardare alle peculiarità della Generazione Z rispetto alle generazioni precedenti, in particolare al loro modo di vedere il mondo e la società: uno sguardo che ha reso la questione di genere ancora più centrale nel dibattito politico rispetto ad altri temi.
Lo spaesamento e lo scontento delle nuove generazioni, in molti dei Paesi democratici, appaiono senza precedenti. Se per decenni la gioventù è stata associata a un immaginario di benessere, spensieratezza e speranza, questo legame sembra essersi infranto. C’è sempre il rischio, nel fare queste valutazioni, di lasciarsi prendere da una tendenza tutta umana a idealizzare il passato, considerando il presente ben peggiore di quello che è in realtà. I dati, però, sembrano essere molto chiari su questo punto, e lasciano poco spazio alle interpretazioni. In La generazione ansiosa, Jonathan Haidt[6] mostra come i livelli di malessere psicologico sono schizzati alle stelle negli ultimi 10-15 anni, al punto da portare l’autore a parlare di «the surge of suffering», il picco della sofferenza. Rispetto al 2010, i casi di depressione tra gli adolescenti negli Stati Uniti sono aumentati del 145% per le ragazze, e del 161% per i ragazzi. Le altre fasce anagrafiche riportano un aumento dell’ansia rispetto al 2010, ma in misura molto minore: + 139% per la fascia tra i 18-25 anni, +103% tra i 26 e i 34 anni, + 52% tra i 35 e i 49 anni, e +8% per gli over 50. Dati simili si sono visti anche in altri Paesi occidentali, tra cui l’Europa[7] (Twenge 2025). Uno studio condotto su 7.000 giovani europei ha mostrato come stia crescendo il pessimismo nei confronti del futuro, e come più della metà dei ragazzi tra i 16 e i 26 anni pensa che vivrà in una condizione peggiore rispetto a quella dei propri genitori[8].
Se viene meno la promessa di un domani migliore, senza un incentivo concreto per il futuro, si rischia di cadere in un circolo vizioso di chiusura e sconforto. Il disagio nei confronti della propria condizione di vita si traduce poi molto facilmente in disagio nei confronti delle istituzioni politiche, economiche e sociali. C’è una diffusa sfiducia nel sistema, che alimenta la convinzione che non si possano prendere decisioni politiche capaci di generare un cambiamento trasformativo. Questa situazione può avere almeno tre conseguenze, ognuna delle quali, a suo modo, rende la questione di genere ancora più centrale nello scenario politico.
Innanzitutto, la situazione di disagio che abbiamo descritto può alimentare sia la polarizzazione delle donne verso sinistra che quella degli uomini verso destra, a seconda di come questo malessere viene politicizzato e di chi viene identificato come avversario. Se la radice dei propri problemi per le donne viene rintracciata nelle perduranti discriminazioni di genere, nelle micro-aggressioni, nel machismo tossico e negli stereotipi, allora si tenderà a favorire ulteriormente quella parte politica che porta avanti istanze progressiste e pro-diritti civili. Se, invece, all’origine di questo male ci sono la confusione culturale, una cultura woke che impedisce la libertà di espressione, la femminilizzazione della società o l’eccessiva apertura e inclusività, questo andrà a vantaggio delle politiche conservatrici.
Una seconda conseguenza della condizione di disagio e disillusione della Generazione Z è la tendenza a vedere la politica sempre più come una questione di singole issue. Perduta la speranza di un cambiamento complessivo e sistemico della società, la politica si riduce alla discussione intorno ad alcuni temi specifici senza una visione comune, come il cambiamento climatico, l’educazione o, appunto, le tematiche di genere. Proprio quest’ultimo appare come un tema particolarmente adatto alle dinamiche della comunicazione social, poiché tutti possono pensare di avere un’opinione in merito, dal momento in cui riguarda l’esperienza universale del rapporto con l’altro sesso. Questa grande disponibilità ha fatto delle questioni di genere un ottimo contenuto per i social, dandogli ulteriore rilievo: qualsiasi ragazza può portare la propria esperienza di discriminazione subita, qualsiasi ragazzo può lamentarsi dell’eccesiva rappresentazione delle persone LGBTQIA+ in una serie come Sex Education. La frammentazione della politica in singole issue viene così favorita dalla struttura del dibattito pubblico, sempre più segmentato in bolle di interesse specifiche, alimentate dagli algoritmi di raccomandazione dei social media. Non a caso, Giovanni Diamanti e Lorenzo Pregliasco hanno definito questo fenomeno come «politica Netflix»[9].
Un terzo elemento da tenere in considerazione è che in un contesto in cui il malessere sociale erode la fiducia nei grandi progetti di rinnovamento politico, le preferenze elettorali tendono a spostarsi sempre più dalla politica delle proposte a quella delle persone, dei valori e degli immaginari. Il focus è sulla figura dei leader e su ciò che rappresentano, sia a livello individuale che collettivo, rafforzando ulteriormente la tendenza all’identity politics di cui abbiamo già discusso. In parte è sempre stato così, perché gli elettori non hanno mai votato in maniera puramente “razionale” seguendo esclusivamente i programmi dei candidati[10]. La politica ha a che fare con le emozioni e le identità di gruppo e gli elettori hanno sempre votato anche per le capacità dei leader di costruire processi di identificazione sociale. Ma in un’epoca “infodemica” e di sfiducia nella politica, questo potrebbe essere ancora più vero. Donne e uomini tendono a votare più a sinistra o più a destra non solo per le politiche proposte dai rispettivi partiti, ma perché i loro candidati incarnano determinati valori e immaginari in cui si riconoscono maggiormente.
Non è nuova l’idea che destra e sinistra vengano associate, a livello di discorso e di immaginario, a differenti identità di genere. George Lakoff[11] distingue tra due frame politici alternativi tra il mondo conservatore e quello progressista. Il primo si rifà al modello dello “strict father”, enfatizzando valori come disciplina, autorità e meritocrazia. In quest’ottica, il potere pubblico deve punire chi sbaglia e premiare chi s’impegna. Sul versante opposto c’è invece il l’archetipo del “nurturant parent” (a volte tradotto come “madre amorevole”), che riprende un immaginario più tipicamente associato al genere femminile come la capacità di cura, di empatia e di cooperazione. Secondo questa visione, il governo più che punire e ricompensare dovrebbe sostenere i propri cittadini, garantendo uguaglianza e protezione sociale.
Se si pensa al dibattito politico contemporaneo, questi due immaginari appaiono come molto evidenti. Sul lato conservatore troviamo un immaginario che ruota intorno ai valori della famiglia tradizionale, dell’uomo forte al comando, della forza e della sicurezza. Questo fenomeno è particolarmente evidente nei leader che fanno del machismo la loro cifra stilistica, come Donald Trump negli Stati Uniti, ma si riscontra anche in figure come Giorgia Meloni in Italia, che adottano un modello di leadership basato sulla forza e un archetipo tipicamente maschile. Inoltre, i movimenti conservatori sono riusciti negli ultimi anni a intercettare un altro elemento tradizionalmente associato ai ragazzi più che alle ragazze: il desiderio di ribellione e di essere contro le istituzioni, siano esse rappresentate dai professori durante il percorso scolastico, o dai datori di lavoro e dallo Stato in età adulta. Sfruttando questo aspetto, molti partiti di destra sono riusciti a posizionarsi nel dibattito pubblico come i ribelli in lotta contro il sistema, come esplicitamente affermato dal podcaster Joe Rogan durante un’intervista a Trump nell’ottobre 2024[12]. Le ragazze, invece, vengono spesso descritte e socializzate come responsabili, silenziose, abituate sin da piccole a prendere buoni voti e a essere le “adulte nella stanza”. Un ruolo, quest’ultimo, che a livello politico sembra appartenere sempre meno ai partiti conservatori – spesso percepiti come problematici o antisistema – e sempre più ai partiti progressisti, in particolare a quelli tradizionali di stampo socialdemocratico. L’immaginario legato alla sinistra appare quindi speculare a quello della destra e si ricollega più facilmente a un archetipo stereotipicamente femminile, che valorizza cura, empatia, attenzione alla comunità e rispetto delle regole. Poiché la politica è fatta (anche) di una connessione emotiva e valoriale, questi due immaginari sempre più distanti possono contribuire ad un’ulteriore polarizzazione del voto tra giovani donne e uomini.
Social media e camere dell’eco
Un filo rosso che ha unito tutti gli argomenti presentati sinora è la pregnanza delle dinamiche comunicative, in particolare quelle legate ai social media. Seppur i social siano usati da tutta la popolazione ormai, la Generazione Z è la prima ad essere interamente cresciuta sulle piattaforme, che hanno così contribuito in maniera massiccia alla formazione personale e politica. Un’infosfera egemonizzata dai social implica un ruolo centrale dei sistemi di raccomandazione e delle loro logiche, che tendono a proporre contenuti che massimizzano il livello di engagement dell’utente e, conseguentemente, a costruire camere dell’eco in cui le opinioni dei singoli vengono rafforzate e, a volte, polarizzate.
Come sostiene il sociologo Paolo Gerbaudo[13], questo meccanismo è particolarmente evidente sulla piattaforma che negli ultimi anni ha riscosso maggiore successo: TikTok. Se su un social come Facebook la costruzione del pubblico era molto più legata alle persone con cui si stringeva amicizia, su TikTok il pubblico è quasi completamente determinato dall’algoritmo sulla base di ciò che potrebbe piacerci, come dimostrato dall’iper-utilizzo della sezione “Per te” rispetto a quella dove si possono vedere i contenuti delle persone seguite. Questo sposta la composizione del pubblico (e di conseguenza dei contenuti che ci vengono proposti) dalle altre persone (con cui può essere più facile costruire un dialogo o scambiare opinioni, dal momento che le conosciamo già) al tema d’interesse.
Si tendono così a creare “silos” informativi che difficilmente parlano tra loro, e che per donne e uomini tendono a differenziarsi sempre di più. Così, un uomo bianco statunitense potrebbe ritrovarsi con un feed dominato da influencer come Jordan Peterson, Charlie Kirk o Joe Rogan, accomunati da una forte critica alla cultura woke e al movimento femminista. Una bolla che può assumere tratti ben più preoccupanti se arriva fino alla cosiddetta “manosfera”, ovvero quell’eterogenea galassia online accomunata da misoginia, hate speech contro le donne e promozione di una mascolinità tossica, di cui si è recentemente parlato grazie alla serie Adolescence su Netflix, che ne rivela alcuni dei lati più pericolosi. Al contrario, una giovane donna negli Stati Uniti potrebbe non aver mai sentito parlare di questi personaggi, o averli incontrati sporadicamente ed essersi fatta un’idea molto negativa nei loro riguardi. In Italia, una giovane donna potrebbe vivere in un’infosfera che privilegia influencer che promuovono contenuti femministi, come Carlotta Vagnoli o Giorgia Soleri, oppure seguire pagine che sostengono una politica femminista, come Aprite il cervello, o community più leggere ma comunque ricche di contenuti politici, come Sapore di Male. Dall’altro lato dello spettro politico e di genere, questi contenuti potrebbero essere del tutto assenti, contribuendo così alla formazione di realtà digitali radicalmente distinte.
L’isolamento nelle camere dell’eco non è solo un fenomeno digitale. I dati mostrano chiaramente che le nuove generazioni, rispetto al passato, trascorrono più tempo in casa, riducendo le relazioni sociali e le opportunità di confronto con chi ha idee diverse[14]. Sui social, inoltre, l’incontro con opinioni discordanti raramente si traduce in un dibattito costruttivo e trasformativo. La ricerca ha dimostrato che anche negli spazi digitali le persone si imbattono in contenuti con cui non sono d’accordo o che escono dalla loro comfort zone ideologica. Però, il mero consumare questi contenuti non porta a cambiare idea, ma piuttosto a rafforzare ulteriormente le opinioni già esistenti, contribuendo alla loro radicalizzazione[15]. In questo modo, il digitale e i social assunti a principale strumento di comunicazione e di informazione diventano un catalizzatore per tutti gli elementi sopradescritti, facilitando la polarizzazione ideologica tra ragazze e ragazzi.
Conclusione
In sintesi, possiamo individuare tre fattori chiave che alimentano il crescente divario ideologico tra giovani donne e uomini. Primo, la politicizzazione delle tematiche di genere da parte della sinistra e la conseguente difesa delle identità tradizionali – spesso a vantaggio degli uomini – dei partiti conservatori. Secondo, la condizione peculiare della Generazione Z, cresciuta in un contesto di malessere sociale e disillusione politica, che ha favorito la ricerca di capri espiatori (anche nella controparte di genere), l’attenzione alle singole issue politiche, come l’uguaglianza di genere, a scapito di visioni collettive di cambiamento, e l’enfasi su identità e immaginari nella proposta politica. Terzo, il contesto informativo in cui è cresciuta la Generazione Z ha amplificato queste dinamiche, contribuendo alla polarizzazione di alcune delle fratture già esistenti, come quella di genere, sfavorendo il dialogo tra punti di vista differenti. Si tratta, è evidente, non di risposte definitive, ma di spunti di riflessione. Un fenomeno complesso come quello del divario ideologico tra ragazze e ragazzi non può essere ridotto a una singola spiegazione, e solo la ricerca sociale e politologica nei prossimi anni potrà fornire risposte più esaustive.
[1] Survey Center Staff, The Gender Divide in Youth Political Affiliation, Survey Center on American Life, 10 dicembre 2024; Jonathan Yerushalmy, , What’s behind the global political divide between young men and women?, «The Guardian», 14 novembre 2024.
[2] Of Mars and Venus, Why young men and women are drifting apart. Diverging worldviews could affect politics, families and more, «The Economist», 13 marzo 2024.
[3] Ronald Inglehart, La rivoluzione silenziosa. Rizzoli, Milano 1983.
[4] Ibram X. Kendi, Come essere antirazzista, Mondadori, Milano 2021.
[5] JonathanYerushalmy, What’s behind the global political divide between young men and women?, «The Guardian», 14 novembre 2024.
[6] Jonathan Haidt, La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli, Rizzoli, Milano 2024.
[7] Jean Twenge & David G. Blanchflower, Declining Life Satisfaction and Happiness Among Young Adults in Six English-speaking Countries, National Bureau of Economic Research, febbraio 2025.
[8] TUI Stiftung, Young Europe 2024.
[9] Lorenzo Pregliasco e Giovanni Diamanti, Politica Netflix. Chi detta l’agenda nell’era dei social, Will Media, Milano 2021.
[10] Christopher H. Achen e Larry M. Bartels, Democracy for Realists: Why Elections Do Not Produce Responsive Government, Princeton University Press, Princeton 2017.
[11] George Lakoff, Don’t Think of an Elephant! Know Your Values and Frame and Debate, Chelsea Green Publishing, Chelsea 2004.
[12] Fox News, Rogan tells Trump “the rebels are Republicans” now, 26 ottobre 2024.
[13] Paolo Gerbaudo, TikTok and the algorithmic transformation of social media publics. From social networks to social interest clusters, «New Media & Society», 19 dicembre 2024.
[14] Aatish Bhatia e Irineo Cabreros, 30 Charts That Show How Covid Changed Everything, «The New York Times», 9 marzo 2025.
[15] Chris Bail, Breaking the Social Media Prism. How to Make Our Platforms Less Polarizing, Princeton University Press, Princeton 2021.