Le città come laboratorio per l’economia sociale. Intervista a Matteo Lepore
- 14 Giugno 2025

Le città come laboratorio per l’economia sociale. Intervista a Matteo Lepore

Scritto da Giacomo Bottos

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Matteo Lepore è Sindaco di Bologna e della Città Metropolitana.


La scelta dell’amministrazione comunale di investire su un Piano Metropolitano per l’Economia Sociale non è scontata perché, se è vero da un lato che la presenza di un tessuto di organizzazioni imprenditoriali che si possono riconoscere in questa categoria ha una sua lunga storia, il fatto di assegnare ad essa un valore programmatico è una scelta non ovvia. Quando nasce questa decisione e sulla base di quali considerazioni?

Matteo Lepore: La consapevolezza delle radici cooperative e del patrimonio del nostro territorio e della nostra comunità in questa direzione è certamente importante, ma ad essere centrale è la consapevolezza del contesto nel quale viviamo: un mondo sempre più frammentato. Anche gli ultimi accadimenti a livello internazionale lo confermano. In questo contesto, la dimensione urbana può e deve assumere un maggiore rilievo nell’impostare strategie di risoluzione delle crisi e l’economia sociale può sostenere in questo senso la coesione sociale e lo sviluppo economico. È per questo che l’economia sociale è un paradigma importante per guardare al presente e al futuro, anche in relazione al ruolo di Bologna e dell’Emilia-Romagna.

 

Quali sono stati i passaggi con i quali è stato realizzato questo piano, costruendo anche il coinvolgimento dei diversi attori e delle realtà del territorio?

Matteo Lepore: È stata creata una delega al livello della Città metropolitana, identificandola come l’ambito più idoneo. La Città metropolitana rappresenta di fatto una città da un milione di abitanti che si interroga innanzitutto su come costruire un ecosistema che connette l’Appennino, la pianura e il centro storico di Bologna. È un ecosistema che occorre innanzitutto riconoscere e in seguito coltivare. Nel compiere questa scelta è stata importante anche l’esperienza di relazione fra il mondo industriale e la città. L’economia sociale non rappresenta infatti solo l’economia del welfare e non è l’economia delle marginalità: è il tessuto connettivo di un ecosistema industriale ed economico. Riconoscere questo aspetto porta a vedere l’economia sociale con occhi nuovi. Il nostro territorio sarebbe meno competitivo, meno attrattivo e meno accogliente se l’economia sociale non fosse forte. Rispetto all’evoluzione demografica del nostro territorio, inoltre, vediamo quanto anche l’economia sociale stessa sia da pensare in modo nuovo. Pensiamo alla sfida dell’emergenza abitativa o dei nuovi lavori presenti in città, o ancora del tema salariale e del costo della vita. Oggi sono queste le priorità che abbiamo di fronte e sono le stesse priorità di tutte le grandi città europee.

 

Sottolineava come l’economia sociale possa essere anche un fattore di competitività economica. Nel Piano metropolitano viene definito un perimetro delle organizzazioni dell’economia sociale, che comprende imprese cooperative, imprese sociali, società di mutuo soccorso, associazioni e fondazioni. Al contempo viene anche posto il tema del dialogo e del rapporto reciproco di collaborazione che questo insieme di organizzazioni può instaurare con l’economia for profit. Come si può declinare questo rapporto?

Matteo Lepore: I più scettici considerano spesso l’economia sociale, il mondo cooperativo o il Terzo settore come dei contenitori vuoti o delle sovrastrutture che rallentano l’economia, o che non sono in grado di adeguarsi alle verticalizzazioni che l’economia capitalista richiede. È del tutto evidente, invece, che spesso constatiamo i fallimenti, a livello globale e anche a livello locale, dell’economia capitalista, se consideriamo le macerie – sociali, ambientali, umane, esistenziali – che in vari ambiti si generano quando essa viene declinata secondo un’idea ultraliberista. Lo stesso contesto globale sta virando in una direzione di chiusura, con dazi e guerre commerciali. Occorre allora aprire chiaramente un dibattito in Europa, guardando a ciò che accade negli Stati Uniti, su quale idea di economia vogliamo mettere al centro del nostro sviluppo. Pensando agli Stati Uniti, vediamo un modello fatto di forti verticalizzazioni in cui grandi investimenti privati o pubblici, ad esempio nel settore della difesa, sono stati in grado di creare nuovi settori economici e posti di lavoro, ma anche di bruciarne moltissimi in momenti successivi. Pensiamo al caso delle Big Tech statunitensi. In Europa vi sono anche paradigmi diversi, legati appunto all’idea di economia sociale. Vi è l’idea che lo sviluppo economico debba essere perseguito anche in relazione ad alcuni valori e ad alcuni obiettivi tra i quali ci sono anche, e forse soprattutto, la coesione sociale, il soddisfacimento dei bisogni del cittadino e la visione di lungo periodo. Questo rende il modello economico europeo diverso da quello americano, ma non meno competitivo.

 

Apparentemente, l’attuale Commissione Europea sembra non attribuire al tema dell’economia sociale la stessa centralità della precedente. Pensa che l’Unione Europea possa recuperare una focalizzazione su questo tema, anche all’interno del confronto menzionato con gli Stati Uniti, oppure è necessario lavorare soprattutto su livelli diversi?

Matteo Lepore: Si deve trovare il modo di lavorare su tutti i livelli. Non è un caso che la Commissione von der Leyen abbia scelto tre assi fondamentali per lo sviluppo, a partire dal Piano Draghi, dentro i quali c’è la competitività, ma allo stesso tempo abbia deciso di introdurre tra i compiti del Vicepresidente Raffaele Fitto, per la prima volta, una delega alle città. Questo significa che si riconosce l’asse urbano come fondamentale per lo sviluppo e il futuro dell’Europa. Ecco, io credo che l’economia sociale da questo punto di vista abbia molto a che fare con la dimensione municipale e territoriale. In Europa la dimensione locale è il luogo dove le cose accadono, dove i diritti vengono affermati o negati e dove i nuovi asset importanti per il mondo globale si sviluppano. Bologna, ad esempio, è uno dei sette hub dell’intelligenza artificiale ed è la dimostrazione di come i grandi temi siano rilevanti nell’ambito urbano. Calare le scelte strategiche nel contesto urbano è una grande sfida per l’Europa, che rappresenta un continente in cui la maggior parte della popolazione vive nelle città. E lo sarà sempre di più. Dalla sfida climatica a quella della tenuta sociale, è su questo terreno che si gioca il futuro. Io non credo, d’altra parte, che la corsa agli armamenti cambierà l’identità e la natura della cultura europea. Le popolazioni, anzi, si stanno orientando in una direzione diametralmente opposta. E quindi queste domande sulla coesione sociale e sul ruolo della comunità dei cittadini devono avere necessariamente risposta.

 

Il terreno dell’economia sociale può essere uno di quelli su cui si costruiscono alleanze tra città? Quale tipo di rapporti si possono instaurare? Ci sono già da parte di Bologna delle interlocuzioni, in questo senso, con altre realtà territoriali?

Matteo Lepore: Noi abbiamo un rapporto storico con Barcellona e negli ultimi mesi, grazie anche alla leadership di questa città, abbiamo creato la rete “Mayor for Housing”, dedicata alle emergenze abitative in Europa. Abbiamo creato un manifesto, presentato al Commissario Dan Jørgensen, al Commissario Raffaele Fitto e a Irene Tinagli, che presiede la Commissione sulla casa, e che per la prima volta ha una missione speciale e per un anno avrà il compito in seno al Parlamento Europeo di lavorare su questo tema. Questo manifesto raccoglie idee e proposte su come le città possano affrontare l’emergenza abitativa, che oggi è tipica di tutte le grandi città europee, perché la popolazione in Europa si sta spostando, si stanno svuotando le aree interne e i comuni più piccoli, e sempre di più invece si stanno allargando le grandi città. È un fenomeno non nuovo nella storia dell’umanità, ma particolarmente dinamico in quest’ultimo periodo in Europa. Questo fa sì che tutte le fragilità si sommino nelle città, così come anche le opportunità. Il tema della casa, dell’abitare, oggi è un grande assente nelle politiche europee. Non fa parte dei trattati, ma è necessariamente anche un pilastro della competitività, perché le aziende faticano ad attirare nuove competenze se non possono offrire loro anche benessere, formazione e, prima di tutto, un tetto sotto cui vivere. Ce lo confermano le interlocuzioni con il tessuto economico, lo evidenziano i centri di ricerca che non sono in grado di assumere ricercatori, così come le università più eccellenti. Anche qui vediamo come il discorso sull’economia sociale non sia solo legato al guardare ai margini, ma anche e in primo luogo allo sviluppo. Nel dare una risposta concreta a questi bisogni, sicuramente serve un piano straordinario europeo che fornisca risorse adeguate, ma è necessaria anche un’offerta di case accessibili. E perché questo avvenga serve un orizzonte non speculativo, ma redistributivo e collaborativo, capace di trovare soluzioni. Questo è esattamente il terreno laddove l’economia sociale di solito si fa trovare. Infatti, la prima missione del Piano Metropolitano per l’Economia Sociale è proprio sull’abitare collaborativo e sostenibile.

 

Che tipo di azioni si prevedono e quale ruolo può avere il Piano metropolitano nel contribuire a dare soluzioni al problema dell’abitare?

Matteo Lepore: Intanto noi proponiamo che l’ecosistema territoriale si riconosca come tale; che gli attori, sia quelli privati che quelli cooperativi e le istituzioni, si uniscano nel trovare una soluzione, e che si sviluppino nuovi meccanismi finanziari per creare delle leve per la realizzazione di un mercato che possa dare risposta alle fasce sociali più deboli, promuovendo una sostenibilità degli investimenti delle imprese in questa direzione. Servono però anche nuove policy territoriali, che prevedano la disponibilità di aree, ma anche adeguate politiche pubbliche. Ci sono più attori, più portatori di interesse, che devono compiere le scelte giuste e farlo in modo coordinato. Se ciò non avviene, tutti gli attori perdono: le istituzioni predispongono le risorse, ma non trovano nessuno che partecipi ai bandi. Oppure, accade che i privati lancino progetti che diventano poi non sostenibili nel lungo periodo, o che non nascono affatto. La mancata soluzione della questione abitativa, da un certo punto di vista, rappresenta il fallimento perfetto di tutti questi attori quando non trovano il modo di cooperare.

 

Dopo aver analizzato il contesto europeo e quello cittadino, per quanto riguarda il contesto regionale in Emilia-Romagna si è insediata negli ultimi mesi la nuova giunta guidata dal Presidente Michele De Pascale, che ha creato una delega specifica all’economia sociale, assegnata al Vicepresidente Vincenzo Colla. Da questo punto di vista, quale tipo di collaborazione è possibile nello specifico instaurare su questo tema, anche in relazione all’esperienza del Piano metropolitano?

Matteo Lepore: La Regione Emilia-Romagna deve connettere tutto ciò che sta lungo la Via Emilia, riconoscendo le differenze. È evidente che Bologna non ha le peculiarità di altre città nella regione, è attrattiva e accogliente in modo diverso e presenta una dimensione urbana e degli asset che altri non hanno. Dunque, Bologna può essere un’occasione per redistribuire delle opportunità anche nel resto della regione; viceversa, la regione può implementare su Bologna delle strategie specifiche, perché è il contesto più adatto. La lente dell’economia sociale può aiutarci a fare in modo che ciò che si sperimenta a Bologna possa poi espandersi sugli altri territori e, viceversa, fare in modo che l’economia di scala di tutta la regione possa ottenere dei risultati. Se prendiamo come esempio, ancora, il tema degli alloggi, la regione sta pensando di finanziare l’obiettivo dell’incremento dell’housing sociale e della riduzione dello sfitto attraverso nuovo debito. Ma certamente occorre anche costruire una massa critica, perché poi gli interventi abitativi funzionino su larga scala e con numeri importanti. Bologna può contribuire a costruire questa massa critica collaborando con le altre città.

 

A livello nazionale qual è invece la posizione del governo su questo tema?

Matteo Lepore: Per quanto riguarda il governo, sul tema dell’economia sociale possiamo dire che non c’è in questo momento un tavolo di lavoro. Tuttavia, dal punto di vista culturale e politico ci sono relazioni con alcune delle forze politiche che compongono la maggioranza. L’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Veneto hanno una forte tradizione cooperativa e di economia sociale. Questo, insieme anche all’esperienza del mondo cattolico e non solo, può dare all’attuale governo la possibilità di comprendere quanto sia importante portare avanti questo impegno.

 

Il Piano metropolitano, che è stato presentato di recente, si dà un orizzonte lungo e un avvio operativo dal 2025 al 2027, poi una prospettiva di attuazione da qui al 2035. Come funzionerà la governance nella sua attuazione?

Matteo Lepore: Dopo la fase di studio si intende costruire un tavolo di regia che coinvolga tutti gli attori, unendo il livello metropolitano e quello regionale, investendo risorse pubbliche e private sugli obiettivi condivisi, realizzando poi un monitoraggio per la messa in pratica delle priorità che si condividono. L’obiettivo è quello di dare impulso a un asse alla volta, lavorando iniziativa per iniziativa. Laddove serviranno cambiamenti normativi dovremo definire quali siano più necessari. E questo non vale solo per l’abitare, ma anche per il tema dei salari minimi o degli appalti, che sono aspetti molto importanti; o anche nel caso del welfare della scuola, che è un altro ambito rilevante. Lo stesso può valere per l’applicazione delle tecnologie vecchie e nuove, che sicuramente possono essere un elemento attorno al quale promuovere una forte innovazione. In questo senso, si vorrebbe lavorare proprio anche sull’ambito dell’innovazione dell’economia sociale, così da creare dei luoghi e dei progetti che permettano di sperimentare, ed eventualmente anche di fallire e poi riprovare.

 

Questa esperienza può essere qualcosa a cui altre realtà possano ispirarsi? Possono esserci delle modalità per uno scambio di pratiche positivo?

Matteo Lepore: Sicuramente a livello nazionale vedo una grande potenzialità, perché il tessuto italiano è ricco di esperienze di questo genere. Però, purtroppo, queste esperienze rischiano di essere molto frammentate e rimanere a livello locale, cioè di non vedere un piano nazionale che sappia sostenerle. Io credo che vedere piani per l’economia sociale nascere nelle diverse regioni possa finalmente aiutarci ad avere sia un’agenda urbana delle città, sia un’agenda dell’economia sociale. E le due cose unite possono fare tanto.

 

Da qui al 2035 che immagine ci si può fare di una città imperniata sul concetto di economia sociale?

Matteo Lepore: Il paradigma che noi abbiamo scelto è quello di una città che non cede né alla speculazione né alla gentrificazione in maniera distorsiva. Gli investimenti economici e anche il cambio di alcuni quartieri possono essere elementi positivi, ma occorre che la città non venga né svenduta né consumata. Io penso che Bologna nei prossimi anni debba mantenere la guida dei processi, non solo subirli. Questo richiede di crescere nel proprio ruolo e di non essere solo una città che apre le porte acriticamente a qualsiasi tipo di investimento, ma che sa scegliere ciò che è più interessante per poi poter influenzare le normative regionali, nazionali ed europee. Perché senza uno “scudo” nazionale ed europeo le città rischiano di indebolirsi. Al contrario, è molto importante che le città facciano lobbying fra di loro e diventino un punto di riferimento fondamentale per influenzare le policy a livello globale.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

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