Recensione a: Franco Cardini, Le dimore di Dio. Dove abita l’eterno, il Mulino, Bologna 2021, pp. 376, euro 28 (scheda libro)
Scritto da Andrea Raffaele Aquino
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Per molti secoli, gli uomini e le donne, ponendosi in relazione con un divino variamente declinato, si sono affannati a costruire per esso una dimora terrena, con criteri anche molto diversi fra loro. In molti casi le specifiche ricercate sono le stesse: grandezza, sontuosità, eleganza, maestosità; altri esperimenti privilegiano caratteristiche di intimità e sobrietà. Templi pagani, giardini, cattedrali, sinagoghe, moschee e tanti altri edifici di culto, dunque, rispondono a una medesima esigenza: invitare il divino in terra, costruire qualcosa di simile all’eternità (spaziale e temporale, con tutte le sfaccettature dei vari casi) in cui esso risiede, provare a ingabbiare l’infinito nel finito per percepire l’impronunciabile Shekinah (la presenza di Dio) della tradizione ebraica. Partendo da questo punto, Franco Cardini, uno degli storici italiani più illustri, si cimenta con la scrittura di un libro difficile, magmatico, vario nel genere – si passa da capitoli “manualistici” a piacevoli riflessioni personali e autobiografiche – e dal contenuto forte e profondo. Le dimore di Dio appaiono e scompaiono di frequente, tra necessarie riflessioni storiche, note antropologiche e precisazioni culturali e religiose, doverose per sfatare fake news che sentiamo ancora troppo frequentemente, spesso sull’Islam. Il pellegrinaggio di Cardini (e del lettore), è, dunque lungo, globale, quasi ci si perde. Per poi ritrovarsi con poche domande, sfuggenti, alle quali si fatica a rispondere: dove dimora Dio oggi? Dove ha dimorato nei secoli? L’uomo di oggi, che è spinto dal consumismo totalizzante a bastare a sé stesso, lo cerca ancora? In che termini?
Sincretismo ed eredità
Il percorso storico di Cardini si muove su una linea diacronica (ma non sistematica) di confronto antropologico e religioso. Come in un grande puzzle di cui ci mancano tante, troppe tessere, studiare la percezione “universale” del divino sembra un’impresa davvero babelica e l’unica arma a nostra disposizione rimane quella di una ricostruzione parziale, capace di far solamente intravedere l’immagine definitiva, frutto di sovrapposizioni, modifiche, tagli e aggiunte. Ma la complessità non può indurci a banalizzare. Le religioni sono (anche) fenomeni storici e antropologici. Il cristianesimo non è certo nato dal nulla: oltre che dall’ebraismo esso prende le mosse da una forte cultura pagana, che, in un certo senso, converte, tanto nell’architettura (le geometrie del potere e del divino, cerchio/cupola e rettangolo/abside sono quelle tipicamente pagane) e nella letteratura, quanto nel culto. E allora, nota Cardini, dichiarando da subito la propria impostazione “cusaniana”, vi sono fortissime somiglianze nella devozione di Iside e di Maria, nei loro attributi (su tutti quelli di stella maris e di mater dolorosa); il culto di San Michele arcangelo, che conobbe una diffusione decisiva nel Medioevo, nacque in ambienti molto vicini a quelli pagani germanici; la figura del martire cristiano e quella dello shahid musulmano presentano notevoli punti di contatto. Dunque, riflettere sulle religioni come compartimenti stagni, tanto in termini di tempo quanto di spazio, si configura come un esercizio esclusivamente identitario-politico, che poco ha a che vedere con la storia. Lungi dal voler sostenere l’idea di una “liquidità” culturale, lo “scontro di civiltà” di cui discuteva Huntington è una categoria forse funzionale sul piano politico, ma insufficiente per restituire la complessità delle interazioni storiche tra l’universo cristiano, quello pagano e quello musulmano, per citare tre mondi in stretto dialogo. Prendiamo a esempio un testimone rilevante del suo tempo, come Dante Alighieri con la sua Commedia: il contesto ultraterreno elaborato in chiave cristiana dal poeta è frutto non solo del pensiero classico, ma anche di un trattato, il Kitab al-Miraj, recatogli in traduzione da Brunetto Latini, che narra l’ascesa di Maometto da Gerusalemme all’Empireo.
Roma e Gerusalemme
Al centro del testo, come in molte mappe del mondo disegnate nel Medioevo, c’è Gerusalemme, la città santa delle tre religioni abramitiche, con la sua storia, con il Tempio e il Sepolcro, con le sue distruzioni e le sue palingenesi di cui risulta molto difficile tenere traccia e che Cardini racconta, per quanto le fonti lo consentono, con dovizia di particolari. In questa città, le tante dimore di Dio (intese, in senso cristiano, anche nell’accezione terrena di luoghi fisicamente percorsi da Cristo) portano i segni a volte dolorosi della storia, che, tuttavia, non tolgono loro “sacertà”, anzi forse la accrescono. Basti pensare a Santa Sofia ad Istanbul: chiesa o moschea? La decisione di sconsacrarla e di renderla un museo negli anni Trenta del Novecento non ne ha cancellato l’interesse religioso, aprendo, forse, a un lento processo di inedito dialogo, interrotto dalla decisione (nel 2020) del presidente Erdoğan di riconvertire l’edificio in moschea.
L’altro polo della riflessione di Cardini è Roma, la capitale del mondo conquistata dal cristianesimo, l’esempio più fulgido della cristianizzazione di uno spazio. Roma è l’incubatore del cristianesimo occidentale, che trasferisce la sacertà dai loca alle persone. La fisionomia della città viene, dunque, stravolta dalla presenza di sempre più numerose basiliche ad martyres e, se parte della Roma pagana conosce la distruzione, una fetta consistente viene “convertita”. Basti pensare, tra i tanti esempi che si potrebbero citare, alla meravigliosa basilica di San Clemente, che sorge su un mitreo; alla statua equestre di Marco Aurelio, salvata da un malinteso (si credeva rappresentasse l’imperatore Costantino, ritenuto il sovrano benefattore dei cristiani); alla colonna Traiana e Aureliana, cristianizzate mediante l’apposizione di statue di San Pietro e San Paolo.
Dove dimora Dio?
In appendice al testo di Cardini sorgono, spontanee, alcune domande: Dio ha bisogno delle nostre dimore? Dove dimora davvero? Se già Agostino di Ippona aveva intuito che il luogo di Dio è nel cuore dell’uomo e già San Paolo aveva dichiarato che l’uomo è il vero tempio di Dio, a cosa serve costruire una dimora? Il Medioevo, il periodo delle cattedrali per eccellenza (Cardini parla di una “crociata delle cattedrali”), mostra come processi di costruzione del genere richiedessero decenni ed esborsi economici importantissimi. La tipica città medievale recava costantemente ponteggi e impalcature: le magnifiche cattedrali costruite in quel periodo le vediamo noi oggi, mentre gli uomini del tempo potevano solamente immaginarle o, al massimo, intravederle. Allora, forse, queste dimore altro non sono che rappresentazioni umane del divino, sono dimore dell’uomo più che di Dio. Creano comunità, definiscono identità (nelle cattedrali nel Medioevo si riunivano le assemblee cittadine, in continuità con la tradizione basilicale romana), sono luoghi in cui risulta più semplice incontrare Dio (come dimostra la pratica dell’incubatio testimoniata dalle fonti), dal momento che la “dimora” esalta la spiritualità umana, e non perché ci renda, in maniera spazialmente esclusiva, raggiungibili dal divino. Lo Spirito, afferma Cardini, soffia dove e quando vuole, possiamo esserne sorpresi in qualunque momento. Probabilmente sentiamo Dio nel momento in cui ci scontriamo con il sublime, che affascina e terrorizza, nelle sue diverse forme. C’è chi lo ritrova in cima a una montagna, chi nelle profondità del mare e chi nella maestosità di un tempio, di una moschea o di una cattedrale. Allora, forse, la retorica secondo la quale la modernità si è dimenticata di Dio e basta a sé stessa risulta vera solo in parte. L’immanenza a cui siamo chiamati non è totalizzante; permane ancora un anelito verso il divino (caratteristica dell’homo viator), anche se abbiamo meno parole per descriverlo rispetto ai nostri antenati. Abbiamo, certo, smarrito la centralità del trascendente, ma uomini e le donne della Bibbia non commettevano, forse, ciclicamente lo stesso errore?
Quello di Cardini, in conclusione, si presenta come un testo davvero eterogeneo e sorprendente, adatto a tutti i tipi di lettori. A molti sembrerà di star smarrendo la strada, percorrendo i lunghi e densi capitoli del libro, che mescolano approfondite ricostruzioni storiche a digressioni letterarie, antropologiche e artistiche (nello stile dell’autore), ma il ricco apparato iconografico aiuta a non perdere la bussola e a visualizzare le molte dimore di Dio, cogliendone analogie e peculiarità. Al termine del libro/labirinto qualche lettore potrà sentirsi deluso: se le domande si sono accresciute, di risposte definitive ne sono arrivate poche. Ma come fornire, in poche pagine, soluzioni a interrogativi millenari? Evidentemente, questo non era l’obiettivo di Cardini. Tra le tante ed eterogenee storie e suggestioni che si possono incontrare nel corso del testo, spetterà al lettore scegliere la propria combinazione ideale, trovare una strada e capire con quali strumenti interrogarsi sul divino.