Lo spazio e la guerra
- 15 Novembre 2024

Lo spazio e la guerra

Scritto da Silvia Samorè

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Lo spazio ha da anni assunto un’importanza cruciale nelle operazioni militari, tanto da aver ottenuto il ruolo di vero e proprio dominio, al pari di quello terrestre, aereo, marittimo e cibernetico. La parte che esso può giocare nella condotta delle ostilità, però, non può essere di tipo cinetico, in quanto non possono essere collocate armi o sistemi d’arma al di fuori dell’atmosfera terrestre. Infatti, l’articolo IV del Trattato sullo spazio esterno, la legge fondamentale che ne regolamenta l’uso, sancisce che «la Luna e gli altri corpi celesti saranno utilizzati da tutti gli Stati parti del Trattato esclusivamente per scopi pacifici» e proibisce categoricamente «l’istituzione di basi militari, installazioni e fortificazioni, il collaudo di qualsiasi tipo di arma e lo svolgimento di manovre militari sui corpi celesti». Tuttavia, prevede di non vietare «l’impiego di personale militare per la ricerca scientifica o per qualsiasi altro fine pacifico». Ciò che la legge intende con l’espressione “fine pacifico” non è stato definito in maniera esplicita, ma difficilmente si riferiva al contributo che attività spaziali possano dare al processo di risoluzione dei conflitti e di ricostruzione post-conflitto. L’esperienza della guerra in Ucraina può offrire invece alcuni spunti interessanti nel riflettere su questa dimensione e nell’ampliare ulteriormente la pletora di impieghi che lo spazio può giocare nel migliorare, auspicabilmente, la vita sulla Terra.

La corsa allo spazio ha costituito forse una delle pagine più affascinanti, e per molti aspetti meno oscure, della Guerra Fredda. Sin dal lancio dello Sputnik I nell’ottobre del 1957, il mondo aveva compreso che anche l’ultima frontiera era venuta meno: dopo il raggiungimento della capacità di annientare il pianeta grazie alle armi nucleari, la consapevolezza che questa nuova tecnologia avrebbe potuto tradursi in ulteriore potenziale distruttivo era ben presente nella popolazione e nei decisori politici. Fu questo a spingere le Nazioni Unite a creare appena un anno dopo il Comitato sull’uso pacifico dello spazio esterno (COPUOS). Nel corso degli anni venne inoltre approvato un corpo di trattati, tutt’ora in vigore, che si basano sul principio che lo spazio esterno così come le attività e i benefici che ne derivano, devono essere finalizzati al miglioramento del benessere di tutti i membri della comunità internazionale e dell’umanità, cercando in particolare di promuovere la cooperazione internazionale.

Allo stato attuale, l’insieme della norme approvate in sede Nazioni Unite che regola l’uso dello spazio extra atmosferico include il già citato Trattato sullo spazio esterno del 1967, il Rescue Agreement del 1968 che regolamenta il salvataggio e recupero degli astronauti e degli oggetti lanciati in orbita; inoltre, la Liability Convention del 1972 prevede meccanismi di compensazioni per danni causati da oggetti lanciati nello spazio e ricaduti sulla Terra e la Registration Convention del 1976 impone la registrazione di ciò che viene messo in orbita. Infine, il Moon Agreement regolamenta l’uso della Luna e degli altri corpi celesti. Dal Trattato sullo spazio esterno hanno a poco a poco preso vita tutti gli altri, a cascata, andando a toccare elementi sempre più particolari. Ma ciò che nel 1967 non fu previsto, era che altri attori potessero un giorno operare al di fuori dell’atmosfera terrestre, non solamente gli Stati. Con l’avvento dei privati e gli sviluppi di interessi economici riguardanti anche risorse provenienti dall’universo, come i minerali contenuti negli asteroidi, ha reso sempre meno efficace l’esistente corpo di leggi nel regolamentare le attività nello spazio e purtroppo anche a garantirne effettivamente l’esclusiva natura pacifica. Attualmente, più di 5.000 satelliti si trovano in orbita sopra di noi, la maggior parte dei quali è adoperata per fini commerciali. Considerando quelli di uso militare, che sono comunque centinaia, è significativo rilevare che i principali Paesi cui questi satelliti fanno capo sono non sorprendentemente Stati Uniti, Russia e Cina. L’evidente natura duale dello spazio e la crescente importanza che gli asset ricoprono nello svolgimento delle più banali operazioni quotidiane, ha indotto nel 2019 il Presidente Donald Trump a dichiararlo dominio bellico e a fondare la US Space Force.

Secondo il generale John W. “Jay” Raymond, a capo della Space Force statunitense dalla sua fondazione nel 2019 fino al 2022, la guerra in Ucraina è stata la prima in cui gli asset spaziali commerciali abbiano giocato un ruolo significativo e in cui entrambe le parti in conflitto si siano appoggiate in maniera fondamentale al supporto proveniente dallo spazio. Innanzitutto, il supporto del quinto dominio è fondamentale nel cosiddetto ISR[1] (intelligence, surveillance and reconnaissance). Con questa sigla si intendono le attività di raccolta delle informazioni che permettono ai comandanti di avere una consapevolezza profonda dell’ambiente in cui operano, così da poter prendere decisioni oculate nello svolgimento delle operazioni. Sono state le immagini fornite dai satelliti ISR a dare inizialmente un quadro preciso dei movimenti delle truppe russe, in progressivo aumento, ai confini con l’Ucraina, così come gli spostamenti dei mezzi pesanti successivamente all’invasione e delle navi russe nel mar Nero, incluso l’incrociatore Moskva poi affondato dall’Ucraina. In secondo luogo, gli asset spaziali sono stati fondamentali nel continuare a garantire le comunicazioni e non è assolutamente un caso che la Russia abbia da subito cercato di oscurare i segnali satellitari e intervenire sui segmenti terrestri con massicci attacchi cyber per distruggere la possibilità di scambiare informazioni via satellite[2]. Questo da un lato ha dimostrato come le operazioni “contro-spaziali” abbiano tutto sommato poco bisogno di ricorrere a vie cinetiche, e quindi fortunatamente allontanando la paura che le armi di precisione antisatellitari (ASAT), che pure esistono, si rivelino necessarie a tal punto da essere impiegate effettivamente in teatro di guerra. Negli scorsi anni, e in particolare nel 2021, gli esperimenti russi condotti con successo nell’abbattere alcuni satelliti in orbita di loro proprietà avevano infatti destato molte preoccupazioni, la maggior parte delle quali riguardano il pericolo che la creazione di detriti in orbita possa minacciare la vita di altri satelliti, e soprattutto quella degli astronauti che dovessero avventurarsi all’esterno della stazione spaziale. Benché si ritenga che i danni derivanti dall’uso di armi antisatellite possano avere conseguenze talmente disastrose anche sulla potenza attaccante da costituire un deterrente, la condotta di questo tipo di test rimane un capitolo aperto, che richiede attenzione da parte dei consessi multilaterali. La preoccupazione in questo senso è ulteriormente cresciuta dopo la rivelazione da parte dell’intelligence statunitense a maggio 2024 di una nuova arma di questo tipo in via di sviluppo da parte della Russia[3]. Ma c’è un’altra dinamica interessante legata al conflitto in Ucraina che è emersa alla luce della crucialità del segmento spaziale nel garantire la sicurezza e l’affidabilità delle comunicazioni: il coinvolgimento massivo dei satelliti commerciali, e in particolare l’intervento di SpaceX, dovrebbe infatti fare riflettere su questa nuova declinazione e sfrangiatura del concetto di sovranità statale, che non detiene più neanche il monopolio dell’uso dello spazio esterno. In un mondo in cui i conflitti si basano in maniera crescente su informazioni e dati scambiati via satellite, la crescente privatizzazione è certamente una dinamica potenzialmente rilevante nel comprendere i mutamenti negli equilibri di potere tra soggetti statuali e non, al pari della crescita dei gruppi armati non statali.

L’impiego delle immagini satellitari in area di conflitto, tuttavia, non si limita al contributo di intelligence e comunicazioni, come a elementi chiave nella condotta delle ostilità. La riflessione su come invece un “uso pacifico dello spazio” possa estendersi anche a funzioni cruciali della ricostruzione post-conflitto, intesa in senso ampio, meriterebbe di essere presa più in considerazione nel dibattito internazionale. Un dibattito che in effetti spesso riguarda maggiormente le dinamiche del conflitto che quelle successive. Al termine delle ostilità e dei combattimenti sul campo, infatti, difficilmente si può già parlare di pace, che è un concetto tanto banalizzato quanto sfuggente. Molto più comunemente, il passaggio dalla guerra alla fase successiva è un processo costellato di ostacoli e di recrudescenze del conflitto. Chi si occupa di peacebuilding e di riconciliazione insiste infatti molto sull’importanza di individuare le cause profonde che lo hanno scatenato, ma anche sui torti subiti dalla popolazione coinvolta, tenendo anche conto delle specificità di ogni gruppo sociale[4]. In questa prospettiva gli sforzi mirati per garantire lo svolgimento delle attività giudiziarie nel perseguire i crimini di guerra in ottica di transitional justice[5] sono da considerarsi fondamentali. È la stessa Corte penale internazionale a riconoscere l’importanza della risoluzione delle controversie legate alle mass atrocity e ai crimini di guerra nella prosecuzione dei processi di pace. Nuovamente rifacendosi al caso dell’Ucraina, è stato chiaro sin dalle prime settimane e mesi che le immagini satellitari avrebbero potuto contribuire a catturare le prove di ciò che stava avvenendo lontano dagli occhi del mondo, in particolare in riferimento alle esecuzioni sommarie e alle uccisioni di massa nel territorio controllato dalle forze armate russe. Uno degli esempi più noti è il caso di Bucha, per il quale sono in corso indagini formali per crimini di guerra[6]. L’uso di fotografie dallo spazio in questo tipo di processi è già stato possibile per quanto riguarda il massacro di Srebrenica di cui si è occupato il Tribunale speciale per l’ex-Jugoslavia[7], non è quindi una pratica nuova. Ciò che ancora una volta caratterizza la guerra in Ucraina, o l’ha caratterizzata nelle sue prime fasi, è stata la compatta discesa in campo di numerose aziende private operanti nel settore spaziale, che avevano quindi a disposizione satelliti in grado di scattare immagini[8], che hanno avuto l’impatto immediato di mostrare cosa era avvenuto e scuotere le coscienze, e potranno costituire prove a supporto delle accuse di crimini di guerra nelle investigazioni in corso e in quelle a venire.

Ma l’impiego degli scatti dallo spazio come prove nei processi penali internazionali non è l’unico nel contesto in cui possano trovare una loro utilità dei conflitti moderni. Da tempo è noto il contributo che le immagini satellitari possono dare nel demining (sminamento), nel monitoraggio dei conflitti e dei beni culturali protetti, oltre che della dispersione della popolazione affetta. Grazie al programma Black Marble implementato dalla NASA, ad esempio, è stato possibile tenere traccia sia in Ucraina che nel Tigray dell’avanzare del conflitto in base allo spegnimento e alla distruzione delle infrastrutture che provvedono all’illuminazione stradale. Questo tipo di informazioni, associate ai dati demografici sulla distribuzione delle fasce più fragili della popolazione, potrebbe aiutare a proteggere proprio quei gruppi che sono più vulnerabili. Il progetto Black Marble ha già fornito il suo contributo per monitorare i movimenti degli IDP (internally displaced people) e per identificare le aree in cui convogliare gli aiuti umanitari[9]. Rispetto al modo in cui l’architettura dei satelliti viene impiegata nella condotta delle operazioni belliche, l’uso delle immagini provenienti dallo spazio per prevenire i conflitti, o per la protezione dei civili, costituisce quasi una rivoluzione copernicana. Un altro progetto emblematico in questo senso è stato sicuramente Eyes on Darfur promosso da Amnesty International USA e dal Crisis Prevention and Response Center (CPRC), in cui sostanzialmente le immagini satellitari pubblicate sul sito riguardanti i villaggi vulnerabili potevano essere viste dalle persone in tutto il mondo, dando quindi loro la possibilità di “vegliare” su ciò che accadeva in tali località ed essere testimoni di eventuali violazioni gravi dei diritti umani. Una logica simile anima le iniziative di numerose organizzazioni, tra cui UNESCO ed ESA, volte a promuovere la protezione del patrimonio culturale, anche in questo caso migliorando i sistemi di monitoraggio e prevenzione grazie alla sorveglianza satellitare. Benché sia più semplice comprendere le ricadute pratiche della protezione dei civili e della giustizia internazionale nella ricostruzione post-conflitto, anche la preservazione dei monumenti e del patrimonio culturale dei popoli, sia esso materiale o immateriale, gioca un ruolo importante. Spesso sono le tradizioni e i monumenti a testimonianza delle radici comuni a unire le comunità, e la loro distruzione va a smantellare l’identità stessa dei popoli, nutrendo ulteriori ragioni di conflitto. Poter contare sulle applicazioni degli asset satellitari anche in supporto alle missioni di monitoraggio del patrimonio culturale è di certo un supporto prezioso in più in questo delicato compito.

Nonostante la corsa allo spazio sembri soltanto un’eco lontana della Guerra Fredda, il mondo ha compiuto le sue rivoluzioni fino a ritrovarsi per certi aspetti nello stesso punto. A distanza di quasi sessant’anni, l’universo sconfinato sembra più che mai l’ultima frontiera da conquistare e la competizione per le risorse non può che diventare più accesa con il passare del tempo. Dopo l’approvazione degli Artemis Accords nel 2020, gli Stati Uniti e gli altri Paesi firmatari si preparano a raggiungere nuovamente la Luna e a spingersi oltre, ad altri corpi celesti, sdoganando anche la possibilità di sfruttarne le risorse minerarie. In questo contesto, caratterizzato da potenziali rivalità per le risorse anche nello spazio extra-atmosferico, il bisogno di porre limiti alla guerra e alla proliferazione di armi non convenzionali è più impellente che mai, e ancora una volta le Nazioni Unite si trovano a fronteggiare crisi su più fronti che paralizzano i fragili meccanismi decisionali. Di fronte alla complessità e al rischio concreto che una dimensione nata in principio per essere terreno di pace, cooperazione e frontiera di sviluppo diventi invece l’ennesimo mezzo di distruzione e guerra, non basta “parlare” di pace in termini astratti. Allargare l’orizzonte a un uso dello spazio in supporto alla condotta delle operazioni di ricostruzione post-conflitto è quindi un modo concreto per migliorare le prospettive di mantenimento di un equilibrio sempre più precario, così che torni essere il luogo in cui le controversie tra Stati vengono messe da parte a fronte della necessità cooperare. Un uso per fini pacifici, in sintesi, affinché lo spazio non rimanga solo l’occhio nel cielo che alimenta logiche competitive, foriere di altri conflitti.


[1] Per maggiori informazioni: Joint Intelligence, Surveillance and Reconnaissance, NATO, 23 maggio 2023.

[2] Per maggiori informazioni: D.T. Burbach, Early lessons from the Russia-Ukraine war as a space conflict, «Atlantic Council», 30 agosto 2022.

[3] Per maggiori informazioni: J. Foust, U.S. claims recently launched Russian satellite is an ASAT, «Space News», 21 maggio 2024.

[4] I bisogni e il modo in cui la guerra ha afflitto gli individui di una popolazione dipendono anche molto dall’appartenenza a gruppi sociali, seguendo linee di demarcazione come etnicità, genere, età, classe sociale di appartenenza.

[5] Secondo l’International Center for Transitional Justice, la giustizia di transizione si riferisce al modo in cui le società rispondono all’eredità pesante derivante dall’aver subito crimini contro l’umanità o crimini di guerra. Per maggiori informazioni: www.ictj.org

[6] Reality Check and BBC Monitoring, Bucha killings: Satellite image of bodies site contradicts Russian claims, «BBC News», 11 aprile 2022.

[7] P. Kroker, Satellite Imagery as Evidence for International Crimes, «International Justice Monitor», 21 aprile 2015.

[8] B. Bender, Satellite companies join the hunt for Russian war crimes, «Politico», 4 giugno 2022.

[9] Per maggiori informazioni: K. Jayakumar, Satellite Imagery and Preventing Conflict-Related Sexual Violence, Gender Security Project.

Scritto da
Silvia Samorè

Laureata in Scienze strategiche all’Università di Torino, ha conseguito il master di secondo livello in Studi internazionali strategico-militari presso il Centro Alti Studi per la Difesa di Roma. Ha inoltre svolto un tirocinio Blue Book presso il Service for Foreign Policy Instrument della Commissione Europea e successivamente è stata Pan European Fellow del think tank European Council on Foreign Relations presso l’ufficio di Roma. I suoi interessi di ricerca includono la difesa europea, analisi del conflitto, stabilizzazione e ricostruzione post conflitto e la riforma del settore della sicurezza.

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