Scritto da Jacopo Scita
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L’elemento da cui partire per comprendere la politica estera del Qatar è classicamente geopolitico: il piccolo Emirato, poco più esteso dell’Abruzzo e con una popolazione di poco superiore ai 2.5 milioni di abitanti, occupa quella che fondamentalmente è un’estensione peninsulare dell’Arabia Saudita nelle acque del Golfo Persico. La posizione geografica occupata dal Qatar ha poi un secondo elemento decisivo: Doha condivide con l’Iran il controllo del più grande giacimento offshore di gas naturale al mondo, il North Dome[4].
Senza perdersi in un certo determinismo, non è scorretto trovare un nesso causale tra la posizione geografica occupata dal Qatar e la strategia politica portata avanti dai suoi Emiri: eclettismo e poliedricità hanno certamente radice nella necessità di convivere virtuosamente con due vicini influenti. Se da un lato la tutela della principale fonte di ricchezza del Qatar impone a Doha il mantenimento di buoni rapporti con Teheran, dall’altro il pieno inserimento nei sistemi di governance del Golfo Persico arabo è fondamentale per assicurare a Doha una proiezione continua e sicura nel mercato globale del gas naturale e del petrolio. Ad alimentare quello che potremmo definire un curioso paradosso geopolitico concorre la partecipazione del regno qatarino alla fondazione del GCC, il Consiglio di Cooperazione del Golfo, nato nel 1981 con lo scopo di federare i regni Golfo per contrastare l’espansionismo politico ed ideologico dell’Iran post-rivoluzionario.
Come riporta Allen Fromherz, il confine terrestre che divide il Qatar dall’Arabia Saudita è sempre stato il terreno naturale di un inevitabile confronto politico[5]: l’incidente costato la vita a tre persone nei dintorni Al-Khafus nel settembre 1992 rappresenta in qualche modo l’inizio violento del confronto politico tra Riyad e Doha, ripropostosi in occasione della guerra civile yemenita del 1994 e indubbiamente accentuato dalla leadership dello sceicco Hamad Al Thani che, a partire dal 1995, ha costruito l’agenda di politica estera di Doha intorno all’esigenza di svincolarsi dall’ombra saudita[6].
Nei suoi 18 anni di regno, lo sceicco Hamad Al Thani ha certamente lavorato attivamente per assicurare al Qatar una posizione autonoma e rilevante nello scacchiere politico del Golfo Persico, lasciando in eredità al proprio successore e figlio Amin Al Thani un emirato che unisce una politica estera tanto spregiudicata quanto controversa ad una penetrazione finanziaria e politica tramite il proprio fondo di investimento sovrano, la Qatar Investment Authority, sempre più ramificata ed influente in Occidente.
L’aspetto certamente più problematico e meno ortodosso della politica estera di Doha in area MENA (Medio Oriente e Nord Africa) è il supporto più o meno diretto alla Fratellanza Mussulmana. Gli ingenti finanziamenti che il Qatar ha elargito a Mohammed Morsi nel 2013[7] rappresentano il momento più evidente di una strategia imperniata attorno al sostegno dei vari movimenti islamisti impegnati nelle Primavere Arabe. Sempre seguendo questa linea politica, nel giugno del 2013, a breve distanza dalla deposizione del governo Morsi da parte della giunta militare egiziana guidata dal generale al-Sisi, Doha ospita un meeting tra i leader delle varie costole nazionali della Fratellanza Mussulmana, aumentando la tensione con i paesi del GCC. Tensione che esplode l’anno seguente a causa dell’asilo politico offerto dal Qatar ad alcuni membri Al-Islah, ramificazione della Fratellanza negli Emirati Arabi Uniti.
Come spiega Jeremy Shapiro[8], la strategia di supporto alla Fratellanza Mussulmana può essere letta come il tentativo di allontanare dal Qatar il rischio di insurrezioni popolari sul modello delle Primavere Arabe. Tuttavia, sembra altrettanto interessante considerare il peso politico che questa scelta ha negli equilibri del Golfo: l’Arabia Saudita non è certamente mai stata simpatetica alle espressioni politiche proposte dalla Fratellanza Mussulmana, ponendosi, anzi, in competizione con queste attraverso la promozione della propria interpretazione dell’Islam politico di stampo Wahabita. Dunque la strategia qatarina sembra inseguire un doppio obbiettivo: da un lato il tentativo di avere influenza diretta negli stati in cui la Fratellanza rappresenta o ha rappresentato una forza politica competitiva; dall’altro quello di creare un proprio spazio che è allo stesso tempo, seguendo il ragionamento di Shapiro, di sicurezza e di competizione politica “polarizzante”[9] con l’Arabia Saudita e i paesi ad essa allineati.
Il supporto alla Fratellanza Mussulmana è comunque ben inserito nell’eclettismo politico della famiglia Al Thani. Si è già detto dei buoni rapporti con l’Iran dovuti sia alla cruciale condivisione del North Dome, sia al comune interesse intorno ad Hamas e alla Striscia di Gaza, nella quale l’emirato ha investito direttamente nella costruzione di infrastrutture e ospedali. Nel 2015, poi, il Qatar viene coinvolto nel controverso pagamento di un riscatto per la restituzione di alcuni prigionieri al Kitaeb Hezbollah, milizia sciita irachena vicina a Teheran. Lo sciismo ha una sua non trascurabile importanza anche nella politica interna di Doha vista la storica presenza nell’emirato di influenti famiglie sciite che, di riflesso, hanno sempre costituito un ponte di contatto politico e culturale con l’Iran.
Nonostante il dialogo con la Repubblica Islamica, il Qatar rimane un importante alleato americano nella regione: è proprio durante il regno di Hamad Al Thani che viene inaugurata la base aereonautica Al Udeid divisa tra l’aviazione qatarina e quella statunitense. È inoltre notizia recente di un accordo tra Washington e Doha per una commessa militare dal valore di 12 miliardi di dollari[10]. A completare questo quadro, comunque non esaustivo, rimangono tre elementi notevoli. Il primo è la presenza a Doha dell’unica rappresentanza estera dei Talebani. Il secondo, invece, riguarda il coinvolgimento nel conflitto siriano, sia attraverso il finanziamento di diverse milizie anti-Assad in Siria, tra cui Ahrar al-Sham, sia con la partecipazione diretta alla coalizione armata a guida americano-saudita. L’ultimo è l’ottimo rapporto tra Doha e Ankara, altro fondamentale competitor regionale, sostenuto dalla recente (2014) apertura di una base militare turca in territorio qatarino.
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