Scritto da Gabriele Sirtori
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Il 25 settembre sarà una data che farà tremare il Medio Oriente. Il governo regionale del Kurdistan iracheno infatti, nella persona del suo presidente Massoud Barzani, ha indetto per quel giorno un referendum sull’indipendenza dall’Iraq. È una scelta esplosiva: un esito positivo potrebbe riaccendere le tensioni mai sopite tra i governi di Turchia, Siria ed Iran e le rispettive minoranze curde. E non è il rischio maggiore. Lo Stato iracheno potrebbe infatti non riconoscere l’esito del voto: in tal caso la lotta per l’indipendenza si trasformerebbe in una prova di forza che rischia di diventare guerra civile.
Massoud Barzani, capo del KDP, Partito Democratico curdo, prima forza politica nella regione, aveva più volte promesso questo referendum. La prima nel 2014, poi nel 2016, senza mai stabilire una data. Poi nel 2017 la svolta: “Le votazioni saranno dopo la liberazione di Mosul” aveva annunciato e finalmente il 7 giugno la dichiarazione definitiva: il 25 settembre in tutti seggi della regione si terrà un referendum non vincolante sull’indipendenza dall’Iraq. In caso di esito positivo spetterà ai leader curdi scegliere se proclamare la secessione.
Sulla carta sembrerebbe di trovarsi di fronte al trionfo della democrazia e dell’autodeterminazione dei popoli. Il KRG (Governo Regionale Curdo) ha tutte le istituzioni necessarie per governare uno Stato indipendente: ha un suo esercito, un suo parlamento, un sistema giudiziario autonomo e un passato di quasi 30 anni di scontri con le autorità irachene che ne giustificano le istanze autonomiste. Tuttavia sul voto di settembre il fronte curdo non è per nulla compatto.
“Questo referendum è una scusa per i vecchi leader curdi per rimanere al potere” affermava alcuni mesi fa in un’intervista per il Washington Post Shaswar Abdulwahid Qadir, proprietario del network televisivo indipendente curdo NRT. “I giovani non sanno nulla della loro lotta nelle montagne contro Saddam, perciò serve loro una scusa per governare altri 26 anni”.[1] La situazione nella regione al momento è tutt’altro che democratica. Nello stesso articolo si denuncia come il parlamento curdo non venga convocato da almeno due anni e come lo stesso presidente del KRG, Massoud Barzani, sia al governo da quattro anni oltre la scadenza del suo mandato. Le stesse istituzioni regionali non sono compatte al loro interno. Le lotte tra tribù e clan rivali, prime fra tutte le famiglie dei Barzani e dei Talabani, attualmente al comando dei due principali partiti politici, il KDP e il PUK, dividono in due il territorio. Fino al 2006 nel Kurdistan iracheno si avevano due premier, due gabinetti, due eserciti e persino due sistemi giudiziari: le istituzioni facenti capo ai Barzani erano attive nella regione Nord Ovest, nei distretti di Erbil e Dohuk; le altre, connesse ai Talabani, avevano la propria giurisdizione nel Sud-Est della regione: Suleymaniya, Darbandikhan e i dintorni di Kirkuk.
Dal 2006 iniziò un processo di unificazione territoriale, ma 15 anni di divisione amministrativa hanno lasciato il segno.
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Indice dell’articolo
Pagina corrente: Il referendum sull’indipendenza del Kurdistan
Pagina 2: Come e perché il Kurdistan iracheno è diventato regione autonoma
Pagina 3: Il KRG è un governo democratico?
Pagina 4: Quali stati (non) vogliono l’indipendenza del Kurdistan?
Pagina 5: Che cosa ne pensano i curdi?
Pagina 6: Conclusioni