Recensione a: Aronne Strozzi (a cura di), Sicurezza nazionale. Poteri, conflitti, informazioni, prefazione di Gianni De Gennaro, Luiss University Press, Roma 2024, pp. 252, 26 euro (scheda libro)
Scritto da Luca Picotti
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Curato da Aronne Strozzi, Adjunct Professor presso la Luiss School of Government, il libro Sicurezza nazionale. Poteri, conflitti, informazioni (Luiss University Press 2024) raccoglie diversi interventi di autorevoli studiosi attorno alla tematica, sempre più attuale, della national security, analizzandone le varie sfumature da plurime prospettive.
Il volume intercetta l’importanza di studiare quella che Alessandro Aresu ha definito come l’incontenibile ascesa della sicurezza nazionale. Paradigma di questa fase storica, concetto a geometria variabile, usato e abusato in ogni discorso e finanche testo legislativo, oggi pare che tutto ricada nel suo indefinito abbraccio, a seconda delle diverse declinazioni: sicurezza militare, sicurezza energetica, sicurezza climatica, sicurezza informatica, sicurezza sanitaria. L’elenco potrebbe andare avanti. Nonostante molte di queste declinazioni assumano o, meglio, dovrebbero assumere, una connotazione globale – perché solo a livello internazionale si possono garantire certe forme di sicurezza, pensiamo a quella climatica – la realtà riconduce il concetto alla sua dimensione originaria e inestinguibile: quella dello Stato nazionale, così come convenzionalmente emerso dal paradigma vestfaliano (1648).
Gli autori del libro si cimentano in vari tentativi di definire la sicurezza nazionale, con diverse parole e inclinazioni, dalla sopravvivenza dello Stato all’integrità della collettività, ma quanto rimane saldo come minimo comune denominatore è la dimensione statuale di riferimento: la collettività è il popolo, lo spazio di azione è il territorio delimitato dai confini, l’organo che è chiamato a garantire tale sicurezza è il governo, espressione della sovranità. Nonostante la nascita di attori non statali rilevanti, di organizzazioni internazionali, di costrutti sofisticati come l’Unione Europea, la sicurezza nazionale rimane, in ultima istanza, per l’appunto nazionale. Ci possono essere tentativi di condivisione delle informazioni di intelligence, come avviene all’interno dell’Unione Europea o in sede NATO, o ancora più marcatamente nell’ambito dell’alleanza “Five Eyes” (Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda). Rimane però il confine di ciò che si può condividere, in ottica di collaborazione, e ciò che si mantiene di stretto interesse nazionale, confine ineliminabile della sovranità nell’eccezione.
Ed è solo attraverso la categoria di eccezione che si può cogliere l’intima natura di un concetto come la sicurezza nazionale e delle sue ramificazioni concrete, ossia gli apparati di intelligence che ne sostengono il peso, sino al vertice apicale della piramide ove risiede il potere sovrano, ossia chi decide sulla sicurezza stessa. Questo mosaico concettuale è affrontato nella prima parte del libro, dove si approfondisce in prospettiva storico-filosofica la nozione di sicurezza (nel paragrafo curato da Dario Matassa) e l’evoluzione del suo volto operativo, l’intelligence (in quello firmato da Adriano Soi). Potere, segreti, informazioni e ragion di Stato si intersecano nello sviluppo degli apparati di sicurezza. Tra i temi più pregnanti in questo senso, vi è il rapporto tra democrazia e intelligence, visibile e invisibile. L’equilibrio si trova nella proceduralizzazione, nel tentativo di sottoporre i processi a garanzie, controlli parlamentari e giurisdizionali, seppure nella consapevolezza che, se veramente di sicurezza e interesse nazionale si tratta, in ultima istanza prevarrà la discrezionalità sovrana della politica. In merito, Adriano Soi riporta le parole del grande intellettuale triestino Claudio Magris: «Non c’è Stato, per quanto liberale e democratico possa essere, che non abbia i suoi servizi segreti e l’operare di questi ultimi, certo molto diverso nei diversi contesti statali e nelle diverse situazioni storiche, è sempre avvolto da un’aura tenebrosa». Limite intrinseco che, per quanto concerne ad esempio l’Italia, è ribadito anche dalla Corte Costituzionale, che nelle sentenze n. 82 del 1976 e n. 86 del 1977 riconosce la legittimità costituzionale del segreto quando esso è volto a tutelare «il supremo interesse della sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale, cioè l’interesse dello Stato-comunità alla propria integrità territoriale, alla propria indipendenza e, al limite, alla sua stessa sopravvivenza». Un interesse, prosegue la Corte, che «è presente e preminente su ogni altro in tutti gli ordinamenti statali, quale che ne sia il regime politico e trova espressione nel nostro testo costituzionale, nella formula solenne dell’art. 52, che afferma essere sacro dovere del cittadino la difesa della Patria». Dal momento che la sicurezza nazionale è intimamente politica e ineliminabile nell’orizzonte della ragion di Stato, i Paesi democratici non possono che limitarsi a una sua legalizzazione, circoscrivendola in procedure il più liberali possibile, in ispecie per quanto concerne l’utilizzo del segreto e dell’intelligence nei confronti dei cittadini. Aspetto, questo, che dovrebbe differenziarle rispetto alle cosiddette autocrazie, che dell’eccezione di sicurezza nazionale e dei servizi segreti fanno un uso più spregiudicato anche all’interno. Peraltro, a ben vedere pure Paesi come Russia e Cina dispongono di una regolamentazione dei servizi segreti, sebbene con garanzie meno solide, di diritto o comunque di fatto. È quanto emerge dal lungo studio di Enrico Savio, che si sofferma sui testi legislativi di diversi Paesi, a partire dalla l. 124/2007 italiana, che disciplinano struttura e attività dei servizi segreti. I casi esaminati sono, oltre all’Italia: Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Turchia, Israele, Stati Uniti, India, Cina, Russia. Ad esempio, per quanto riguarda il nostro Paese, Savio sottolinea come si tratta, in via schematica, di un sistema binario a coordinamento rafforzato, ove si riporta direttamente al Presidente del Consiglio o autorità delegata. Le attività di intercettazione sono sottoposte al controllo giurisdizionale. Inoltre, vi deve essere un rendiconto all’apposito comitato parlamentare (Copasir). Infine, in via generale, vigono i principi della proporzionalità e indispensabilità dell’azione, si pensi al caso dell’azione di un agente e della relativa operatività dell’esimente penale.
La seconda parte del volume va ad affrontare alcune tematiche specifiche, come la cooperazione nel settore della difesa tra Italia e Stati Uniti, su cui si sofferma con lucidità Alessio Anelli, oltre che le nuove frontiere della sicurezza nazionale: intelligenza artificiale, grande impresa, risk management e relazioni istituzionali. Sono diversi, infatti, i profili da monitorare dinnanzi alle grandi trasformazioni di questa fase storica. In merito, l’intelligenza artificiale è tra i più delicati, specie se si guarda all’attività dell’intelligence, che per sua essenza si basa su informazioni e, dunque, nella loro dimensione digitale, sostanzialmente sui dati. All’uso dell’intelligenza artificiale in questo settore è dedicato il paragrafo a cura di Antonio Malaschini, che si muove tra rischi, potenzialità, profili etici, giuridici e tecnologici. Non può essere poi trascurata l’importanza di una cultura del rischio, da svilupparsi in modo sinergico in ambito pubblico e privato, tematica affrontata da Umberto Saccone. Dopodiché, vi è il grande, e sempre più attuale, tema della guerra economica e dei settori strategici, descritto da Aronne Strozzi, che va così ad approfondire il ruolo della grande impresa nel contesto di un panorama globale che rimane, nonostante tutto, abitato in primo luogo da Stati. Da qui, un insieme di strumenti sempre più diffusi che vanno a plasmare il mercato globale e che vedono Stati e imprese partecipare alla grande competizione economica (ma in ultima istanza politica): scrutini degli investimenti esteri, come il golden power italiano, sanzioni, controlli sull’export, politiche industriali volte a formare campioni nazionali nelle nuove frontiere, dazi e sussidi, sostegno dell’intelligence economica nelle gare pubbliche e nell’aggiudicazione di contratti, tentativi di ridisegnare le catene del valore. L’obiettivo è da un lato difensivo (proteggere i propri settori strategici), dall’altro offensivo (indebolire quelli degli avversari e guadagnarsi posizioni di forza). «Subentra quindi una forte preoccupazione riguardo a tali attività, definite grigie se vogliamo, per altro in un quadro di crescente aumento della conflittualità internazionale, dove gli attori che controllano gli asset cruciali – in particolare quelli finanziari, energetici e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ITC) – possono sfruttare le conquistate posizioni di forza per attuare azioni di coercizione economica per finalità politiche. La competizione internazionale sarà sempre più concentrata sugli avanzamenti tecnologici, le loro catene del valore e l’accaparramento delle materie prime necessarie alla loro realizzazione e, gli Stati, saranno sempre più inclini a utilizzare un atteggiamento aggressivo, mascherato attraverso gli investimenti esteri e le operazioni di fusione e acquisizione» (p. 175).
Il punto è la sempre maggiore ingerenza degli Stati nell’economia, proprio per ragioni di sicurezza nazionale. In questo senso, l’intreccio tra intelligence – che diventa anche intelligence economica – grande impresa e decisori pubblici diviene più stretto. Poteri, conflitti, informazioni. L’obiettivo del volume è quello di offrire uno spaccato su una tematica avvolta spesso da un’aurea tenebrosa, ma ciononostante fondamentale, specie in una fase storica in cui il concetto di sicurezza nazionale si è dilatato notevolmente, diventando quasi il paradigma. Per questo sono importanti contributi che siano in grado di far maturare una cultura solida sul tema. In questo senso, merita riprendere le parole di Gianni De Gennaro nella prefazione: «Ciò invoca una riflessione nel campo della teoria di governo che porta a interrogarsi sulle sfide che questo processo trasformativo è in grado di profilare ai modelli organizzativi statali e segnatamente alle missioni dei dispositivi preposti al mantenimento della sicurezza di un Paese. Si tratta di una sfida che intercetta vari ambiti e che postula, a motivo dell’ampiezza e profondità degli effetti, una considerazione multidisciplinare, un approccio di scala, sinergico, integrato e strutturale».