“Sinistra. Una storia di fantasmi” di Christian Blasberg
- 31 Ottobre 2019

“Sinistra. Una storia di fantasmi” di Christian Blasberg

Recensione a: Christian Blasberg, Sinistra. Una storia di fantasmi, LUISS University Press, Roma 2019, pp. 256, 20 euro (scheda libro)

Scritto da Luca Picotti

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«Uno spettro si aggira per l’Europa, scriveva il Vecchio Barbone, e tutti gli danno la caccia. L’immagine è ripresa da Christian Blasberg per raccontare questa storia di spettri, di fantasmi, che è diventata negli ultimi decenni la sinistra europea. Memorie mai concluse, eredità dissipate, come ogni storia di fantasmi anche questa è una storia maledetta. Lo spettro del comunismo e del socialismo condizionò l’intera storia del mondo e dell’Europa nel secolo successivo, ma ormai, arrivati a giudicare i primi venti anni del nuovo secolo, è necessario chiedersi se quella parte politica che è stata chiamata sinistra sia destinata a svanire, come accadde all’inizio del Novecento in gran parte alle classi dirigenti liberali che avevano guidato l’innovazione politica e scientifica nell’Ottocento. I liberali lasciarono il posto a laburisti e socialisti, oggi ovunque la sinistra è sostituita in larghe fasce dell’elettorato da formazioni populiste. È la dissoluzione di un patrimonio, non solo ideologico, ma culturale, sociale, organizzativo, di cui l’autore individua il momento decisivo nei mesi centrali del 2016, collocati tra il referendum sulla Brexit in giugno e l’ascesa e poi l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca in novembre, ma di cui è molto più difficile trovare il punto di inizio».

Con queste parole Marco Damilano, in una bella prefazione, sintetizza il nucleo dell’ultimo libro del politologo tedesco Christian Blasberg “Sinistra. Una storia di fantasmi” edito da Luiss University Press. Il volume ha l’ambizione di indagare la crisi dei partiti politici che si riferiscono all’area della sinistra dei principali paesi europei, suddividendo l’analisi in tre blocchi: il primo concernente le vicende di Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda, i quattro paesi che hanno dovuto rivolgersi all’Europa e al Fondo monetario internazionale durante gli anni della crisi finanziaria; il secondo si focalizza sulle quattro grandi democrazie occidentali, ovvero Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia; l’ultimo prende in considerazione le altre democrazie, più piccole ma non per questo meno rilevanti, quali Austria, Belgio, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca, Finlandia e Lussemburgo. Per ogni realtà Blasberg tenta di muoversi tra i dati, i risultati elettorali, i dibattiti pubblici e le specifiche peculiarità per ricostruire le dinamiche che hanno messo in crisi il modello, e l’esistenza stessa in alcuni casi, dei partiti socialdemocratici.

Il volume si apre con una interessante analisi teorica attorno ai concetti di Occidente, sinistra e populismo, utile anche per delimitare l’ambito del discorso. Blasberg sottolinea come vi sia un nesso tra le sconfitte della sinistra e il successo delle formazioni cosiddette populiste, capaci quindi di riempire lo spazio lasciato vuoto dalla prima. In particolare, soprattutto a partire dagli anni Novanta, la sinistra viene ad identificarsi, nell’immaginario collettivo, come il partito dello status quo, della conservazione di un esistente con il quale una porzione sempre maggiore di elettorato vuole rompere. La mancata analisi delle profonde trasformazioni economiche, tecnologiche e culturali, ha portato la sinistra a dialogare, dietro ad una retorica ottimistica, solo con i vincenti della globalizzazione, dimenticandosi dei vinti. Da qui l’emergere di leader come il laburista inglese Ed Miliband, descrittoci da Blasberg con straordinaria efficacia: «giovane, ben educato, intelligente, proveniente dal ceto medio-alto, che dà l’impressione di non avere mai avuto un contatto reale con quelle fasce sociali deboli alle quali dovrebbe rivolgersi. In questo tipo di leader politico si percepisce una inconciliabilità, quasi inconscia, tra la teoria della giustizia sociale e la loro prassi politica che, di fatto, considera il capitalismo una legge di natura, ineluttabile» (p.101). L’incapacità delle classi dirigenti di sinistra di ascoltare le istanze provenienti dai ceti medio-bassi, soprattutto a seguito della crisi del 2008, ha aperto la strada a forze che, sfruttando cinicamente i nuovi mezzi di comunicazione e costruendo una efficace retorica del “Noi” (il popolo in una sua inesistente omogeneità) contro “Loro” (le élite, economiche, politiche e intellettuali), hanno negli ultimi anni ottenuto un grande successo con un approccio critico nei confronti del sistema. «Le forze populiste emerse negli ultimi vent’anni […] attaccano sia il consenso economico sia il consenso etico-umanitario dell’Europa, e in alcuni casi mettono in forse anche il consenso istituzionale» (p.46), con sfumature quindi sia di destra che di sinistra. La critica al sistema, un tempo bandiera della sinistra, è stata adottata da queste formazioni, lasciando la sinistra in una situazione di forte spaesamento, incapace di declinare il suo patrimonio culturale e politico nel nuovo contesto globale.

Se trovare un punto di inizio della crisi della sinistra non è facile – Blasberg ci riporta addirittura al 1914, sostenendo che l’adesione alla guerra era la logica fine del socialismo, perché se la classe non era un elemento di identificazione più forte della nazione, la ragion d’essere del socialismo come missione storica veniva meno – più agevole è invece trovare il periodo in cui questa si è manifestata in modo dirompente, ovvero dopo il 2008, con la grande crisi economica unita quella migratoria in un contesto più generale di accelerazione delle esistenze dovuto alla globalizzazione. In questa fase, la sinistra si è spesso trovata al governo, chiamata a politiche di tagli alla spesa sociale per rispettare i parametri europei. Vediamo così il Pasok greco passare dal 43,9% del 2009 al 12,3% del 2012 fino al 4,7% del 2015, reo di aver varato le drastiche misure di riduzione della spesa alle quali erano condizionati gli aiuti della Bce; oppure, il Psoe di Zapatero perdere il 15 percento dei voti alle elezioni del 2011 rispetto a quelle del 2008: secondo Andreas Baumer, «dalla primavera del 2010 Zapatero in pratica è stato l’esecutore delle direttive di Berlino, Francoforte e Bruxelles o, cercando freneticamente di anticipare il prossimo attacco delle agenzie di rating, ha continuato a progettare nuovi pacchetti di tagli». Nei quattro paesi del primo blocco analizzato dal politologo, la sinistra è ora tornata egemone, dopo la crisi, solo in Portogallo, mentre in Spagna sopravvive ma in un contesto fragile e non con i numeri di dieci anni fa; il Pasok greco e il Labour Party irlandese sono invece, scrive l’Autore, quasi spariti dalla scena politica.

Blasberg prosegue la sua analisi focalizzandosi sulle formazioni di sinistra delle quattro grandi democrazie europee, dall’ambiguità del Labour inglese guidato da Corbyn agli errori di Matteo Renzi, a partire dalla sottovalutazione della questione migranti; dalla spaesata socialdemocrazia tedesca – messa in difficoltà non solo dal «profondo cambiamento paradigmatico e ideologico della contemporaneità» che ha indebolito tutte le socialdemocrazie, ma anche dall’azione politica della Merkel, capace di occupare spazi sia di destra che di sinistra – ai socialisti francesi; questi, in particolare, uscendo dai cinque anni della presidenza Hollande e risultando più che sconfitti alle elezioni del 2017, sembrano concretamente destinati a scomparire della scena politica, tanto che Blasberg si domanda: «La socialdemocrazia come idea è quindi definitivamente morta in Francia? Per ora si è camuffata in una (in)naturale alleanza con il liberismo dentro il macronismo, il quale ha vinto grazie alla sua caratteristica di “populismo di centro”, “anti-populismo” o, per riprendere una terminologia di moda negli ultimi anni, una “anti-antipolitica”. Difficile invece credere che oggi la socialdemocrazia in Francia potrebbe risorgere nella sua vecchia forma di partito: “Il Parti Socialiste ha forse fatto il suo tempo”, ha dichiarato Hamon dopo la sua uscita» (p.118).

Le ambiziose intenzioni dell’Autore, ovvero fotografare la realtà di quindici paesi europei, ci costringono in questa sede, per questioni di spazio, a non trattare diversi esempi interessanti, come quello dell’Austria o quello della Svezia. Se la pretesa di Blasberg rischia di condurre ad alcune semplificazioni, queste pagine danno comunque un’idea di come i diversi partiti di sinistra abbiano incontrato, nel nuovo contesto globale, difficoltà sempre maggiori, in un combinato disposto di cause endogene (relative alle classi dirigenti) ed esogene (crisi economica e migratoria). D’altronde, è lo stesso Autore a ricordare nell’introduzione che questo saggio non può essere misurato con i criteri del lavoro accademico; lo scopo, scrive, è quello di offrire a un pubblico più ampio qualche spunto di riflessione.

Complementare all’introduzione è la conclusione, in cui Blasberg abbandona le singole realtà nazionali per concentrarsi nuovamente sulla sinistra in generale e i suoi destini. Cominciando con un’analisi critica sul rapporto tra la sinistra e il progetto europeo – «si è troppo attaccata a un’integrazione “tecnica” dell’Europa che però si è rivelata piena di trappole, disfunzioni e contraddizioni nel metodo, e soprattutto ha sottovalutato il necessario approccio culturale e politico» – il politologo prosegue poi con le tappe storiche fondamentali, in particolare gli anni Settanta e Ottanta, che hanno portato ad un radicale mutamento antropologico, nonché ad altrettanto radicali cambiamenti della struttura produttiva e del paradigma economico, entrambi non compresi dalla sinistra; sia le nuove istanze provenienti dai ceti medi, come l’ecologismo, sia gli argomenti regionalisti o quelli identitari legati ai nuovi fenomeni di immigrazione, hanno colto la sinistra impreparata, irrigidita nei suoi vecchi schemi concettuali e indebolita dall’adesione all’economia di mercato. «L’adesione dei socialisti occidentali all’economia di mercato […] avrebbe dovuto essere accompagnata da un ripensamento della propria forma organizzativa e della propria denominazione, almeno dopo la contestazione del ’68. Ma molti partiti, soprattutto negli anni Ottanta, per difendersi dai colpi del neoliberismo thatcheriano e dall’ascesa dei populismi di destra e di sinistra, hanno reagito con un irrigidimento dell’apparato invece che scegliere di adattarsi a una società mutevole ed “edonista […] dalla quale però la socialdemocrazia avrebbe fatto meglio a ricevere delle lezioni e capirne la natura intrinseca, invece che continuare a darle seguendo un modello culturale dal quale essa stessa si era congedata con la svolta capitalista» (p.220).

La critica di Blasberg è puntuale, tocca molti aspetti essenziali nelle dinamiche della sinistra – aspetti impossibili da trattare interamente in questa sede – e solleva numerosi spunti di riflessione. Non può che concludersi con un interrogativo o, meglio, una domanda senza risposta: non concede previsioni sul futuro della socialdemocrazia, lasciando al lettore la libertà di elaborare le sue posizioni. In ogni caso, lo scopo del libro è un altro e consiste nel tracciare una mappa per orientarsi nella crisi della sinistra degli ultimi anni, sia con un focus sulle singole realtà dei diversi paesi europei, sia con uno teorico-concettuale sulla sinistra come idea. Sarà poi il lettore a trarre le sue conclusioni.

Scritto da
Luca Picotti

Avvocato e dottorando di ricerca presso l’Università di Udine nel campo del Diritto dei trasporti e commerciale. Autore di “La legge del più forte. Il diritto come strumento di competizione tra Stati” (Luiss University Press 2023). Su «Pandora Rivista» si occupa soprattutto di temi giuridico-economici, scenari politici e internazionali.

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